True
2018-07-10
Tutti in mare per gli immigrati. Veronesi prende il timone dell’Arca di Noè radical chic
Ansa
Non c'è pace per Sandro Veronesi: l'impegno non dà tregua. La scorsa settimana, il suo nome era comparso tra gli aderenti al fantomatico manifesto anti Salvini della rivista Rolling Stone, con una motivazione e un messaggio particolarmente apocalittici: «Se la società occidentale ha un futuro, ciò che vi sta accadendo oggi apparirà ripugnante così come oggi a noi appare ripugnante la schiavitù. E se non ce l'ha, allora la sua fine è questa, è arrivata».
Ora, siccome la fine del mondo si avvicina, Veronesi ha deciso che non c'è tempo da perdere. Dunque, ha preso carta e penna, e, dalla prima pagina del Corriere della Sera, ha scritto a Roberto Saviano una lettera straziante. Tema: «Mettiamo il nostro corpo su quelle imbarcazioni».
Voi, lettori maliziosi, direte subito: si riferisce a qualche yacht per le vacanze d'agosto. Ma è uno sguaiato pensiero populista, un sospetto becero del quale dovreste vergognarvi. Qui si vola altissimo. E soprattutto si soffre: come solo delle anime delicate e sensibili possono fare.
L'inizio della lettera, per la verità, è un po' faticoso. Veronesi si attorciglia pensoso sul «tempo del corpo», spiegando che questo gli toglie «parecchie energie, e anche un bel po' del mio sonno». E voi capite bene che con le energie e il sonno degli scrittori non si scherza.
Segue la parte più politicante, quindi più lagnosa, della lettera.
Supersintesi: sull'immigrazione c'è una propaganda inaccettabile, la mistificazione ha superato la corretta informazione, quindi bisogna fare qualcosa. Cosa? «Rompere gli indugi e metterci direttamente il corpo».
E Saviano che c'entra? C'entra, spiega Veronesi, perché «caro Roberto, il tuo corpo è già in ballo, da anni: è già sul campo».
Non solo Saviano (da New York) ma pure un lettore da Cinisello Balsamo dovrà faticare altre trenta-quaranta righe per capire dove Veronesi voglia effettivamente andare a parare. Finalmente ci si arriva: «Ammesso che una di queste navi Ong che incrociano al largo delle acque libiche conceda qualche posto a bordo, pensi che i corpi più importanti del nostro Paese - quelli più valorosi, più ammirati, più amati, più belli, più dotati, più preziosi, più popolari, più desiderati - siano tutti impossibilitati a unirsi a me e a te, nell'occupare quei posti?».
Cercate di non distrarvi, perché siamo arrivati al punto. C'è un'aristocrazia intellettuale, un sinedrio di anime elevate e superiori, un modello di bellezza interiore ed esteriore, fisica e spirituale insieme: «Kalos kai agathos», come nella versione di greco al liceo. Insomma: c'è una supercasta di strafighi, di gente sensibile e colta, mica selvaggi come voi, che deve salire sui barconi per spiegare chi ha ragione e chi ha torto.
A questo punto, Veronesi dirama le convocazioni e sceglie gli undici da schierare in campo, anzi in barca. Può sorgere il dubbio che si tratti di uno scherzo feroce, di un'autosatira corrosiva, di una caricatura preventiva, ma invece Veronesi è serissimo, e snocciola la formazione: il commissario Montalbano («che ha il doppio di spettatori della Lega»), Francesco Totti, Checco Zalone, Claudio Baglioni, Federica Pellegrini, Jovanotti, Sofia Goggia, Adriano Celentano, Monica Bellucci (testuale: «come interprete dal francese»). Poi Chiara Ferragni («che allatta», precisa implacabile Veronesi), e Giorgio Armani «che compie 84 anni».
Veronesi è tormentato: «Lo so, più i corpi sono preziosi, più hanno da rimetterci a fare una cosa del genere». Mica sono plebei come voi: «Un manipolo di account sui social media» pronti a «coprire d'insulti» questi semidei della bontà.
Segue l'anatema, la scomunica, la maledizione per chi eventualmente si sottragga: «Non c'è via di mezzo», spiega apocalittico Veronesi. «Questa è una di quelle situazioni dalle quali non si scappa: o sei Rita Pavone e la pensi in quel modo, oppure sei quei corpi che resistono fino allo stremo e poi alla fine cessano di vivere».
Dal che si deduce che Rita Pavone, pensandola diversamente da Veronesi e Saviano, non solo sia esclusa dal Pantheon dei belli-e-buoni, ma sia pure moralmente corresponsabile di qualche atroce eventualità. «Caro Roberto, la nostra civiltà sta andando a picco, laggiù».
Insomma, dalla stessa prima pagina del Corriere dove un tempo Pasolini pubblicava i suoi Scritti Corsari, adesso (sic transit eccetera eccetera…) ci tocca leggere le lettere di Veronesi a Saviano, con l'elenco dei buoni e dei cattivi, di chi deve presentarsi al molo e di chi deve stare alla larga. C'è da temere il peggio: che seguano altre paginate con le indicazioni logistiche per l'imbarco-Vip: che tipo di maglietta mettere (una Lacoste rossa?) e in quale cassetta depositare il Rolex prima delle foto di rito.
Daniele Capezzone
Camilleri minimizzava i gulag però dà del fascista a Salvini
Ancora ieri, sui social network, schiere di sinistrati militanti citavano le dichiarazioni rilasciate da Andrea Camilleri in un'intervista uscita domenica su Repubblica. Lo scrittore siciliano, come tanti altri intellettuali di sinistra prima di lui, si è pronunciato sul ritorno del fascismo e sulla minaccia che questo governo costituisce per la democrazia e il vivere civile. «Non voglio fare paragoni ma intorno alle posizioni estremiste di Salvini avverto lo stesso consenso che a dodici anni, nel 1937, sentivo intorno a Mussolini», ha detto Camilleri. «Ed è un brutto consenso perché fa venire alla luce il lato peggiore degli italiani, quello che abbiamo sempre nascosto». A suo pare, il fascismo «è un bacillo mutante che può prendere forme diverse», e «noi non abbiamo voluto liberarcene fino in fondo». Oggi, insomma, il regime sta tornando, assieme ovviamente al razzismo, che sarebbe una delle principali caratteristiche dell'attuale esecutivo.
I sinceri democratici, dunque, dovrebbero ascoltare il saggio monito del grande vecchio Camilleri e mobilitarsi in massa contro Giuseppe Conte, Matteo Salvini, Luigi Di Maio e soci. Del resto, se lo dice un pilastro della cultura italiana, ci sarà da fidarsi… Prima di correre a indossare la maglietta rossa e scendere in piazza, però, aspettate un secondo. Perché vale la pena di indagare un attimo su questi «venerati maestri» che fanno esibizione di sdegno nei confronti dei «populisti». Vediamo allora da che pulpito parla Andrea Camilleri.
Nel 2011, il nostro sincero democratico pubblicò un libro-intervista intitolato Questo mondo un po' sgualcito, a cura di Francesco De Filippo. L'uomo che oggi si preoccupa per il ritorno del regime nazifascista, in quel volume prendeva le difese di un altro regime, quello sovietico. «Se ne avesse avuto il tempo», diceva Camilleri, il Pcus avrebbe potuto realizzare in Russia cose molto positive. Erano partiti bene, insomma, poi però le situazione ha preso una piega differente: «Più tardi ci sono state le azioni riprovevoli, ma non mi riferisco ai gulag», spiegava lo scrittore. «Voglio precisare che i gulag non furono campi di sterminio; Solgenitsin, tanto per fare un nome, con i nazisti non sarebbe sopravvissuto». Certo, non erano campi di sterminio, bensì luoghi di villeggiatura. Camilleri ne era assolutamente convinto: «Queste, chiamiamole così, azioni riprovevoli hanno offuscato ciò che ha rappresentato l'Urss», spiegava. «Per milioni e milioni di persone il riscatto dalla povertà, la dignità del lavoro che l'Urss prometteva, sostituiva di gran lunga l'idea generica di libertà che l'America proponeva senza incidenza sulla realtà economica europea». Inoltre, proseguiva, «non c'è una persona trentenne, dai trent'anni in su, che arrivi dall'ex Unione Sovietica in Italia e che fa la modella, la cantante, la cameriera che non sia ingegnere o diplomata. Ciò significa che se il comunismo fosse continuato in Urss forse oggi l'Urss si troverebbe allo stesso livello della Cina».
Ecco, parliamo un po' della Cina. Camilleri difendeva anche i compagni di Pechino. Non rispettano i diritti umani, è vero, tuttavia «guardiamo in faccia alla realtà: anche i regimi cosiddetti democratici utilizzano il sistema dell'annullamento dell'avversario». Del resto, anche la protesta di piazza Tienanmen fu una sorta di montatura degli occidentali ipocriti: «Se metti cinquantamila in piazza in Cina non sono niente», spiegava Camilleri. E aggiungeva: «Non credo che si spari facilmente neanche in un regime dittatoriale, è di una superficialità assoluta ritenere che lo si faccia facilmente». Infine, la perla: «Non so che cosa c'è dietro Tienanmen quindi perché devo parlarne?».
In fondo, che nei regimi comunisti non ci sia libertà è ovvio e anche comprensibile. Anzi, spiegava Camilleri, è «inevitabile perché tu… non sono cose che vengono fatte perché l'uomo è buono, allora di sua spontanea volontà… tu devi costringere l'uomo a fare alcune cose e quindi alcune libertà personali vengono limitate ma… la domanda che allora io rivolgerei è: dov'è che non vengono limitate le libertà personali nel mondo?».
Già, dove? Persino la Cuba di Fidel, dopo tutto, non era poi così male: «C'è chiaramente una dittatura, ma non ci sono stati desaparecidos, cioè si sa chi era e chi è ancora in galera, con nome e cognome, non ci sono scomparsi perché prelevati di notte dalla polizia o dai paramilitari. Volendo, i parenti possono visitarli. Ci sono state fucilazioni ma vanno viste le condizioni che hanno portato a questo. Sappiamo soltanto quello che ci dice la stampa statunitense e non quella non condizionata».
Queste sono le frasi che Andrea Camilleri pronunciava nel 2011. Difendeva l'Unione Sovietica, giustificava la limitazione della libertà personale e perfino i gulag. Spendeva parole dolci per la Cina e per Cuba. Adesso, però, si dice preoccupato perché al governo ci sono Salvini, la Lega e i 5 stelle. Beh, se è così spaventato potrebbe sempre emigrare: a Pechino lo accoglierebbero di sicuro.
Francesco Borgonovo
E i preti devoti alla sinistra marciano su Roma. Digiuno sotto Montecitorio contro Lega e M5s
Dai terremotati ai poliziotti ai metalmeccanici, dai pescatori ai medici agli agricoltori. Tutti, con megafoni e trombette, hanno manifestato a piazza Montecitorio per farsi sentire dal «Palazzo». All'elenco di tante categorie scese in piazza, però, mancavano soltanto loro: preti di strada, missionari e suore. Per oggi hanno indetto una «giornata di digiuno di giustizia in solidarietà coi migranti» vale a dire un modo per manifestare il proprio dissenso contro le politiche migratorie del ministro dell'Interno Matteo Salvini e del governo Lega-M5s.
Si raduneranno a mezzogiorno davanti alla basilica di San Pietro, poi per 10 giorni, dalle 8 alle 14, saranno in piazza a Montecitorio, dove terranno un presidio. Promotore dell'iniziativa il missionario Alex Zanotelli, che dopo tanti anni vissuti in uno slum della periferia di Nairobi ha scelto di vivere nel rione Sanità a Napoli. Sotto le finestre del Papa e dei politici italiani oltre al comboniano Zanotelli, che sabato scorso ha indossato la maglietta rossa aderendo all'appello di don Luigi Ciotti, Arci, Anpi e Legambiente (come hanno fatto anche alcuni professori in commissione di maturità), ci saranno monsignor Raffaele Nogaro, vescovo emerito di Caserta; suor Rita Giaretta di «Casa Ruth» di Caserta; padre Giorgio Ghezzi, religioso sacramentino; la Comunità del Sacro convento di Assisi. Tra gli organizzatori anche don Alessandro Santoro, della comunità delle Piagge di Firenze, che al sito Internet del Fatto Quotidiano ha dichiarato: «Le scelte del governo sono incompatibili con il Vangelo e con la Costituzione.
Difendiamo il principio di umanità con le armi che abbiamo: il nostro corpo». Nell'appello il gruppo dei manifestanti scrive: «Proponiamo un piccolo segno visibile, pubblico: un digiuno a staffetta con un presidio davanti al Parlamento italiano per dire che non possiamo accettare questa politica delle porte chiuse che provoca la morte nel deserto e nel Mediterraneo di migliaia di migranti». Un appello alla Cei e ai parroci anche se sarà perché sono missionari o preti di strada, ma sembra non abbiano sentito le parole del Papa che, di ritorno da Ginevra, disse con chiarezza «accogliere i migranti, nella misura in cui un Paese può», sottolineando che la vera emergenza sono i trafficanti. Ma i manifestanti non sanno neanche che all'appello fatto ripetutamente da Bergoglio alle parrocchie romane di aprire le porte ai «fratelli migranti» soltanto 38 su 100 danno la loro disponibilità.
Al premier Giuseppe Conte la scorsa settimana ha scritto anche il vescovo emerito di Ivrea, monsignor Luigi Bettazzi, 95 anni, storico ex presidente del movimento pacifista Pax Christi, unico italiano in vita tra i partecipanti al Concilio Vaticano II, tra i «vescovi coraggio» che nel 1978 si offrì invano alle Br per uno scambio con il rapito Aldo Moro: «Siamo tanti a non volerci sentire responsabili di navi bloccate e di porti chiusi, mentre ci sentiamo corresponsabili di governi che, dopo avere sfruttato quei Paesi e continuando a vendere loro armi, poi reagiscono se si fugge da quelle guerre e da quelle povertà; non vogliamo vedere questo Mediterraneo testimone e tomba di una sorta di genocidio, di cui diventiamo tutti in qualche modo responsabili».
Sarina Biraghi
Continua a leggereRiduci
L'autore scrive a Roberto Saviano per convocare «i più valorosi», tipo Chiara Ferragni «che allatta» e Jovanotti, a salpare con lui su una nave Ong. E se non vuoi clandestini «sei Rita Pavone». Lo scrittore paragona il consenso di cui gode il vicepremier a quello che ebbe Benito Mussolini. Lui però in un libro magnificava l'Urss e Fidel: Castro «Dittatura sì, ma senza desaparecidos».Alex Zanotelli guida parroci e suore «di strada» in Vaticano per dieci giorni di proteste. Padre Santoro: «Le scelte di questo governo non sono compatibili con quel che dice il Vangelo».Lo speciale contiene tre articoliNon c'è pace per Sandro Veronesi: l'impegno non dà tregua. La scorsa settimana, il suo nome era comparso tra gli aderenti al fantomatico manifesto anti Salvini della rivista Rolling Stone, con una motivazione e un messaggio particolarmente apocalittici: «Se la società occidentale ha un futuro, ciò che vi sta accadendo oggi apparirà ripugnante così come oggi a noi appare ripugnante la schiavitù. E se non ce l'ha, allora la sua fine è questa, è arrivata».Ora, siccome la fine del mondo si avvicina, Veronesi ha deciso che non c'è tempo da perdere. Dunque, ha preso carta e penna, e, dalla prima pagina del Corriere della Sera, ha scritto a Roberto Saviano una lettera straziante. Tema: «Mettiamo il nostro corpo su quelle imbarcazioni». Voi, lettori maliziosi, direte subito: si riferisce a qualche yacht per le vacanze d'agosto. Ma è uno sguaiato pensiero populista, un sospetto becero del quale dovreste vergognarvi. Qui si vola altissimo. E soprattutto si soffre: come solo delle anime delicate e sensibili possono fare.L'inizio della lettera, per la verità, è un po' faticoso. Veronesi si attorciglia pensoso sul «tempo del corpo», spiegando che questo gli toglie «parecchie energie, e anche un bel po' del mio sonno». E voi capite bene che con le energie e il sonno degli scrittori non si scherza.Segue la parte più politicante, quindi più lagnosa, della lettera.Supersintesi: sull'immigrazione c'è una propaganda inaccettabile, la mistificazione ha superato la corretta informazione, quindi bisogna fare qualcosa. Cosa? «Rompere gli indugi e metterci direttamente il corpo». E Saviano che c'entra? C'entra, spiega Veronesi, perché «caro Roberto, il tuo corpo è già in ballo, da anni: è già sul campo».Non solo Saviano (da New York) ma pure un lettore da Cinisello Balsamo dovrà faticare altre trenta-quaranta righe per capire dove Veronesi voglia effettivamente andare a parare. Finalmente ci si arriva: «Ammesso che una di queste navi Ong che incrociano al largo delle acque libiche conceda qualche posto a bordo, pensi che i corpi più importanti del nostro Paese - quelli più valorosi, più ammirati, più amati, più belli, più dotati, più preziosi, più popolari, più desiderati - siano tutti impossibilitati a unirsi a me e a te, nell'occupare quei posti?».Cercate di non distrarvi, perché siamo arrivati al punto. C'è un'aristocrazia intellettuale, un sinedrio di anime elevate e superiori, un modello di bellezza interiore ed esteriore, fisica e spirituale insieme: «Kalos kai agathos», come nella versione di greco al liceo. Insomma: c'è una supercasta di strafighi, di gente sensibile e colta, mica selvaggi come voi, che deve salire sui barconi per spiegare chi ha ragione e chi ha torto.A questo punto, Veronesi dirama le convocazioni e sceglie gli undici da schierare in campo, anzi in barca. Può sorgere il dubbio che si tratti di uno scherzo feroce, di un'autosatira corrosiva, di una caricatura preventiva, ma invece Veronesi è serissimo, e snocciola la formazione: il commissario Montalbano («che ha il doppio di spettatori della Lega»), Francesco Totti, Checco Zalone, Claudio Baglioni, Federica Pellegrini, Jovanotti, Sofia Goggia, Adriano Celentano, Monica Bellucci (testuale: «come interprete dal francese»). Poi Chiara Ferragni («che allatta», precisa implacabile Veronesi), e Giorgio Armani «che compie 84 anni».Veronesi è tormentato: «Lo so, più i corpi sono preziosi, più hanno da rimetterci a fare una cosa del genere». Mica sono plebei come voi: «Un manipolo di account sui social media» pronti a «coprire d'insulti» questi semidei della bontà.Segue l'anatema, la scomunica, la maledizione per chi eventualmente si sottragga: «Non c'è via di mezzo», spiega apocalittico Veronesi. «Questa è una di quelle situazioni dalle quali non si scappa: o sei Rita Pavone e la pensi in quel modo, oppure sei quei corpi che resistono fino allo stremo e poi alla fine cessano di vivere». Dal che si deduce che Rita Pavone, pensandola diversamente da Veronesi e Saviano, non solo sia esclusa dal Pantheon dei belli-e-buoni, ma sia pure moralmente corresponsabile di qualche atroce eventualità. «Caro Roberto, la nostra civiltà sta andando a picco, laggiù».Insomma, dalla stessa prima pagina del Corriere dove un tempo Pasolini pubblicava i suoi Scritti Corsari, adesso (sic transit eccetera eccetera…) ci tocca leggere le lettere di Veronesi a Saviano, con l'elenco dei buoni e dei cattivi, di chi deve presentarsi al molo e di chi deve stare alla larga. C'è da temere il peggio: che seguano altre paginate con le indicazioni logistiche per l'imbarco-Vip: che tipo di maglietta mettere (una Lacoste rossa?) e in quale cassetta depositare il Rolex prima delle foto di rito.Daniele Capezzone<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/tutti-in-mare-per-gli-immigrati-veronesi-prende-il-timone-dellarca-di-noe-radical-chic-2585209865.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="camilleri-minimizzava-i-gulag-pero-da-del-fascista-a-salvini" data-post-id="2585209865" data-published-at="1765300758" data-use-pagination="False"> Camilleri minimizzava i gulag però dà del fascista a Salvini Ancora ieri, sui social network, schiere di sinistrati militanti citavano le dichiarazioni rilasciate da Andrea Camilleri in un'intervista uscita domenica su Repubblica. Lo scrittore siciliano, come tanti altri intellettuali di sinistra prima di lui, si è pronunciato sul ritorno del fascismo e sulla minaccia che questo governo costituisce per la democrazia e il vivere civile. «Non voglio fare paragoni ma intorno alle posizioni estremiste di Salvini avverto lo stesso consenso che a dodici anni, nel 1937, sentivo intorno a Mussolini», ha detto Camilleri. «Ed è un brutto consenso perché fa venire alla luce il lato peggiore degli italiani, quello che abbiamo sempre nascosto». A suo pare, il fascismo «è un bacillo mutante che può prendere forme diverse», e «noi non abbiamo voluto liberarcene fino in fondo». Oggi, insomma, il regime sta tornando, assieme ovviamente al razzismo, che sarebbe una delle principali caratteristiche dell'attuale esecutivo. I sinceri democratici, dunque, dovrebbero ascoltare il saggio monito del grande vecchio Camilleri e mobilitarsi in massa contro Giuseppe Conte, Matteo Salvini, Luigi Di Maio e soci. Del resto, se lo dice un pilastro della cultura italiana, ci sarà da fidarsi… Prima di correre a indossare la maglietta rossa e scendere in piazza, però, aspettate un secondo. Perché vale la pena di indagare un attimo su questi «venerati maestri» che fanno esibizione di sdegno nei confronti dei «populisti». Vediamo allora da che pulpito parla Andrea Camilleri. Nel 2011, il nostro sincero democratico pubblicò un libro-intervista intitolato Questo mondo un po' sgualcito, a cura di Francesco De Filippo. L'uomo che oggi si preoccupa per il ritorno del regime nazifascista, in quel volume prendeva le difese di un altro regime, quello sovietico. «Se ne avesse avuto il tempo», diceva Camilleri, il Pcus avrebbe potuto realizzare in Russia cose molto positive. Erano partiti bene, insomma, poi però le situazione ha preso una piega differente: «Più tardi ci sono state le azioni riprovevoli, ma non mi riferisco ai gulag», spiegava lo scrittore. «Voglio precisare che i gulag non furono campi di sterminio; Solgenitsin, tanto per fare un nome, con i nazisti non sarebbe sopravvissuto». Certo, non erano campi di sterminio, bensì luoghi di villeggiatura. Camilleri ne era assolutamente convinto: «Queste, chiamiamole così, azioni riprovevoli hanno offuscato ciò che ha rappresentato l'Urss», spiegava. «Per milioni e milioni di persone il riscatto dalla povertà, la dignità del lavoro che l'Urss prometteva, sostituiva di gran lunga l'idea generica di libertà che l'America proponeva senza incidenza sulla realtà economica europea». Inoltre, proseguiva, «non c'è una persona trentenne, dai trent'anni in su, che arrivi dall'ex Unione Sovietica in Italia e che fa la modella, la cantante, la cameriera che non sia ingegnere o diplomata. Ciò significa che se il comunismo fosse continuato in Urss forse oggi l'Urss si troverebbe allo stesso livello della Cina». Ecco, parliamo un po' della Cina. Camilleri difendeva anche i compagni di Pechino. Non rispettano i diritti umani, è vero, tuttavia «guardiamo in faccia alla realtà: anche i regimi cosiddetti democratici utilizzano il sistema dell'annullamento dell'avversario». Del resto, anche la protesta di piazza Tienanmen fu una sorta di montatura degli occidentali ipocriti: «Se metti cinquantamila in piazza in Cina non sono niente», spiegava Camilleri. E aggiungeva: «Non credo che si spari facilmente neanche in un regime dittatoriale, è di una superficialità assoluta ritenere che lo si faccia facilmente». Infine, la perla: «Non so che cosa c'è dietro Tienanmen quindi perché devo parlarne?». In fondo, che nei regimi comunisti non ci sia libertà è ovvio e anche comprensibile. Anzi, spiegava Camilleri, è «inevitabile perché tu… non sono cose che vengono fatte perché l'uomo è buono, allora di sua spontanea volontà… tu devi costringere l'uomo a fare alcune cose e quindi alcune libertà personali vengono limitate ma… la domanda che allora io rivolgerei è: dov'è che non vengono limitate le libertà personali nel mondo?». Già, dove? Persino la Cuba di Fidel, dopo tutto, non era poi così male: «C'è chiaramente una dittatura, ma non ci sono stati desaparecidos, cioè si sa chi era e chi è ancora in galera, con nome e cognome, non ci sono scomparsi perché prelevati di notte dalla polizia o dai paramilitari. Volendo, i parenti possono visitarli. Ci sono state fucilazioni ma vanno viste le condizioni che hanno portato a questo. Sappiamo soltanto quello che ci dice la stampa statunitense e non quella non condizionata». Queste sono le frasi che Andrea Camilleri pronunciava nel 2011. Difendeva l'Unione Sovietica, giustificava la limitazione della libertà personale e perfino i gulag. Spendeva parole dolci per la Cina e per Cuba. Adesso, però, si dice preoccupato perché al governo ci sono Salvini, la Lega e i 5 stelle. Beh, se è così spaventato potrebbe sempre emigrare: a Pechino lo accoglierebbero di sicuro. Francesco Borgonovo <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/tutti-in-mare-per-gli-immigrati-veronesi-prende-il-timone-dellarca-di-noe-radical-chic-2585209865.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="e-i-preti-devoti-alla-sinistra-marciano-su-roma-digiuno-sotto-montecitorio-contro-lega-e-m5s" data-post-id="2585209865" data-published-at="1765300758" data-use-pagination="False"> E i preti devoti alla sinistra marciano su Roma. Digiuno sotto Montecitorio contro Lega e M5s Dai terremotati ai poliziotti ai metalmeccanici, dai pescatori ai medici agli agricoltori. Tutti, con megafoni e trombette, hanno manifestato a piazza Montecitorio per farsi sentire dal «Palazzo». All'elenco di tante categorie scese in piazza, però, mancavano soltanto loro: preti di strada, missionari e suore. Per oggi hanno indetto una «giornata di digiuno di giustizia in solidarietà coi migranti» vale a dire un modo per manifestare il proprio dissenso contro le politiche migratorie del ministro dell'Interno Matteo Salvini e del governo Lega-M5s. Si raduneranno a mezzogiorno davanti alla basilica di San Pietro, poi per 10 giorni, dalle 8 alle 14, saranno in piazza a Montecitorio, dove terranno un presidio. Promotore dell'iniziativa il missionario Alex Zanotelli, che dopo tanti anni vissuti in uno slum della periferia di Nairobi ha scelto di vivere nel rione Sanità a Napoli. Sotto le finestre del Papa e dei politici italiani oltre al comboniano Zanotelli, che sabato scorso ha indossato la maglietta rossa aderendo all'appello di don Luigi Ciotti, Arci, Anpi e Legambiente (come hanno fatto anche alcuni professori in commissione di maturità), ci saranno monsignor Raffaele Nogaro, vescovo emerito di Caserta; suor Rita Giaretta di «Casa Ruth» di Caserta; padre Giorgio Ghezzi, religioso sacramentino; la Comunità del Sacro convento di Assisi. Tra gli organizzatori anche don Alessandro Santoro, della comunità delle Piagge di Firenze, che al sito Internet del Fatto Quotidiano ha dichiarato: «Le scelte del governo sono incompatibili con il Vangelo e con la Costituzione. Difendiamo il principio di umanità con le armi che abbiamo: il nostro corpo». Nell'appello il gruppo dei manifestanti scrive: «Proponiamo un piccolo segno visibile, pubblico: un digiuno a staffetta con un presidio davanti al Parlamento italiano per dire che non possiamo accettare questa politica delle porte chiuse che provoca la morte nel deserto e nel Mediterraneo di migliaia di migranti». Un appello alla Cei e ai parroci anche se sarà perché sono missionari o preti di strada, ma sembra non abbiano sentito le parole del Papa che, di ritorno da Ginevra, disse con chiarezza «accogliere i migranti, nella misura in cui un Paese può», sottolineando che la vera emergenza sono i trafficanti. Ma i manifestanti non sanno neanche che all'appello fatto ripetutamente da Bergoglio alle parrocchie romane di aprire le porte ai «fratelli migranti» soltanto 38 su 100 danno la loro disponibilità. Al premier Giuseppe Conte la scorsa settimana ha scritto anche il vescovo emerito di Ivrea, monsignor Luigi Bettazzi, 95 anni, storico ex presidente del movimento pacifista Pax Christi, unico italiano in vita tra i partecipanti al Concilio Vaticano II, tra i «vescovi coraggio» che nel 1978 si offrì invano alle Br per uno scambio con il rapito Aldo Moro: «Siamo tanti a non volerci sentire responsabili di navi bloccate e di porti chiusi, mentre ci sentiamo corresponsabili di governi che, dopo avere sfruttato quei Paesi e continuando a vendere loro armi, poi reagiscono se si fugge da quelle guerre e da quelle povertà; non vogliamo vedere questo Mediterraneo testimone e tomba di una sorta di genocidio, di cui diventiamo tutti in qualche modo responsabili».Sarina Biraghi
Marco Scatarzi in foto piccola (Ansa)
Marco Scatarzi, dal 2017 direttore di Passaggio al bosco, è stanco ma tranquillo, di sicuro soddisfatto nonostante i momenti di tensione. Con La Verità ripercorre i passaggi che hanno portato il suo marchio ad avere uno stand alla fiera romana «Più libri più liberi». «Da anni facevamo domanda di partecipazione con la regolare modulistica e per anni siamo stati sempre avvisati che gli spazi non erano disponibili», spiega. «Anche quest’anno in realtà avevamo ricevuto l’email che appunto ci avvisava della mancanza di spazi disponibili, poi però siamo stati ripescati a settembre e ci è stato concesso uno stand».
Come mai?
«Perché lo scorso anno, in polemica con l’organizzazione, molte case editrici di sinistra avevano disdetto la prenotazione e quindi hanno liberato spazi».
Dunque esiste una polemica interna fra la direzione della fiera e le case editrici?
«Mi sembra di aver colto questa polemica che si protrae da anni, per le più svariate motivazioni che ogni anno cambiano. Quest’anno è stata Passaggio al bosco l’oggetto del contendere, ma una dialettica accesa esiste da tempo».
Che cosa vi è stato richiesto per partecipare?
«C’è un regolamento da sottoscrivere con varie clausole, che per altro molti hanno citato nei giorni scorsi. Si chiede il rispetto della Costituzione, dei diritti umani... E poi ovviamente c’è la quota di pagamento che attesta appunto l’affitto dello spazio».
Fate richiesta da anni. Nessuno vi aveva mai detto nulla?
«No, assolutamente no».
Poi è arrivato l’appello, la richiesta di cacciarvi da parte di un centinaio tra autori e case editrici. Come ne siete venuti a conoscenza?
«Lo abbiamo appreso dai social network dopo che l’onorevole Fiano, con un post, ha chiesto il nostro allontanamento dalla fiera. Quel post ha generato nei giorni seguenti l’appello di Zerocalcare e degli altri intellettuali, se così possiamo definirli, che appunto chiedevano di mandarci via».
Vi hanno accusato di essere fascisti e neonazisti. Cosa rispondete?
«Che abbiamo un catalogo vastissimo, con parecchie di collane, 300 titoli e un pluriverso di autori che spaziano geograficamente in tutto il mondo e in tutte le anime della cosiddetta “destra”. Abbiamo un orientamento identitario e cerchiamo di rappresentare le varie anime del pensiero della destra, dando corpo ad un approfondimento che abbraccia storia, filosofia, società, geopolitica, sport, viaggi e molto altro. Ovviamente, come da prassi, il tutto viene sistematicamente strumentalizzato attraverso i soliti spauracchi caricaturali: ciò che disturba, senza dubbio, è la diffusione di un pensiero non allineato, soprattutto sui temi di stretta attualità. Le voci libere dal coro unanime del progressismo, si sa, sono sempre oggetto di demonizzazione».
Vi hanno rimproverato di aver pubblicato Léon Degrelle.
«Rispondo citando ciò che Roberto Saviano ha detto a Più libri più liberi, quando ha risposto alle polemiche alzate dai firmatari della petizione: tutti i libri hanno il diritto di essere letti e di esistere. Non abbiamo bisogno di badanti ideologiche… Ebbene, noi cerchiamo di offrire uno sguardo diverso, un punto di vista anche radicale, perché riteniamo che sia importante conoscere tutto. E non ci sentiamo di dover prendere lezioni di morale da chi magari nei propri cataloghi - del tutto legittimamente, perché io per primo li leggo - ha libri altrettanto radicali, benché di orientamento opposto a quello che viene rimproverato a noi».
Come è stata la permanenza alla fiera?
«Ci sono state molte contestazioni, diverse aggressioni verbali, cortei improvvisati, cori con “Bella ciao” e tentativi di boicottaggio che hanno cercato di minare la nostra partecipazione. Non ce ne lamentiamo: abbiamo risposto con la forza tranquilla del nostro sorriso, svolgendo il nostro lavoro».
E i vertici della fiera? È venuto qualcuno a parlare con voi?
«Sì, naturalmente. Hanno apprezzato il nostro profilo asciutto e professionale. Qualcuno ha scambiato la fiera per un centro sociale, ma non ci siamo mai fatti intimorire o provocare. Abbiamo evitato in ogni modo possibile di alimentare la polemica e non ci siamo prestati alla ribalta mediatica provocazioni anzi le abbiamo anche accolte col sorriso e non abbiamo neanche cercato la ribalta mediatica: il nostro - appunto - è un lavoro editoriale di approfondimento. Può non piacere, ma ha diritto di esprimersi».
Zerocalcare dice che avete organizzato un’operazione politica, che siete organici al partito di governo.
«Ovviamente non esiste alcuna operazione politica: esiste soltanto una casa editrice che partecipa ad una fiera dedicata ai libri. L’operazione politica - semmai - è quella della sinistra radicale che si organizza per montare una polemica, cercando di censurare chi la pensa diversamente. Hanno montato una polemica politica stucchevole, che molti hanno condannato anche da sinistra. Peraltro, sottolineo ancora una volta che Passaggio al bosco contiene in sé un pluriverso enorme di autori, di esperienze, di persone e di realtà: alcune sono impegnate politicamente, molte altre no. Di certo, non può essere ritenuta organica ad alcunché, se non alla propria attività di divulgazione culturale. Ma poi, con quale coraggio una sinistra radicale che fa sistema da anni, spesso con la logica della “cupola”, si permette di avanzare simili obiezioni?»
Chiederete di partecipare a Più libri più liberi anche l’anno prossimo?
«Certamente. Chiederemo di partecipare - come quest’anno - ad un festival che ospita gli editori. Saremo felici di esserci con i nostri testi, con i nostri autori e con la nostra attività. Sicuramente, anche al di là delle contestazioni, quella appena conclusa è stata un’esperienza importante, in una fiera ben organizzata e molto bella. Avremmo piacere di ripeterla».
Avete venduto bene?
«Abbiamo venduto benissimo, terminando tutti i nostri libri. Per quattro volte siamo dovuti tornare a rifornirci in Toscana e il nostro è stato certamente uno degli stand più visitati della fiera. Il boicottaggio ha sortito l’effetto contrario: ci hanno contattato già centinaia di autori, di distributori, di traduttori, di agenti pubblicitari e di addetti ai lavori. Ogni tipo di figura operante nel campo dell’editoria non solo ci ha mostrato solidarietà, ma è venuta da noi a conoscerci e a proporci nuove collaborazioni. Quindi, se prima eravamo una casa editrice emergente, adesso abbiamo accesso ad un pubblico più ampio e a canali che ci permetteranno di arrivare là dove non eravamo mai arrivati».
Continua a leggereRiduci
iStock
Un’associazione che non ha mai fatto del male a nessuno e che porta avanti un’agenda pro life attraverso tre direttrici fondamentali: fare pressione politica affinché anche questa visione del mondo venga accolta dalle istituzioni internazionali; educare i giovani al rispetto della vita dal concepimento alla morte naturale; e, infine, promuovere attività culturali, come ad esempio scambi internazionali ed Erasmus, affinché i giovani si sviluppino integralmente attraverso il bello.
In passato, la World youth alliance ha ottenuto, come è giusto che sia, diversi finanziamenti da parte dell’Unione europea (circa 1,2 milioni) senza che nessuno dicesse alcunché. Ora però qualcosa è cambiato. La World youth alliance, infatti, ha partecipato ad alcuni bandi europei ottenendo oltre 400.000 euro di fondi per organizzare le proprie attività. La normalità, insomma. Poi però sono arrivate tre interrogazioni da parte dei partiti di sinistra, che hanno evidenziato come gli ideali portati avanti da questa associazione siano contrari (secondo loro) all’articolo 14 dell’Accordo di sovvenzione, secondo cui «l’Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze. Questi valori sono comuni agli Stati membri in una società in cui prevalgono il pluralismo, la non discriminazione, la tolleranza, la giustizia, la solidarietà e la parità tra donne e uomini».
Il punto, però, è che la World youth alliance non ha mai contraddetto questi valori, ma ha semplicemente portato avanti una visione pro life, come è lecito che sia, e sostenuto che si può non abortire. Che c’è sempre speranza. Che la vita, di chiunque essa sia, va sempre difesa. Che esistono solamente due sessi. Posizioni che, secondo la sinistra, sarebbero contrarie ai valori dell’Ue.
Come nota giustamente l’eurodeputato Paolo Inselvini (Fdi) da cui è partita la denuncia dopo che la World youth alliance si è rivolta a lui affidandogli i documenti, le interrogazioni presentate fanno riferimento a documenti politici che non esistevano nel momento in cui è stata fatta la richiesta di fondi e che ora vengono utilizzati in modo retroattivo. Come, per esempio, la Strategia europea Lgbtiq 2026-2030, che è stata adottata lo scorso ottobre, e la Roadmap sui diritti delle donne, che è stata comunicata in Commissione nel marzo del 2025. Documenti che ora vengono utilizzati come clave per togliere i fondi.
Secondo Inselvini, che a breve invierà una lettera in cui chiederà chiarimenti alla Commissione europea, «si stanno costruendo “nuovi valori europei” non sulla base dei Trattati, della Carta dei diritti fondamentali o della tradizione giuridica europea, ma sulla base di orientamenti politici tutt’altro che condivisi dai cittadini europei».
Ma non solo. In questo modo, prosegue l’eurodeputato, «i fondi vanno sempre agli stessi. Questa vicenda, infatti, si inserisce in un quadro più ampio: fondi e spazi istituzionali sembrano essere accessibili solo a chi promuove l’agenda progressista. Basta guardare alle priorità politiche ed economiche: 3,6 miliardi trovati senza esitazione per la nuova strategia Lgbtq+, mentre le realtà che non si allineano vengono marginalizzate, ignorate o addirittura sanzionate. L’Europa non può diventare un sistema di fidelizzazione ideologica in cui si accede a risorse pubbliche solo a condizione di adottare un certo vocabolario e una certa visione del mondo».
Perché è proprio questo che è diventata oggi l’Ue: un ente che punisce chiunque osi pensarla diversamente. Un’organizzazione che è diventata il megafono delle minoranze, soprattutto quelle Lgbt, e che non ammette alcuna contraddizione. Chi osa esprimere dubbi, o semplicemente il proprio pensiero, viene punito. Via i fondi alla Fafce e alla World youth alliance, quindi.
Il tutto in nome del rispetto per le opinioni degli altri. «Se oggi si arriva a censire, controllare e punire un’organizzazione non per quello che fa, ma per quello che crede, allora significa che qualcosa si è rotto», conclude Inselvini.
Continua a leggereRiduci
(Totaleu)
Lo ha detto il ministro a margine del consiglio per gli Affari interni, riguardo ai centri di rimpatrio in Albania.