2018-09-01
Tutti i vescovi legati a McCarrick hanno fatto guerra ai conservatori
Ansa
Si potrebbe provare a leggere il memoriale Viganò, e anche il silenzio di Bergoglio sulla veridicità o meno dello stesso, in questo modo: nel dialogo tra l'ex nunzio e papa Francesco, riguardo al cardinale Theodore McCarrick, il Pontefice si trova spiazzato, perché da una parte sospetta di lui (non è detto che abbia alcuna prova), dall'altra gli è grato, sebbene non direttamente. La sua domanda, «McCarrick com'è?», può nascondere proprio questo scrupolo: Bergoglio sa di dovergli, in parte, l'elezione, ma conosce anche i sospetti su di lui.
Perché il Papa poteva essere grato a McCarrick, ma «non direttamente»? Semplicemente perché il cardinale ha partecipato agli incontri pre conclave, ma non al conclave stesso, dove però sembra essere stato protagonista un suo pupillo, il cardinale Donald Wuerl, che nel 2006 aveva sostituito proprio McCarrick come arcivescovo di Washington. Se rileggiamo alcune ricostruzioni del conclave del 2013, come quella del vaticanista di Repubblica Paolo Rodari (15 marzo 2013), troviamo questa affermazione: «Insieme agli italiani (sodaniani e bertoniani, ndr) anche gli americani», sono stati «spinti su Bergoglio dal loro principale Pope Maker: l'arcivescovo di Washington Donald Wuerl». Anche alcuni giornalisti americani all'epoca presentarono Wuerl, se non come il «Pope Maker», come uno di essi.
Questo aiuta a capire un passaggio successivo: papa da soli sette mesi, Bergoglio rimuove dall'importantissima congregazione dei vescovi il cardinale Raymond Burke (forse uno degli americani che non lo avevano votato? Certamente un vescovo molto lontano da Wuerl) e vi mette proprio Donald Wuerl. Il seguito è noto: i pupilli di McCarrick, cioè Kevin Farrell, Joseph William Tobin, Blase Cupich, tutte personalità inclini a un dialogo stretto con il mondo Lgbt e favorevoli ad Amoris laetitia, vengono nominati cardinali. Chi li ha segnalati a Francesco? Forse non il cardinale omosessuale e abusatore McCarrick, ma il suo fedelissimo Wuerl. Che dunque può essere stato il tramite, più «presentabile» e credibile.
Un ulteriore dettaglio: Viganò scrive che il Papa, incontrandolo nel giugno 2013, subito lo «investì con tono di rimprovero con queste parole: “I vescovi degli Stati Uniti non devono essere ideologizzati! Devono essere pastori!"».
Il video dell'incontro sembra dare ragione a Viganò. Infatti, dopo un veloce saluto di circostanza, mostra Bergoglio che afferma: «Ma negli Stati Uniti…». Poi il video si ferma. Quel «ma» deciso, all'inizio del colloquio, sembra indicare che per Francesco qualcosa negli Usa non va. Poco dopo, come detto, le nomine cambieranno direzione, rispetto all'epoca di Benedetto XVI, e verranno promossi per lo più vescovi «liberal», come i cardinali già citati, a discapito dei «conservatori».
Commentando l'esclusione di Burke e la nomina di Wuerl alla congregazione dei vescovi, il vaticanista dell'Espresso Sandro Magister il 20 dicembre 2013 scrive: «Al posto di Burke il Papa ha scelto Wuerl, che […] ha un atteggiamento molto più morbido di Burke nei confronti dei politici pro aborto. Questo cambiamento è stato salutato positivamente nel mondo “liberal" americano, che ora spera nella scelta di vescovi più progressisti rispetto a quelli nominati negli ultimi anni».
Analoga la linea adottata in Italia: basti ricordare che uno dei primi discorsi di monsignor Nunzio Galantino, scelto da Bergoglio come segretario della Cei, fu contro le persone che pregano davanti agli ospedali contro l'aborto, mentre buona parte del suo impegno successivo è stato per boicottare i due Family day contro il gender, l'utero in affitto e la legge Cirinnà, in discontinuità con l'azione della Cei di Camillo Ruini e Angelo Bagnasco.
Infine, una curiosità: in seguito alla pubblicazione dei famosi Dubia, Wuerl lanciò l'idea che forse era il caso, per Burke, di rinunciare alla berretta cardinalizia, facendo un paragone piuttosto esplicito con quanto avvenuto ai tempi di Pio XI con Louis Billot. Subito diversi giornalisti italiani e non, tra cui Andrea Tornielli e Alberto Melloni, rilanciarono molto misericordiosamente la proposta, fingendo di ignorare quanti sono stati nella storia della Chiesa gli scontri tra pontefici e alti ecclesiastici, a partire da San Pietro e San Paolo.
Oggi Burke conserva la sua berretta, mentre l'ha persa, perché considerato colpevole, il padrino di Wuerl, McCarrick. Di più, sia Wuerl che Farrell sono al centro di una campagna mediatica fortissima, alimentata dagli stessi cattolici e anche da giornali «liberal» americani, che ne chiedono le dimissioni da cardinale, in nome dell'intima vicinanza dei due a McCarrick e dei risultati del rapporto del grand jury della Pennsylvania, secondo il quale Wuerl, quando era vescovo di Pittsburgh, «trasferì e spostò preti che avevano abusato di adolescenti maschi, nascondendo le notizie alle autorità civili e addirittura pagando uno di loro perché tacesse».
Stefano Agnoli
Il cardinale dà del «sicario» al giornalista
75 anni, arcivescovo di Tegucigalpa e coordinatore del gruppo di 9 cardinali che coadiuva Francesco nel governo della Chiesa.
Intervistato dalla testata in lingua spagnola Periodista digital, Maradiaga ha risposto alla domanda sul caso Viganò e le accuse che lo riguardano nel memoriale dell'ex nunzio negli Stati Uniti. Da «circa tre anni», ha detto, «sono vittima di un “sicario" che pratica molestie sui media. Il suo nome è Edward Pentin e lavora per un giornale della rete Ewt chiamato National Catholic Register». Si dà il caso che il Register sia uno dei media che domenica scorsa, insieme alla Verità, ha diffuso il memoriale di Viganò, perciò il riferimento al «sicario» potrebbe voler dire che per il cardinale tutto il dossier si riduce a una operazione dei soliti nemici. Penne al servizio di chissà chi e dedite non all'informazione, ma alla demolizione prezzolata dell'avversario. È una narrazione (non dimostrata) che va per la maggiore sul caso Viganò, sostenuta da tanti media paravaticani che tirano in ballo poteri forti statunitensi, piogge di dollari e magari, aggiungiamo noi, anche James Bond.
Maradiaga si difende dal «sicario» Pentin e ne mette in discussione la professionalità: «Non ho mai parlato con lui», dice, «ma ha usato la “diffamazione anonima" che è stata pubblicata da un altro “sicario" honduregno in un giornale locale che costantemente mi insulta e mi calunnia. Chi sono io, arcivescovo di una piccola diocesi e un piccolo Paese per apparire diffamato nella stampa mondiale, senza possibilità di difendermi?».
Sarà anche piccola, la diocesi di Tegucigalpa, ma sembra ben attrezzata in quanto a mezzi finanziari, visto che una della questioni sollevate da Pentin sul conto di Maradiaga riguarda la fine che ha fatto una sovvenzione caritatevole di 1,3 milioni di dollari che il vescovo ausiliare del cardinale, José Pineda Fasquelle, ha ottenuto dal governo dell'Honduras, ma che non è mai stata resa nota. Pineda, 57 anni, ha visto le proprie dimissioni accettate da papa Francesco lo scorso 20 luglio, dopo un'indagine che il Vaticano ha condotto per mano del vescovo argentino Alcides Casaretto. Le accuse al braccio destro di Maradiaga (Pineda era suo ausiliare dal 2005) riguardano sia cattiva e opaca gestione finanziaria che comportamenti sessuali inappropriati anche con giovani seminaristi. Su questa faccenda il «sicario» Pentin ha avuto l'ardire di porre una domanda: cosa può dire il cardinale Maradiaga a proposito del suo ausiliare? Era a conoscenza di queste situazioni?
Inoltre, il «sicario» ha reso nota una lettera scritta da 48 seminaristi su 180 iscritti nel seminario della diocesi di Maradiaga. «Stiamo vivendo e sperimentando», hanno scritto, «un tempo di tensione nella nostra casa a causa di situazioni gravemente immorali, soprattutto di omosessualità attiva all'interno del seminario», cosa che evidentemente è in contrasto con le attuali norme della Chiesa rispetto all'ingresso nelle case di formazione. La cosa, denunciano i seminaristi ai loro insegnanti, andrebbe avanti da tempo, tanto che «per il fatto di aver insabbiato e penalizzato questa situazione, il problema si è rafforzato, diventando, come un sacerdote ha detto non molto tempo fa, una “epidemia nel seminario"». La lettera ha fatto seguito anche al fallito tentativo di suicidio di un seminarista della diocesi honduregna di Santa Rosa de Copán, il quale aveva scoperto che il suo amante nel seminario era impegnato in un'altra relazione.
Pentin sostiene anche di avere in mano «prove fotografiche di pornografia omosessuale, scambiate su Whatsapp tra seminaristi che non hanno firmato la lettera». I messaggi «sono stati verificati come autentici da specialisti informatici presso l'Università cattolica dell'Honduras che hanno perquisito la memoria del computer e hanno consegnato gli scambi ai vescovi del Paese». Il tutto sarebbe poi stato discusso dai vescovi che hanno respinto le accuse, sebbene abbiano riconosciuto che c'è una «fragilità affettiva e sessuale che ci colpisce tutti e che può generare atteggiamenti e comportamenti inappropriati». Maradiaga da parte sua avrebbe liquidato la lettera e le notizie di Pentin come «chiacchiere». E ora accusa di killeraggio un giornalista che non rinuncia a fare il proprio mestiere. Il cardinale dice di non avere avuto dal «sicario» la possibilità di difendersi, ma forse non la racconta tutta. Ha dichiarato Pentin all'inglese Catholic Herald: «Ho scritto al cardinale quattro volte quest'anno chiedendogli di commentare tutti questi problemi e di dare la sua versione della storia, invitandolo anche a incontrarmi quando fosse passato qui a Roma. Un collega che ha collaborato con me lo ha contattato in diverse occasioni per un commento. Tutte queste richieste non hanno mai avuto risposta».
Eppure il cardinale ha già mostrato di conoscere la deontologia professionale dei cronisti. Emiliano Fittipaldi aveva tirato in ballo Maradiaga sul settimanale L'Espresso sul finire del 2017 per una prebenda di 35.000 euro ricevuta mensilmente, per anni, dall'Università cattolica dell'Honduras, dove il porporato era gran cancelliere, ma soprattutto per alcune manovre intorno a grandi somme di denaro della diocesi girate a finanziarie londinesi e di cui si sarebbero perse le tracce, oltre che per un'inchiesta della Corte dei conti dell'Honduras condotta sui bilanci della diocesi per il periodo 2012-2014. Dopo quella inchiesta giornalistica il Papa telefonò a Maradiaga per sostenerlo, e lui poi dichiarò alla Stampa la sua completa innocenza: «È tutta una calunnia», pubblicata da «un giornalista con poca etica». Perché, aggiunse Maradiaga, «una regola di base dell'etica professionale del comunicatore è che quando si tratta di diffondere qualcosa che riguarda una persona bisogna fare prima lo sforzo di parlare con essa».
A questo punto però anche a noi abbiamo una domanda da fare al cardinale esperto di comunicazione: se Fittipaldi era colpevole di non averla interpellata, perché Pentin il «sicario», che dichiara di averle scritto quattro volte e quindi di aver fatto «lo sforzo» di parlare con lei, non ha mai ricevuto risposta? Il rapporto tra prelati e giornalisti ultimamente è davvero problematico. Se non si fanno domande non si segue l'etica professionale, ma se si fanno domande non si riceve risposta.
Lorenzo Bertocchi
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Il documento di Carlo Maria Viganò illumina le ragioni della svolta «liberal» impressa da Francesco alla Chiesa Usa A partire dalla sostituzione di Raymond Burke, firmatario dei Dubia, con Donald William Wuerl, pupillo del porporato molestatore.L'honduregno Oscar Rodriguez Maradiaga, accusato anche dalla testimonianza dell'ex nunzio, insulta un cronista perché scrive degli scandali gay che lo circondano a Tegucigalpa. Ma una lettera di 48 seminaristi della sua diocesi conferma: qui l'omosessualità è una «epidemia».Lo speciale contiene due articoliSi potrebbe provare a leggere il memoriale Viganò, e anche il silenzio di Bergoglio sulla veridicità o meno dello stesso, in questo modo: nel dialogo tra l'ex nunzio e papa Francesco, riguardo al cardinale Theodore McCarrick, il Pontefice si trova spiazzato, perché da una parte sospetta di lui (non è detto che abbia alcuna prova), dall'altra gli è grato, sebbene non direttamente. La sua domanda, «McCarrick com'è?», può nascondere proprio questo scrupolo: Bergoglio sa di dovergli, in parte, l'elezione, ma conosce anche i sospetti su di lui. Perché il Papa poteva essere grato a McCarrick, ma «non direttamente»? Semplicemente perché il cardinale ha partecipato agli incontri pre conclave, ma non al conclave stesso, dove però sembra essere stato protagonista un suo pupillo, il cardinale Donald Wuerl, che nel 2006 aveva sostituito proprio McCarrick come arcivescovo di Washington. Se rileggiamo alcune ricostruzioni del conclave del 2013, come quella del vaticanista di Repubblica Paolo Rodari (15 marzo 2013), troviamo questa affermazione: «Insieme agli italiani (sodaniani e bertoniani, ndr) anche gli americani», sono stati «spinti su Bergoglio dal loro principale Pope Maker: l'arcivescovo di Washington Donald Wuerl». Anche alcuni giornalisti americani all'epoca presentarono Wuerl, se non come il «Pope Maker», come uno di essi.Questo aiuta a capire un passaggio successivo: papa da soli sette mesi, Bergoglio rimuove dall'importantissima congregazione dei vescovi il cardinale Raymond Burke (forse uno degli americani che non lo avevano votato? Certamente un vescovo molto lontano da Wuerl) e vi mette proprio Donald Wuerl. Il seguito è noto: i pupilli di McCarrick, cioè Kevin Farrell, Joseph William Tobin, Blase Cupich, tutte personalità inclini a un dialogo stretto con il mondo Lgbt e favorevoli ad Amoris laetitia, vengono nominati cardinali. Chi li ha segnalati a Francesco? Forse non il cardinale omosessuale e abusatore McCarrick, ma il suo fedelissimo Wuerl. Che dunque può essere stato il tramite, più «presentabile» e credibile.Un ulteriore dettaglio: Viganò scrive che il Papa, incontrandolo nel giugno 2013, subito lo «investì con tono di rimprovero con queste parole: “I vescovi degli Stati Uniti non devono essere ideologizzati! Devono essere pastori!"».Il video dell'incontro sembra dare ragione a Viganò. Infatti, dopo un veloce saluto di circostanza, mostra Bergoglio che afferma: «Ma negli Stati Uniti…». Poi il video si ferma. Quel «ma» deciso, all'inizio del colloquio, sembra indicare che per Francesco qualcosa negli Usa non va. Poco dopo, come detto, le nomine cambieranno direzione, rispetto all'epoca di Benedetto XVI, e verranno promossi per lo più vescovi «liberal», come i cardinali già citati, a discapito dei «conservatori».Commentando l'esclusione di Burke e la nomina di Wuerl alla congregazione dei vescovi, il vaticanista dell'Espresso Sandro Magister il 20 dicembre 2013 scrive: «Al posto di Burke il Papa ha scelto Wuerl, che […] ha un atteggiamento molto più morbido di Burke nei confronti dei politici pro aborto. Questo cambiamento è stato salutato positivamente nel mondo “liberal" americano, che ora spera nella scelta di vescovi più progressisti rispetto a quelli nominati negli ultimi anni».Analoga la linea adottata in Italia: basti ricordare che uno dei primi discorsi di monsignor Nunzio Galantino, scelto da Bergoglio come segretario della Cei, fu contro le persone che pregano davanti agli ospedali contro l'aborto, mentre buona parte del suo impegno successivo è stato per boicottare i due Family day contro il gender, l'utero in affitto e la legge Cirinnà, in discontinuità con l'azione della Cei di Camillo Ruini e Angelo Bagnasco.Infine, una curiosità: in seguito alla pubblicazione dei famosi Dubia, Wuerl lanciò l'idea che forse era il caso, per Burke, di rinunciare alla berretta cardinalizia, facendo un paragone piuttosto esplicito con quanto avvenuto ai tempi di Pio XI con Louis Billot. Subito diversi giornalisti italiani e non, tra cui Andrea Tornielli e Alberto Melloni, rilanciarono molto misericordiosamente la proposta, fingendo di ignorare quanti sono stati nella storia della Chiesa gli scontri tra pontefici e alti ecclesiastici, a partire da San Pietro e San Paolo. Oggi Burke conserva la sua berretta, mentre l'ha persa, perché considerato colpevole, il padrino di Wuerl, McCarrick. Di più, sia Wuerl che Farrell sono al centro di una campagna mediatica fortissima, alimentata dagli stessi cattolici e anche da giornali «liberal» americani, che ne chiedono le dimissioni da cardinale, in nome dell'intima vicinanza dei due a McCarrick e dei risultati del rapporto del grand jury della Pennsylvania, secondo il quale Wuerl, quando era vescovo di Pittsburgh, «trasferì e spostò preti che avevano abusato di adolescenti maschi, nascondendo le notizie alle autorità civili e addirittura pagando uno di loro perché tacesse».Stefano Agnoli<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/tutti-i-vescovi-legati-a-mccarrick-hanno-fatto-guerra-ai-conservatori-2600814638.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="il-cardinale-da-del-sicario-al-giornalista" data-post-id="2600814638" data-published-at="1764841772" data-use-pagination="False"> Il cardinale dà del «sicario» al giornalista 75 anni, arcivescovo di Tegucigalpa e coordinatore del gruppo di 9 cardinali che coadiuva Francesco nel governo della Chiesa. Intervistato dalla testata in lingua spagnola Periodista digital, Maradiaga ha risposto alla domanda sul caso Viganò e le accuse che lo riguardano nel memoriale dell'ex nunzio negli Stati Uniti. Da «circa tre anni», ha detto, «sono vittima di un “sicario" che pratica molestie sui media. Il suo nome è Edward Pentin e lavora per un giornale della rete Ewt chiamato National Catholic Register». Si dà il caso che il Register sia uno dei media che domenica scorsa, insieme alla Verità, ha diffuso il memoriale di Viganò, perciò il riferimento al «sicario» potrebbe voler dire che per il cardinale tutto il dossier si riduce a una operazione dei soliti nemici. Penne al servizio di chissà chi e dedite non all'informazione, ma alla demolizione prezzolata dell'avversario. È una narrazione (non dimostrata) che va per la maggiore sul caso Viganò, sostenuta da tanti media paravaticani che tirano in ballo poteri forti statunitensi, piogge di dollari e magari, aggiungiamo noi, anche James Bond. Maradiaga si difende dal «sicario» Pentin e ne mette in discussione la professionalità: «Non ho mai parlato con lui», dice, «ma ha usato la “diffamazione anonima" che è stata pubblicata da un altro “sicario" honduregno in un giornale locale che costantemente mi insulta e mi calunnia. Chi sono io, arcivescovo di una piccola diocesi e un piccolo Paese per apparire diffamato nella stampa mondiale, senza possibilità di difendermi?». Sarà anche piccola, la diocesi di Tegucigalpa, ma sembra ben attrezzata in quanto a mezzi finanziari, visto che una della questioni sollevate da Pentin sul conto di Maradiaga riguarda la fine che ha fatto una sovvenzione caritatevole di 1,3 milioni di dollari che il vescovo ausiliare del cardinale, José Pineda Fasquelle, ha ottenuto dal governo dell'Honduras, ma che non è mai stata resa nota. Pineda, 57 anni, ha visto le proprie dimissioni accettate da papa Francesco lo scorso 20 luglio, dopo un'indagine che il Vaticano ha condotto per mano del vescovo argentino Alcides Casaretto. Le accuse al braccio destro di Maradiaga (Pineda era suo ausiliare dal 2005) riguardano sia cattiva e opaca gestione finanziaria che comportamenti sessuali inappropriati anche con giovani seminaristi. Su questa faccenda il «sicario» Pentin ha avuto l'ardire di porre una domanda: cosa può dire il cardinale Maradiaga a proposito del suo ausiliare? Era a conoscenza di queste situazioni? Inoltre, il «sicario» ha reso nota una lettera scritta da 48 seminaristi su 180 iscritti nel seminario della diocesi di Maradiaga. «Stiamo vivendo e sperimentando», hanno scritto, «un tempo di tensione nella nostra casa a causa di situazioni gravemente immorali, soprattutto di omosessualità attiva all'interno del seminario», cosa che evidentemente è in contrasto con le attuali norme della Chiesa rispetto all'ingresso nelle case di formazione. La cosa, denunciano i seminaristi ai loro insegnanti, andrebbe avanti da tempo, tanto che «per il fatto di aver insabbiato e penalizzato questa situazione, il problema si è rafforzato, diventando, come un sacerdote ha detto non molto tempo fa, una “epidemia nel seminario"». La lettera ha fatto seguito anche al fallito tentativo di suicidio di un seminarista della diocesi honduregna di Santa Rosa de Copán, il quale aveva scoperto che il suo amante nel seminario era impegnato in un'altra relazione. Pentin sostiene anche di avere in mano «prove fotografiche di pornografia omosessuale, scambiate su Whatsapp tra seminaristi che non hanno firmato la lettera». I messaggi «sono stati verificati come autentici da specialisti informatici presso l'Università cattolica dell'Honduras che hanno perquisito la memoria del computer e hanno consegnato gli scambi ai vescovi del Paese». Il tutto sarebbe poi stato discusso dai vescovi che hanno respinto le accuse, sebbene abbiano riconosciuto che c'è una «fragilità affettiva e sessuale che ci colpisce tutti e che può generare atteggiamenti e comportamenti inappropriati». Maradiaga da parte sua avrebbe liquidato la lettera e le notizie di Pentin come «chiacchiere». E ora accusa di killeraggio un giornalista che non rinuncia a fare il proprio mestiere. Il cardinale dice di non avere avuto dal «sicario» la possibilità di difendersi, ma forse non la racconta tutta. Ha dichiarato Pentin all'inglese Catholic Herald: «Ho scritto al cardinale quattro volte quest'anno chiedendogli di commentare tutti questi problemi e di dare la sua versione della storia, invitandolo anche a incontrarmi quando fosse passato qui a Roma. Un collega che ha collaborato con me lo ha contattato in diverse occasioni per un commento. Tutte queste richieste non hanno mai avuto risposta». Eppure il cardinale ha già mostrato di conoscere la deontologia professionale dei cronisti. Emiliano Fittipaldi aveva tirato in ballo Maradiaga sul settimanale L'Espresso sul finire del 2017 per una prebenda di 35.000 euro ricevuta mensilmente, per anni, dall'Università cattolica dell'Honduras, dove il porporato era gran cancelliere, ma soprattutto per alcune manovre intorno a grandi somme di denaro della diocesi girate a finanziarie londinesi e di cui si sarebbero perse le tracce, oltre che per un'inchiesta della Corte dei conti dell'Honduras condotta sui bilanci della diocesi per il periodo 2012-2014. Dopo quella inchiesta giornalistica il Papa telefonò a Maradiaga per sostenerlo, e lui poi dichiarò alla Stampa la sua completa innocenza: «È tutta una calunnia», pubblicata da «un giornalista con poca etica». Perché, aggiunse Maradiaga, «una regola di base dell'etica professionale del comunicatore è che quando si tratta di diffondere qualcosa che riguarda una persona bisogna fare prima lo sforzo di parlare con essa». A questo punto però anche a noi abbiamo una domanda da fare al cardinale esperto di comunicazione: se Fittipaldi era colpevole di non averla interpellata, perché Pentin il «sicario», che dichiara di averle scritto quattro volte e quindi di aver fatto «lo sforzo» di parlare con lei, non ha mai ricevuto risposta? Il rapporto tra prelati e giornalisti ultimamente è davvero problematico. Se non si fanno domande non si segue l'etica professionale, ma se si fanno domande non si riceve risposta. Lorenzo Bertocchi
Giorgia Meloni (Getty Images)
Le parole sono importanti. E infatti Giorgia Meloni, che dal Bahrein, dov’era l’unica europea invitata al Vertice del Golfo, ha assicurato che entro fine anno arriverà il decreto per l’Ucraina, ha parlato di «inviare aiuti». Non armi. Ha citato, semmai, i «generatori di corrente», con i quali sopperire ai blackout provocati dai bombardamenti russi.
La misura non entrerà nel Consiglio dei ministri di oggi, ma il suo slittamento, ha minimizzato il premier, è solo «una questione logistica». Di qui al 31 dicembre ci sarà «più di un cdm» utile. E approvare il decreto, che coprirà per un anno intero le forniture a Kiev, «non vuol dire lavorare contro la pace». In ogni caso, ha chiarito Meloni, «finché c’è una guerra aiuteremo l’Ucraina a potersi difendere da un aggressore».
Anche qui, la scelta del lessico ha un peso. Dopo le tensioni con la Lega, che hanno portato al rinvio della norma, il partito di Matteo Salvini ha delineato un compromesso: niente armi a lungo raggio per la resistenza. Ne ha discusso il capogruppo dei senatori del Carroccio, Massimiliano Romeo, a Ping pong, su Rai Radio 1. «In questa fase», ha spiegato, «serve un provvedimento che guardi alle garanzie di sicurezza dell’Ucraina nell’ambito del piano di pace degli Stati Uniti. Una semplice proroga rischia di non essere allineata al percorso negoziale». È il medesimo concetto che avrebbe espresso Salvini in un colloquio con il presidente del Consiglio.
Facciamo due più due: se i leghisti s’impuntano sui missili a lunga gittata, significa che l’Italia ne ha già donati in passato. Il segreto di Pulcinella, custodito dal Copasir, al quale il governo illustra in forma riservata i mezzi spediti al fronte, lo aveva svelato, ad aprile 2024, l’ex ministro della Difesa britannico. Durante una visita a un impianto di Mbda, Grant Shapps si era lasciato sfuggire che sia Roma, sia Londra, sia Parigi avevano offerto alla resistenza i loro Storm shadow. Sono testate da crociera, fabbricate proprio da Mbda, in grado di volare per 550 chilometri, trasportando 450 chili di esplosivo. Kiev le ha utilizzate in Crimea e contro il territorio russo. Ma è plausibile che i nostri missili siano stati impiegati soltanto nella regione invasa nel 2014; non nel Kursk, o in altri oblast della Federazione. Il nostro esecutivo dovrebbe aver imposto agli alleati dei limiti operativi, in linea con quanto sempre espresso da suoi autorevoli esponenti, a cominciare da Antonio Tajani: mai armi italiane per colpire la Russia.
Romeo, raggiunto dalla Verità, ha precisato di non essere entrato «nello specifico tecnico: ho solo ribadito una posizione politica. Ossia, che sarebbe bene, vista la situazione attuale, attendere l’evoluzione delle trattative in corso sul piano di pace Usa, così da poter definire un provvedimento pienamente coerente con il percorso diplomatico intrapreso e in grado di includere le garanzie di sicurezza per l’Ucraina, che emergeranno dal negoziato internazionale». Evitare fughe in avanti e valutare gli scenari postbellici.
È comunque ragionevole supporre che, se passasse il «lodo» del senatore, per tutto il 2026, a parte i generatori, potremmo mandare al massimo le contraeree Samp/T. Di cui, invero, c’è penuria pure per noi. L’alternativa è partecipare, in ambito Nato, al programma di acquisto di armi americane e procurare a Volodymyr Zelensky i Patriot. Secondo il titolare della Farnesina, però, esplorare questa soluzione è «prematuro». Sullo sfondo, c’è l’annuncio del segretario generale dell’organizzazione, Mark Rutte: gli aiuti all’Ucraina rientreranno nel calcolo del 5% del Pil in spese militari.
Forza Italia, ieri, ha gettato acqua sul fuoco: «È in evoluzione il processo geopolitico internazionale», ha osservato il portavoce azzurro, Raffaele Nevi, a Skytg24. Sposando, dunque, le cautele auspicate dal Carroccio. «Il decreto verrà approvato quando sarà necessario», ha concluso Nevi. Il Pd - che all’Eurocamera è stato capace di esprimere tre posizioni diverse sulla guerra - è saltato sopra il nuovo attrito nella maggioranza, dopo le sortite del vicepremier leghista su «cessi d’oro» e «puttane» dei corrotti di Kiev, pagati con i nostri soldi. Le dichiarazioni della Meloni, ha attaccato Peppe Provenzano, responsabile Esteri dei dem, «confermano la grave e crescente divisione» nel centrodestra, dove «Salvini», «che non smette di evidenziare il suo filoputinismo», «non solo detta l’agenda politica alla premier, ma tenta di sostituirsi» a Tajani, nonché al ministro della Difesa, Guido Crosetto. Di senso diametralmente opposto la critica di Giuseppe Conte: a suo avviso, i distinguo sul decreto sono ipocriti e la scommessa sulla vittoria di Zelensky è stata un «fallimento».
Ieri, all’Enac, Salvini ha espresso la speranza che, «tra qualche mese, non anni», si torni a «volare su Kiev e Mosca da Roma e Milano». Ingenuo, forse. Ma mica putiniano.
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Tra cortei radicalizzati, assalti alle redazioni e tensioni legate al caso dell’imam espulso, Augusta Montaruli analizza la deriva delle piazze torinesi e avverte: senza misure tempestive, il capoluogo rischia di diventare il laboratorio nazionale di un nuovo estremismo di strada.
Ospite l’on. Augusta Montaruli Vice Capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera dei Deputati.
Ecco #EdicolaVerità. la rassegna stampa podcast del 4 dicembre con Carlo Cambi
Alessandra Moretti (Ansa)
Risultati opposti, numeri identici: la relazione che chiedeva la revoca dell’immunità parlamentare per la Moretti ha ricevuto 16 voti a favore, 7 contrari e un astenuto; la richiesta di revoca della guarentigia parlamentare per la Gualmini è stata respinta con 7 voti a favore, 16 contro e un astenuto. Entrambe le decisioni dovranno essere confermate dalla sessione plenaria del Parlamento europeo in programma tra il 15 e il 18 dicembre, sempre a scrutinio segreto, così com’è avvenuto in commissione.
Perché questa disparità di trattamento tra le due colleghe? Lo spiega alla Verità una fonte europea di altissimo livello: «Sulla Gualmini non c’erano moltissime evidenze, c’era tutto un fumus ma pochi elementi concreti; sulla Moretti invece ci sono dei viaggi strani, in particolare uno a Varsavia per incontrare il famoso ambasciatore del Marocco in Polonia, Abderrahim Atmoun, personaggio centrale dell’inchiesta. Ovviamente che siano stati commessi reati è tutto da dimostrare, ma le accuse contro la Moretti sono sembrate un po’ più sostanziose», aggiunge il nostro interlocutore, «e così anche il Ppe ha deciso di differenziare le posizioni». La ricostruzione viene confermata al nostro giornale anche da un’altra fonte qualificata, mentre l’Ansa riporta un ulteriore dettaglio: Socialisti (gruppo al quale appartiene il Pd) e Popolari avrebbero trattato fino a notte fonda per respingere entrambe le richieste di revoca dell’immunità, ma a impuntarsi sulla Moretti (che in serata ha commentato: «Contro di me un voto politico») sarebbe stato il popolare spagnolo Adrian Vázquez Lázara, di orientamento non pienamente garantista, colui che nella scorsa legislatura, da presidente della commissione giuridica, negò all’allora vicepresidente del Parlamento europeo, Eva Kaili, la possibilità di difendere la propria immunità. Lo stesso Lázara è stato il relatore della richiesta di revoca dell’immunità per Ilaria Salis, relazione poi bocciata sia in commissione, sia in plenaria.
La richiesta della commissione, scrive il Fatto Quotidiano, riporta come l’eurodeputata Gualmini sia accusata di «aver accettato l’influenza della presunta organizzazione criminale per ottenere la carica di vicepresidente del suo gruppo politico nell’ottobre 2022 e in cambio avrebbe esercitato l’influenza derivante da tale carica all’interno del suo gruppo per assecondare gli interessi dell’organizzazione criminale». Le viene inoltre contestato di aver presieduto la riunione del gruppo il 16 novembre 2022: lo scopo era «determinare la posizione» dei Socialisti europei su un voto relativo ai diritti umani in Qatar. «Durante la discussione», ha poi raccontato la Gualmini nel libro QatarGate, «ho deciso di non seguire la linea indicata da alcuni eurodeputati e Francesco Giorgi, sono intervenuta a favore del dibattito in plenaria. Per questo, dopo la discussione, mi sono sentita in imbarazzo e, per cortesia, avendo cominciato a ricoprire un incarico nuovo, ho detto a questo Giorgi che non potevo seguire la linea. Confermo inoltre di non essere mai stata coinvolta in questioni relative al Qatar, ai suoi ambasciatori, alle missioni o agli eventi in Qatar. Inoltre non avrei mai immaginato», aggiunge la Gualmini, «che Giorgi stesse facendo campagna per quello Stato».
Parliamoci chiaro: i rapporti tra Europarlamento e toghe belghe non sono idilliaci, con i giudici che vengono spesso accusati di mettere in piedi inchieste basate su teoremi e senza fondamenti. D’altro canto però va detto che l’indagine del Qatargate si è dimostrata solida, con l’ex eurodeputato dem e poi Articolo 1 Nicola Panzeri che ha patteggiato un anno di reclusione con la promessa di rivelare ai giudici i nomi degli altri personaggi politici coinvolti nell’inchiesta. Giorgi, ex assistente parlamentare a Bruxelles è marito dell’ex vicepresidente del Parlamento europeo, Eva Kaili, entrambi arrestati tre anni fa all’alba dell’inchiesta. Lo scorso ottobre i due hanno denunciato per calunnia Panzeri.
«In ore di profondo sconcerto per l’ennesimo caso giudiziario che investe le istituzioni europee», dichiarano i componenti della delegazione di Fratelli d’Italia a Bruxelles, «ancora una volta con il coinvolgimento di esponenti della sinistra come l’ex Alto rappresentante Federica Mogherini, la Commissione Juri del Parlamento Ue si è trovata ad affrontare due richieste di revoca delle immunità collegate al Qatargate. Purtroppo, come insegna la vicenda Salis, la sinistra ha completamente svuotato di senso e piegato a una logica di parte l’istituto dell’immunità. Per questa ragione, d’ora in avanti, le posizioni di Fdi sulle richieste di revoca risponderanno esclusivamente a valutazioni politiche. Con questo spirito, a prescindere dal merito su cui riteniamo ci siano molti aspetti da chiarire, ci siamo espressi a favore della revoca sui casi che riguardano le colleghe Gualmini e Moretti. E allo stesso criterio ci atterremo fino a quando la sinistra europea, Pd e M5s compresi, non cesserà di usare lo strumento dell’immunità come una clava contro l’avversario politico».
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