- Maxi retata tra maggio e giugno per ripulire il social network da presunti profili falsi e troll. E altre sospensioni di massa sarebbero tuttora in corso. L'enormità dei numeri getta ombre non solo sulla tolleranza politica dell'azienda, ma pure sulla sua reale solidità.
- Link tax, il rischio è anche la censura. Con la tecnologia a disposizione è impossibile garantire che il controllo sui contenuti imposto dalla riforma Ue sul copyright non si trasformi in filtro alla libertà di pensiero.
Maxi retata tra maggio e giugno per ripulire il social network da presunti profili falsi e troll. E altre sospensioni di massa sarebbero tuttora in corso. L'enormità dei numeri getta ombre non solo sulla tolleranza politica dell'azienda, ma pure sulla sua reale solidità.Link tax, il rischio è anche la censura. Con la tecnologia a disposizione è impossibile garantire che il controllo sui contenuti imposto dalla riforma Ue sul copyright non si trasformi in filtro alla libertà di pensiero.Lo speciale contiene due articoli.Twitter usa il pugno di ferro contro gli account falsi. Secondo quanto riportato dal Washington Post, tra maggio e giugno di quest'anno il social network avrebbe sospeso più di 70 milioni di profili ritenuti colpevoli di svolgere un'attività irregolare o insolita. Le sospensioni starebbero procedendo a un ritmo simile anche nel mese di luglio. Il presidente Donald Trump ha dedicato un tweet sarcastico alla vicenda, auspicando che il blocco colpisca anche il New York Times e il Washington Post, accusati di essere strumenti di propaganda e disinformazione. La misura fa parte di una nuova strategia messa in atto dalla piattaforma guidata da Jack Dorsey, più volte accusata in passato di essere troppo morbida nei confronti di bot (software che postano contenuti in automatico) e troll (utenti in carne e ossa che intervengono con insulti o messaggi provocatori). «Sappiamo che c'è ancora molto da fare a tal proposito», hanno scritto in un post sul blog aziendale Yoel Roth, responsabile della «fiducia nel prodotto», e Del Harvey, vicepresidente con delega alla sicurezza. «Gli account non autentici, lo spam e l'automazione dannosa rischiano di rovinare l'esperienza degli iscritti di Twitter, e i nostri sforzi per identificare e prevenire i tentativi di manipolare le conversazioni sulla nostra piattaforma non cesseranno mai».Fattore decisivo per il cambio di passo sono state le convocazioni dei big della tecnologia da parte del Congresso americano, al fine di far luce sui presunti tentativi della Russia di influenzare le elezioni presidenziali del 2016. Nel corso di un'audizione alla commissione Intelligence del Senato svoltasi a gennaio, uno dei legali di Twitter ha affermato che «gli account ritenuti falsi o spam rappresentano meno del 5% degli utenti attivi su base mensile» e che in certi casi «l'automazione è essenziale per la diffusione di informazioni relative alla sicurezza pubblica», come nell'eventualità di calamità naturali. Le recenti sospensioni di massa mettono in dubbio la portata di questi dati, dal momento che riguardano più di un quinto dei 336 milioni di utenti attivi. Anzi, la cancellazione di una quantità così elevata di profili mette a rischio la stessa crescita del social network, già di per sé abbastanza stagnante.Da qualche anno a questa parte Twitter è rimasto al palo, facendosi superare da piattaforme più «giovani» come Instagram (1 miliardo di utenti, nel 2014 erano 300 milioni) e dal sito di blogging Tumblr (409 milioni di iscritti contro i 207 di fine 2014). La mannaia sui profili fake getta un'ombra anche sui già fragili conti aziendali. A differenza delle altre piattaforme, Twitter ha sempre avuto grossi problemi di profittabilità. Dalla sua partenza, infatti, il social network ha registrato i primi utili sono nel terzo trimestre 2017 (+91 milioni di dollari), confermati seppure in leggera flessione nel primi tre mesi di quest'anno (+61 milioni). Il giorno della verità è fissato per il prossimo 27 luglio, quando nel corso della presentazione dei dati del secondo trimestre 2018 si capirà se e in quale misura le nuove politiche abbiano influenzato l'andamento.È vero che le regole di utilizzo prevedono la possibilità da parte degli amministratori di «limitare temporaneamente la possibilità di creare post o interagire con altri utenti» e sospendere in modo permanente gli account, ma c'è già chi vede dietro alle nuove misure un tentativo di censura. Come previsto dalle condizioni del servizio, gli account sospetti possono essere oggetto di azioni che ne riducano la visibilità, per esempio la rimozione dalle ricerche. La forma più estrema di questo oscuramento è lo shadow banning (letteralmente «espulsione nascosta»), una pratica controversa e la cui esistenza non è ancora definitivamente provata. Quando applicata, l'utente risulta attivo ma i contenuti pubblicati non vengono visualizzati dagli altri iscritti.Lo scorso gennaio il sito Project veritas ha pubblicato un'inchiesta nella quale alcuni impiegati e dirigenti di Twitter confermano il ricorso a questa prassi. «Sì, è qualcosa su cui stiamo lavorando. Stiamo cercando di non far vedere queste persone schifose», ha affermato la manager strategica Olinda Hassan, registrata a sua insaputa durante un party aziendale svoltosi il 15 dicembre 2017. Conrado Miranda, ex ingegnere, ha invece rivelato che questo strumento è stato utilizzato per oscurare la propaganda a favore di Trump. Sono davvero molto lontani i giorni nei quali Tony Wang, ex vicepresidente, definiva Twitter «la corrente della libertà di pensiero del partito del libero pensiero». Antonio Grizzuti<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/twitter-blocca-70-milioni-di-utenti-sgraditi-2584626110.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="link-tax-il-rischio-e-anche-la-censura" data-post-id="2584626110" data-published-at="1757913009" data-use-pagination="False"> Link tax, il rischio è anche la censura Dopo l'intervento di Luigi Di Maio all'Internet day, tutti (stampa compresa) sono cascati dal pero: l'Unione europea si apprestava ad approvare una direttiva che per aggiornare le norme europee sul diritto di autore avrebbe potuto danneggiare la libertà di espressione in Internet, e nessuno ne sapeva niente. Ma di che si tratta esattamente? È stata ribattezzata «link tax», ma non è una tassa in senso stretto: non è un tributo imposto dal sistema fiscale di uno Stato, anche se, di fatto, si comporta come tale, introducendo una forma di prelievo radicato direttamente nella legge. Il testo in questione è una proposta di direttiva del Parlamento e del Consiglio europei «sul diritto d'autore nel mercato unico digitale», e gli articoli all'origine dell'allarme sono l'11 e il 13 . Per effetto dell'articolo 11, l'editore di una testata giornalistica potrebbe pretendere un corrispettivo alle varie piattaforme (Google, Facebook, eccetera) nel caso in cui un utente pubblichi un link a contenuti accessibili a pagamento sul sito della testata interessata. In pratica, chiunque pubblichi insieme al link anche solo uno «snippet» (cioè un breve estratto) del contenuto segnalato, dovrebbe ottenere una preventiva autorizzazione dall'editore dello stesso, il quale avrebbe diritto di chiedere un compenso. L'articolo 13, invece, avrebbe introdotto una responsabilità delle piattaforme e un obbligo di controllo preventivo in ordine al caricamento da parte dei singoli utenti di contenuti coperti da diritti d'autore. Se cioè attualmente la pubblicazione indebita di contenuti protetti da diritto d'autore può dare luogo alla rimozione a posteriori, su richiesta dell'interessato, l'obiettivo della riforma è far sì che le piattaforme, attraverso filtri automatici basati su appositi algoritmi, blocchino la pubblicazione all'origine in caso di violazione dei copyright. Un'operazione tecnicamente complessa, da affidare a una tecnologia non ancora sviluppata a sufficienza: oltre al costo maledettamente alto di tali algoritmi, c'è infatti il pericolo concreto che essi finiscano per bloccare anche i contenuti legittimi. Almeno un paio di precedenti (in Spagna e in Germania) avevano già dimostrato i limiti e le possibili ricadute negative di un sistema caratterizzato da modalità di funzionamento non distanti da quelle oggetto della proposta europea. Nel 2014 in Spagna fu approvata una legge sul copyright basata sugli stessi meccanismi. Al che, Google escluse gli editori spagnoli dal proprio servizio di News, con rilevante calo del traffico per gli interessati. Nel 2015, dunque, il governo di Madrid ha dovuto fare retromarcia. Anche in Germania è stata approvata una norma analoga, ma gli editori tedeschi hanno scelto volontariamente di rinunziare alla sua applicazione per evitare le stesse conseguenze subite dai colleghi iberici. Fino ad oggi, in materia di pubblicazione dei contenuti sulle piattaforme Web ha trovato applicazione un principio vigente in materia di ecommerce e noto come «safe harbour» (porto sicuro): in virtù di tale principio la responsabilità nella pubblicazione dei contenuti grava su chi materialmente li carica, non sulla piattaforma ospitante. C'è poi un altro problema accennato sopra: come si può avere la certezza che filtri e algoritmi di controllo, una volta introdotti, si limitino a censire i contenuti esclusivamente in base a questioni di copyright? Per un utente potrebbe risultare praticamente impossibile verificare che l'eventuale cancellazione di un post non sia avvenuta a causa delle convinzioni espresse, di tipo politico o religioso per esempio. Che conseguenze potrebbe avere tutto questo sul pluralismo dell'informazione? Si tratta, ancora una volta, di trovare un equilibrio tra due interessi contrapposti, entrambi legittimi: da un lato l'equa remunerazione delle idee originali dei creatori di contenuti; dall'altro la libertà di espressione del pensiero che nel Web ha trovato uno strumento fondamentale. Si potrebbe replicare che in Internet si leggono un sacco di bufale e di sciocchezze, perciò ben venga un filtro. Peccato che l'introduzione dei sistemi prefigurati dalla proposta di direttiva andrebbe in direzione diametralmente opposta: limitando la circolazione di contenuti a pagamento (provenienti da testate giornalistiche autorevoli, ad esempio), finirebbero per girare liberamente in Rete solo i contenuti gratuiti, provenienti da fonti discutibili, come le cosiddette fabbriche di fake news. La proposta di riforma è stata bocciata il 5 luglio dal Parlamento europeo. Verrà riesaminata a settembre, in sessione plenaria, con gli emendamenti che nel frattempo verranno elaborati dalla commissione giuridica. Vedremo se si riuscirà a individuare un ragionevole punto di equilibrio. Luciano Quarta
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Il conservatore americano era aperto al dialogo con i progressisti, anche se sapeva che «per quelli come noi non ci sono spazi sicuri». La sua condanna a morte: si batteva contro ideologia woke, politicamente corretto, aborto e follie del gender.
Chi ha inventato il sistema di posizionamento globale GPS? D’accordo la Difesa Usa, ma quanto a persone, chi è stato il genio inventore?
Piergiorgio Odifreddi (Getty Images)
Piergiorgio Odifreddi frigna. Su Repubblica, giornale con cui collabora, il matematico e saggista spiega che lui non possiede pistole o fucili ed è contrario all’uso delle armi. Dopo aver detto durante una trasmissione tv che «sparare a Martin Luther King e sparare a un esponente Maga» come Charlie Kirk «non è la stessa cosa», parole che hanno giustamente fatto indignare il premier Giorgia Meloni («Vorrei chiedere a questo illustre professore se intende dire che ci sono persone a cui è legittimo sparare»), Odifreddi prova a metterci una pezza.
L' Altro Picasso, allestimento della mostra, Aosta. Ph: S. Venturini
Al Museo Archeologico Regionale di Aosta una mostra (sino al 19 ottobre 2025) che ripercorre la vita e le opere di Pablo Picasso svelando le profonde influenze che ebbero sulla sua arte le sue origini e le tradizioni familiari. Un’esposizione affascinante, fra ceramiche, incisioni, design scenografico e le varie tecniche artistiche utilizzate dall’inarrivabile genio spagnolo.