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2018-09-01
Tutti i vescovi legati a McCarrick hanno fatto guerra ai conservatori
Ansa
Si potrebbe provare a leggere il memoriale Viganò, e anche il silenzio di Bergoglio sulla veridicità o meno dello stesso, in questo modo: nel dialogo tra l'ex nunzio e papa Francesco, riguardo al cardinale Theodore McCarrick, il Pontefice si trova spiazzato, perché da una parte sospetta di lui (non è detto che abbia alcuna prova), dall'altra gli è grato, sebbene non direttamente. La sua domanda, «McCarrick com'è?», può nascondere proprio questo scrupolo: Bergoglio sa di dovergli, in parte, l'elezione, ma conosce anche i sospetti su di lui.
Perché il Papa poteva essere grato a McCarrick, ma «non direttamente»? Semplicemente perché il cardinale ha partecipato agli incontri pre conclave, ma non al conclave stesso, dove però sembra essere stato protagonista un suo pupillo, il cardinale Donald Wuerl, che nel 2006 aveva sostituito proprio McCarrick come arcivescovo di Washington. Se rileggiamo alcune ricostruzioni del conclave del 2013, come quella del vaticanista di Repubblica Paolo Rodari (15 marzo 2013), troviamo questa affermazione: «Insieme agli italiani (sodaniani e bertoniani, ndr) anche gli americani», sono stati «spinti su Bergoglio dal loro principale Pope Maker: l'arcivescovo di Washington Donald Wuerl». Anche alcuni giornalisti americani all'epoca presentarono Wuerl, se non come il «Pope Maker», come uno di essi.
Questo aiuta a capire un passaggio successivo: papa da soli sette mesi, Bergoglio rimuove dall'importantissima congregazione dei vescovi il cardinale Raymond Burke (forse uno degli americani che non lo avevano votato? Certamente un vescovo molto lontano da Wuerl) e vi mette proprio Donald Wuerl. Il seguito è noto: i pupilli di McCarrick, cioè Kevin Farrell, Joseph William Tobin, Blase Cupich, tutte personalità inclini a un dialogo stretto con il mondo Lgbt e favorevoli ad Amoris laetitia, vengono nominati cardinali. Chi li ha segnalati a Francesco? Forse non il cardinale omosessuale e abusatore McCarrick, ma il suo fedelissimo Wuerl. Che dunque può essere stato il tramite, più «presentabile» e credibile.
Un ulteriore dettaglio: Viganò scrive che il Papa, incontrandolo nel giugno 2013, subito lo «investì con tono di rimprovero con queste parole: “I vescovi degli Stati Uniti non devono essere ideologizzati! Devono essere pastori!"».
Il video dell'incontro sembra dare ragione a Viganò. Infatti, dopo un veloce saluto di circostanza, mostra Bergoglio che afferma: «Ma negli Stati Uniti…». Poi il video si ferma. Quel «ma» deciso, all'inizio del colloquio, sembra indicare che per Francesco qualcosa negli Usa non va. Poco dopo, come detto, le nomine cambieranno direzione, rispetto all'epoca di Benedetto XVI, e verranno promossi per lo più vescovi «liberal», come i cardinali già citati, a discapito dei «conservatori».
Commentando l'esclusione di Burke e la nomina di Wuerl alla congregazione dei vescovi, il vaticanista dell'Espresso Sandro Magister il 20 dicembre 2013 scrive: «Al posto di Burke il Papa ha scelto Wuerl, che […] ha un atteggiamento molto più morbido di Burke nei confronti dei politici pro aborto. Questo cambiamento è stato salutato positivamente nel mondo “liberal" americano, che ora spera nella scelta di vescovi più progressisti rispetto a quelli nominati negli ultimi anni».
Analoga la linea adottata in Italia: basti ricordare che uno dei primi discorsi di monsignor Nunzio Galantino, scelto da Bergoglio come segretario della Cei, fu contro le persone che pregano davanti agli ospedali contro l'aborto, mentre buona parte del suo impegno successivo è stato per boicottare i due Family day contro il gender, l'utero in affitto e la legge Cirinnà, in discontinuità con l'azione della Cei di Camillo Ruini e Angelo Bagnasco.
Infine, una curiosità: in seguito alla pubblicazione dei famosi Dubia, Wuerl lanciò l'idea che forse era il caso, per Burke, di rinunciare alla berretta cardinalizia, facendo un paragone piuttosto esplicito con quanto avvenuto ai tempi di Pio XI con Louis Billot. Subito diversi giornalisti italiani e non, tra cui Andrea Tornielli e Alberto Melloni, rilanciarono molto misericordiosamente la proposta, fingendo di ignorare quanti sono stati nella storia della Chiesa gli scontri tra pontefici e alti ecclesiastici, a partire da San Pietro e San Paolo.
Oggi Burke conserva la sua berretta, mentre l'ha persa, perché considerato colpevole, il padrino di Wuerl, McCarrick. Di più, sia Wuerl che Farrell sono al centro di una campagna mediatica fortissima, alimentata dagli stessi cattolici e anche da giornali «liberal» americani, che ne chiedono le dimissioni da cardinale, in nome dell'intima vicinanza dei due a McCarrick e dei risultati del rapporto del grand jury della Pennsylvania, secondo il quale Wuerl, quando era vescovo di Pittsburgh, «trasferì e spostò preti che avevano abusato di adolescenti maschi, nascondendo le notizie alle autorità civili e addirittura pagando uno di loro perché tacesse».
Stefano Agnoli
Il cardinale dà del «sicario» al giornalista
75 anni, arcivescovo di Tegucigalpa e coordinatore del gruppo di 9 cardinali che coadiuva Francesco nel governo della Chiesa.
Intervistato dalla testata in lingua spagnola Periodista digital, Maradiaga ha risposto alla domanda sul caso Viganò e le accuse che lo riguardano nel memoriale dell'ex nunzio negli Stati Uniti. Da «circa tre anni», ha detto, «sono vittima di un “sicario" che pratica molestie sui media. Il suo nome è Edward Pentin e lavora per un giornale della rete Ewt chiamato National Catholic Register». Si dà il caso che il Register sia uno dei media che domenica scorsa, insieme alla Verità, ha diffuso il memoriale di Viganò, perciò il riferimento al «sicario» potrebbe voler dire che per il cardinale tutto il dossier si riduce a una operazione dei soliti nemici. Penne al servizio di chissà chi e dedite non all'informazione, ma alla demolizione prezzolata dell'avversario. È una narrazione (non dimostrata) che va per la maggiore sul caso Viganò, sostenuta da tanti media paravaticani che tirano in ballo poteri forti statunitensi, piogge di dollari e magari, aggiungiamo noi, anche James Bond.
Maradiaga si difende dal «sicario» Pentin e ne mette in discussione la professionalità: «Non ho mai parlato con lui», dice, «ma ha usato la “diffamazione anonima" che è stata pubblicata da un altro “sicario" honduregno in un giornale locale che costantemente mi insulta e mi calunnia. Chi sono io, arcivescovo di una piccola diocesi e un piccolo Paese per apparire diffamato nella stampa mondiale, senza possibilità di difendermi?».
Sarà anche piccola, la diocesi di Tegucigalpa, ma sembra ben attrezzata in quanto a mezzi finanziari, visto che una della questioni sollevate da Pentin sul conto di Maradiaga riguarda la fine che ha fatto una sovvenzione caritatevole di 1,3 milioni di dollari che il vescovo ausiliare del cardinale, José Pineda Fasquelle, ha ottenuto dal governo dell'Honduras, ma che non è mai stata resa nota. Pineda, 57 anni, ha visto le proprie dimissioni accettate da papa Francesco lo scorso 20 luglio, dopo un'indagine che il Vaticano ha condotto per mano del vescovo argentino Alcides Casaretto. Le accuse al braccio destro di Maradiaga (Pineda era suo ausiliare dal 2005) riguardano sia cattiva e opaca gestione finanziaria che comportamenti sessuali inappropriati anche con giovani seminaristi. Su questa faccenda il «sicario» Pentin ha avuto l'ardire di porre una domanda: cosa può dire il cardinale Maradiaga a proposito del suo ausiliare? Era a conoscenza di queste situazioni?
Inoltre, il «sicario» ha reso nota una lettera scritta da 48 seminaristi su 180 iscritti nel seminario della diocesi di Maradiaga. «Stiamo vivendo e sperimentando», hanno scritto, «un tempo di tensione nella nostra casa a causa di situazioni gravemente immorali, soprattutto di omosessualità attiva all'interno del seminario», cosa che evidentemente è in contrasto con le attuali norme della Chiesa rispetto all'ingresso nelle case di formazione. La cosa, denunciano i seminaristi ai loro insegnanti, andrebbe avanti da tempo, tanto che «per il fatto di aver insabbiato e penalizzato questa situazione, il problema si è rafforzato, diventando, come un sacerdote ha detto non molto tempo fa, una “epidemia nel seminario"». La lettera ha fatto seguito anche al fallito tentativo di suicidio di un seminarista della diocesi honduregna di Santa Rosa de Copán, il quale aveva scoperto che il suo amante nel seminario era impegnato in un'altra relazione.
Pentin sostiene anche di avere in mano «prove fotografiche di pornografia omosessuale, scambiate su Whatsapp tra seminaristi che non hanno firmato la lettera». I messaggi «sono stati verificati come autentici da specialisti informatici presso l'Università cattolica dell'Honduras che hanno perquisito la memoria del computer e hanno consegnato gli scambi ai vescovi del Paese». Il tutto sarebbe poi stato discusso dai vescovi che hanno respinto le accuse, sebbene abbiano riconosciuto che c'è una «fragilità affettiva e sessuale che ci colpisce tutti e che può generare atteggiamenti e comportamenti inappropriati». Maradiaga da parte sua avrebbe liquidato la lettera e le notizie di Pentin come «chiacchiere». E ora accusa di killeraggio un giornalista che non rinuncia a fare il proprio mestiere. Il cardinale dice di non avere avuto dal «sicario» la possibilità di difendersi, ma forse non la racconta tutta. Ha dichiarato Pentin all'inglese Catholic Herald: «Ho scritto al cardinale quattro volte quest'anno chiedendogli di commentare tutti questi problemi e di dare la sua versione della storia, invitandolo anche a incontrarmi quando fosse passato qui a Roma. Un collega che ha collaborato con me lo ha contattato in diverse occasioni per un commento. Tutte queste richieste non hanno mai avuto risposta».
Eppure il cardinale ha già mostrato di conoscere la deontologia professionale dei cronisti. Emiliano Fittipaldi aveva tirato in ballo Maradiaga sul settimanale L'Espresso sul finire del 2017 per una prebenda di 35.000 euro ricevuta mensilmente, per anni, dall'Università cattolica dell'Honduras, dove il porporato era gran cancelliere, ma soprattutto per alcune manovre intorno a grandi somme di denaro della diocesi girate a finanziarie londinesi e di cui si sarebbero perse le tracce, oltre che per un'inchiesta della Corte dei conti dell'Honduras condotta sui bilanci della diocesi per il periodo 2012-2014. Dopo quella inchiesta giornalistica il Papa telefonò a Maradiaga per sostenerlo, e lui poi dichiarò alla Stampa la sua completa innocenza: «È tutta una calunnia», pubblicata da «un giornalista con poca etica». Perché, aggiunse Maradiaga, «una regola di base dell'etica professionale del comunicatore è che quando si tratta di diffondere qualcosa che riguarda una persona bisogna fare prima lo sforzo di parlare con essa».
A questo punto però anche a noi abbiamo una domanda da fare al cardinale esperto di comunicazione: se Fittipaldi era colpevole di non averla interpellata, perché Pentin il «sicario», che dichiara di averle scritto quattro volte e quindi di aver fatto «lo sforzo» di parlare con lei, non ha mai ricevuto risposta? Il rapporto tra prelati e giornalisti ultimamente è davvero problematico. Se non si fanno domande non si segue l'etica professionale, ma se si fanno domande non si riceve risposta.
Lorenzo Bertocchi
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Il documento di Carlo Maria Viganò illumina le ragioni della svolta «liberal» impressa da Francesco alla Chiesa Usa A partire dalla sostituzione di Raymond Burke, firmatario dei Dubia, con Donald William Wuerl, pupillo del porporato molestatore.L'honduregno Oscar Rodriguez Maradiaga, accusato anche dalla testimonianza dell'ex nunzio, insulta un cronista perché scrive degli scandali gay che lo circondano a Tegucigalpa. Ma una lettera di 48 seminaristi della sua diocesi conferma: qui l'omosessualità è una «epidemia».Lo speciale contiene due articoliSi potrebbe provare a leggere il memoriale Viganò, e anche il silenzio di Bergoglio sulla veridicità o meno dello stesso, in questo modo: nel dialogo tra l'ex nunzio e papa Francesco, riguardo al cardinale Theodore McCarrick, il Pontefice si trova spiazzato, perché da una parte sospetta di lui (non è detto che abbia alcuna prova), dall'altra gli è grato, sebbene non direttamente. La sua domanda, «McCarrick com'è?», può nascondere proprio questo scrupolo: Bergoglio sa di dovergli, in parte, l'elezione, ma conosce anche i sospetti su di lui. Perché il Papa poteva essere grato a McCarrick, ma «non direttamente»? Semplicemente perché il cardinale ha partecipato agli incontri pre conclave, ma non al conclave stesso, dove però sembra essere stato protagonista un suo pupillo, il cardinale Donald Wuerl, che nel 2006 aveva sostituito proprio McCarrick come arcivescovo di Washington. Se rileggiamo alcune ricostruzioni del conclave del 2013, come quella del vaticanista di Repubblica Paolo Rodari (15 marzo 2013), troviamo questa affermazione: «Insieme agli italiani (sodaniani e bertoniani, ndr) anche gli americani», sono stati «spinti su Bergoglio dal loro principale Pope Maker: l'arcivescovo di Washington Donald Wuerl». Anche alcuni giornalisti americani all'epoca presentarono Wuerl, se non come il «Pope Maker», come uno di essi.Questo aiuta a capire un passaggio successivo: papa da soli sette mesi, Bergoglio rimuove dall'importantissima congregazione dei vescovi il cardinale Raymond Burke (forse uno degli americani che non lo avevano votato? Certamente un vescovo molto lontano da Wuerl) e vi mette proprio Donald Wuerl. Il seguito è noto: i pupilli di McCarrick, cioè Kevin Farrell, Joseph William Tobin, Blase Cupich, tutte personalità inclini a un dialogo stretto con il mondo Lgbt e favorevoli ad Amoris laetitia, vengono nominati cardinali. Chi li ha segnalati a Francesco? Forse non il cardinale omosessuale e abusatore McCarrick, ma il suo fedelissimo Wuerl. Che dunque può essere stato il tramite, più «presentabile» e credibile.Un ulteriore dettaglio: Viganò scrive che il Papa, incontrandolo nel giugno 2013, subito lo «investì con tono di rimprovero con queste parole: “I vescovi degli Stati Uniti non devono essere ideologizzati! Devono essere pastori!"».Il video dell'incontro sembra dare ragione a Viganò. Infatti, dopo un veloce saluto di circostanza, mostra Bergoglio che afferma: «Ma negli Stati Uniti…». Poi il video si ferma. Quel «ma» deciso, all'inizio del colloquio, sembra indicare che per Francesco qualcosa negli Usa non va. Poco dopo, come detto, le nomine cambieranno direzione, rispetto all'epoca di Benedetto XVI, e verranno promossi per lo più vescovi «liberal», come i cardinali già citati, a discapito dei «conservatori».Commentando l'esclusione di Burke e la nomina di Wuerl alla congregazione dei vescovi, il vaticanista dell'Espresso Sandro Magister il 20 dicembre 2013 scrive: «Al posto di Burke il Papa ha scelto Wuerl, che […] ha un atteggiamento molto più morbido di Burke nei confronti dei politici pro aborto. Questo cambiamento è stato salutato positivamente nel mondo “liberal" americano, che ora spera nella scelta di vescovi più progressisti rispetto a quelli nominati negli ultimi anni».Analoga la linea adottata in Italia: basti ricordare che uno dei primi discorsi di monsignor Nunzio Galantino, scelto da Bergoglio come segretario della Cei, fu contro le persone che pregano davanti agli ospedali contro l'aborto, mentre buona parte del suo impegno successivo è stato per boicottare i due Family day contro il gender, l'utero in affitto e la legge Cirinnà, in discontinuità con l'azione della Cei di Camillo Ruini e Angelo Bagnasco.Infine, una curiosità: in seguito alla pubblicazione dei famosi Dubia, Wuerl lanciò l'idea che forse era il caso, per Burke, di rinunciare alla berretta cardinalizia, facendo un paragone piuttosto esplicito con quanto avvenuto ai tempi di Pio XI con Louis Billot. Subito diversi giornalisti italiani e non, tra cui Andrea Tornielli e Alberto Melloni, rilanciarono molto misericordiosamente la proposta, fingendo di ignorare quanti sono stati nella storia della Chiesa gli scontri tra pontefici e alti ecclesiastici, a partire da San Pietro e San Paolo. Oggi Burke conserva la sua berretta, mentre l'ha persa, perché considerato colpevole, il padrino di Wuerl, McCarrick. Di più, sia Wuerl che Farrell sono al centro di una campagna mediatica fortissima, alimentata dagli stessi cattolici e anche da giornali «liberal» americani, che ne chiedono le dimissioni da cardinale, in nome dell'intima vicinanza dei due a McCarrick e dei risultati del rapporto del grand jury della Pennsylvania, secondo il quale Wuerl, quando era vescovo di Pittsburgh, «trasferì e spostò preti che avevano abusato di adolescenti maschi, nascondendo le notizie alle autorità civili e addirittura pagando uno di loro perché tacesse».Stefano Agnoli<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/tutti-i-vescovi-legati-a-mccarrick-hanno-fatto-guerra-ai-conservatori-2600814638.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="il-cardinale-da-del-sicario-al-giornalista" data-post-id="2600814638" data-published-at="1765989086" data-use-pagination="False"> Il cardinale dà del «sicario» al giornalista 75 anni, arcivescovo di Tegucigalpa e coordinatore del gruppo di 9 cardinali che coadiuva Francesco nel governo della Chiesa. Intervistato dalla testata in lingua spagnola Periodista digital, Maradiaga ha risposto alla domanda sul caso Viganò e le accuse che lo riguardano nel memoriale dell'ex nunzio negli Stati Uniti. Da «circa tre anni», ha detto, «sono vittima di un “sicario" che pratica molestie sui media. Il suo nome è Edward Pentin e lavora per un giornale della rete Ewt chiamato National Catholic Register». Si dà il caso che il Register sia uno dei media che domenica scorsa, insieme alla Verità, ha diffuso il memoriale di Viganò, perciò il riferimento al «sicario» potrebbe voler dire che per il cardinale tutto il dossier si riduce a una operazione dei soliti nemici. Penne al servizio di chissà chi e dedite non all'informazione, ma alla demolizione prezzolata dell'avversario. È una narrazione (non dimostrata) che va per la maggiore sul caso Viganò, sostenuta da tanti media paravaticani che tirano in ballo poteri forti statunitensi, piogge di dollari e magari, aggiungiamo noi, anche James Bond. Maradiaga si difende dal «sicario» Pentin e ne mette in discussione la professionalità: «Non ho mai parlato con lui», dice, «ma ha usato la “diffamazione anonima" che è stata pubblicata da un altro “sicario" honduregno in un giornale locale che costantemente mi insulta e mi calunnia. Chi sono io, arcivescovo di una piccola diocesi e un piccolo Paese per apparire diffamato nella stampa mondiale, senza possibilità di difendermi?». Sarà anche piccola, la diocesi di Tegucigalpa, ma sembra ben attrezzata in quanto a mezzi finanziari, visto che una della questioni sollevate da Pentin sul conto di Maradiaga riguarda la fine che ha fatto una sovvenzione caritatevole di 1,3 milioni di dollari che il vescovo ausiliare del cardinale, José Pineda Fasquelle, ha ottenuto dal governo dell'Honduras, ma che non è mai stata resa nota. Pineda, 57 anni, ha visto le proprie dimissioni accettate da papa Francesco lo scorso 20 luglio, dopo un'indagine che il Vaticano ha condotto per mano del vescovo argentino Alcides Casaretto. Le accuse al braccio destro di Maradiaga (Pineda era suo ausiliare dal 2005) riguardano sia cattiva e opaca gestione finanziaria che comportamenti sessuali inappropriati anche con giovani seminaristi. Su questa faccenda il «sicario» Pentin ha avuto l'ardire di porre una domanda: cosa può dire il cardinale Maradiaga a proposito del suo ausiliare? Era a conoscenza di queste situazioni? Inoltre, il «sicario» ha reso nota una lettera scritta da 48 seminaristi su 180 iscritti nel seminario della diocesi di Maradiaga. «Stiamo vivendo e sperimentando», hanno scritto, «un tempo di tensione nella nostra casa a causa di situazioni gravemente immorali, soprattutto di omosessualità attiva all'interno del seminario», cosa che evidentemente è in contrasto con le attuali norme della Chiesa rispetto all'ingresso nelle case di formazione. La cosa, denunciano i seminaristi ai loro insegnanti, andrebbe avanti da tempo, tanto che «per il fatto di aver insabbiato e penalizzato questa situazione, il problema si è rafforzato, diventando, come un sacerdote ha detto non molto tempo fa, una “epidemia nel seminario"». La lettera ha fatto seguito anche al fallito tentativo di suicidio di un seminarista della diocesi honduregna di Santa Rosa de Copán, il quale aveva scoperto che il suo amante nel seminario era impegnato in un'altra relazione. Pentin sostiene anche di avere in mano «prove fotografiche di pornografia omosessuale, scambiate su Whatsapp tra seminaristi che non hanno firmato la lettera». I messaggi «sono stati verificati come autentici da specialisti informatici presso l'Università cattolica dell'Honduras che hanno perquisito la memoria del computer e hanno consegnato gli scambi ai vescovi del Paese». Il tutto sarebbe poi stato discusso dai vescovi che hanno respinto le accuse, sebbene abbiano riconosciuto che c'è una «fragilità affettiva e sessuale che ci colpisce tutti e che può generare atteggiamenti e comportamenti inappropriati». Maradiaga da parte sua avrebbe liquidato la lettera e le notizie di Pentin come «chiacchiere». E ora accusa di killeraggio un giornalista che non rinuncia a fare il proprio mestiere. Il cardinale dice di non avere avuto dal «sicario» la possibilità di difendersi, ma forse non la racconta tutta. Ha dichiarato Pentin all'inglese Catholic Herald: «Ho scritto al cardinale quattro volte quest'anno chiedendogli di commentare tutti questi problemi e di dare la sua versione della storia, invitandolo anche a incontrarmi quando fosse passato qui a Roma. Un collega che ha collaborato con me lo ha contattato in diverse occasioni per un commento. Tutte queste richieste non hanno mai avuto risposta». Eppure il cardinale ha già mostrato di conoscere la deontologia professionale dei cronisti. Emiliano Fittipaldi aveva tirato in ballo Maradiaga sul settimanale L'Espresso sul finire del 2017 per una prebenda di 35.000 euro ricevuta mensilmente, per anni, dall'Università cattolica dell'Honduras, dove il porporato era gran cancelliere, ma soprattutto per alcune manovre intorno a grandi somme di denaro della diocesi girate a finanziarie londinesi e di cui si sarebbero perse le tracce, oltre che per un'inchiesta della Corte dei conti dell'Honduras condotta sui bilanci della diocesi per il periodo 2012-2014. Dopo quella inchiesta giornalistica il Papa telefonò a Maradiaga per sostenerlo, e lui poi dichiarò alla Stampa la sua completa innocenza: «È tutta una calunnia», pubblicata da «un giornalista con poca etica». Perché, aggiunse Maradiaga, «una regola di base dell'etica professionale del comunicatore è che quando si tratta di diffondere qualcosa che riguarda una persona bisogna fare prima lo sforzo di parlare con essa». A questo punto però anche a noi abbiamo una domanda da fare al cardinale esperto di comunicazione: se Fittipaldi era colpevole di non averla interpellata, perché Pentin il «sicario», che dichiara di averle scritto quattro volte e quindi di aver fatto «lo sforzo» di parlare con lei, non ha mai ricevuto risposta? Il rapporto tra prelati e giornalisti ultimamente è davvero problematico. Se non si fanno domande non si segue l'etica professionale, ma se si fanno domande non si riceve risposta. Lorenzo Bertocchi
Ecco #DimmiLaVerità del 17 dicembre 2025. L'esperto di geopolitica Daniele Ruvinetti ci svela gli ultimissimi retroscena del negoziato di pace per l'Ucraina.
L’Indonesia è un gigante che sfiora i 300 milioni di abitanti ed è il più grande arcipelago del mondo. La sua capitale Jakarta è la città più popolosa del globo con quasi 42 milioni di abitanti e nel 2025 ha superato Dacca e Tokyo in questa classifica. Adagiata sulla costa dell’isola di Giava, questa città è diventata un conglomerato incontrollabile che sta lentamente affondando sotto il peso della sua popolazione. L’Indonesia ha il maggior numero di musulmani con quasi 250 milioni di fedeli e secondo alcune proiezioni come quelle della Banca Mondiale o del Fondo Monetario Internazionale potrebbe diventare una delle quattro principali economie internazionali entro il 2050. Jakarta nel 2024 è entrata a far parte del gruppo economico dei Brics, guidato da Cina, Russia ed India, ma non ha mai smesso di attirare investimenti statunitensi e ad avere un rapporto diplomatico diretto con Washington.
In questo quadro economicamente positivo però sono scoppiate una serie di proteste che hanno fortemente contestato il governo del presidente Prabowo Subianto. Questo ex generale, conosciuto per la ferocia con cui ha sempre represso ogni tipo di dissenso, ha stravinto le elezioni utilizzando un avatar che lo ha trasformato in un nonno amorevole. Durante la campagna per le presidenziali, il suo staff ha utilizzato strumenti di intelligenza artificiale come Midjourney per creare un'immagine carina e amichevole ("gemoy", un termine gergale indonesiano per "carino" o "coccoloso") di Prabowo, rivolta in particolare agli elettori più giovani sui social come TikTok. Questa mossa ha avuto un enorme successo portando molti giovani alle urne e consegnando oltre il 60% delle preferenze al vecchio generale. Il nuovo presidente aveva promesso un miracolo economico puntando ad una crescita dell’8% annuale, che però si è fermata intorno al 5,2%. Intanto il costo della vita è sensibilmente cresciuto così come la disoccupazione, mentre la rupia indonesiana ha continuato a svalutarsi arrivando ad un cambio con il dollaro a 16600 ad 1.
Contemporaneamente i cittadini indonesiani hanno visto una progressiva perdita di potere d’acquisto che ha portato ad una stagnazione dei consumi delle famiglie. Ad ottobre l’inflazione è arrivata al 2,75%, massimo livello dalla primavera del 2024, e la gente è scesa in strada per chiedere le dimissioni di tutto il governo. Se internamente le cose stanno andando male per Prabowo Subianto, l’ex generale, ha puntato tutto sulla proiezione internazionale del suo paese, dichiarando più volte di volerlo far diventare una potenza geopolitica regionale. Il ruolo indonesiano nel sud-est asiatico è in crescita e negli anni si sono rafforzati i rapporti con le nazioni vicine, soprattutto con la Malesia. Più complessi i tentativi di avvicinamento con le Filippine, fortemente schierate nell’orbita statunitense, mentre con l’India le relazioni sono sempre state piuttosto altalenanti. L’Indonesia si trova anche spettatore nel latente scontro indo-pacifico fra Pechino e Washington, nel quale per ora Jakarta ha scelto una linea politica basata sull’equidistanza. Con la Cina l’Indonesia ha siglato un accordo per lo sfruttamento congiunto delle risorse nelle acque contese, per evitare una disputa diretta, anche perché Pechino è il suo primo partner economico e commerciale, con gli scambi nel 2025 sono stimati in 160 miliardi di dollari. Jakarta sta cercando di diversificare le sue relazioni commerciali per evitare un’eccessiva dipendenza dalla Cina, intensificando gli scambi anche con l’Unione Europea. L’interscambio con la Ue nel 2024 ha superato i 27 miliardi di euro con l’Europa che importa olio di palma, tessuti, calzature, minerali (nichel e rame), mentre esporta nella nazione asiatica latticini, carni, frutta, macchinari e farmaceutici. Gli Usa restano comunque un partner cruciale per l’Indonesia in ambito di difesa e sicurezza, con esercitazioni congiunte e acquisto di armi, delle quali Washington è il secondo fornitore. L’attivismo di Prabowo Subianto si è visto anche nella questione mediorientale, con il presidente, unico leader del sud-est asiatico, presente in Egitto alla firma della tregua a Gaza.
Odorico da Pordenone, un Marco Polo meno noto che raccontò l'Indonesia nel secolo XIV
Non solo Marco Polo ed il suo «Milione», il resoconto sull’Estremo Oriente forse più famoso al mondo. Altre importanti testimonianze scritte di viaggi «meravigliosi» attraverso l’Asia sono giunte a noi dal Medioevo. Grandi protagonisti delle esplorazioni e dello scambio interreligioso (con le missioni) ma anche di quello geopolitico, furono i francescani. Come afferma il Prof. Luciano Bertazzo, storico francescano e direttore del Centro Studi Antoniani di Padova, contattato dalla Verità. «A fianco di Marco Polo esiste tutta una letteratura non meno interessante in cui il mondo francescano non fu solo portatore di evangelizzazione, ma anche di una spinta all'internazionalizzazione». Già alla metà del Duecento, la presenza della Chiesa cattolica in Estremo Oriente intersecava l'Europa all'Asia. I resoconti dei frati alimentarono il "Meraviglioso" nei racconti di viaggio (detti anche odeporici) sulla scia della «Vita di Alessandro Magno», che inaugurò il connubio tra scientia e mirabilia».
Ai tempi delle crociate, i frati minori assunsero un ruolo «diplomatico» all’interno di un mondo in forte fermento. Erano gli anni della «cattività» del Papato ad Avignone, dell’espansione dell’Islam verso oriente e del potentissimo regno dei Mongoli discendenti di Gengis Khan. Nel mosaico delle forze dominanti i francescani, attivi nell’opera di evangelizzazione alla base dei loro viaggi, furono anche incaricati dal Papato e dai sovrani occidentali di riportare notizie sullo stato dei popoli dell’estremo Oriente per cercare di misurarne la potenza politica e militare unito ad un intento più diplomatico, con il proposito di esplorare una possibile alleanza in funzione anti islamica. I religiosi italiani erano già presenti in Asia fino dalla metà del XIII secolo, come testimoniano i resoconti del francescano Giovanni di Pian del Carpine, che alla metà del Duecento scrisse una «Historia Mongalorum» dopo essere giunto fino a Kharakorum, ricca di informazioni strategico-militari sulla potenza dell’impero mongolo che premeva verso Occidente. Anche Giovanni da Montecorvino, francescano campano, giunse fino in Cina alla corte di Kubilai Khan, morto appena prima dell’arrivo del frate italiano. Qui fondò la prima missione cattolica della Cina e la prima chiesa nel 1305 e fu nominato arcivescovo da Clemente V.
A pochi anni dal viaggio di Giovanni da Montecorvino si colloca la spedizione di Odorico da Pordenone, che toccherà anche l’Indonesia, allora praticamente sconosciuta al mondo occidentale. Nato sembra intorno al 1280, fu ordinato frate a Udine ancora giovanissimo, secondo le poche notizie giunte a noi. Il suo viaggio in Oriente, con destinazione Cina, si colloca attorno al 1318 e seguì un itinerario da Venezia a Trebisonda, quindi dalla penisola arabica via nave fino all’India, dove a Thana (attuale Mumbai) raccolse le spoglie dei francescani martirizzati dai musulmani nel 1321. La tappa successiva fu l’Indonesia, una terra praticamente inesplorata fino ad allora. Nella sua Relatio, Odorico dedica spazio alla descrizione di usi e costumi dell’arcipelago. Lamori è il primo abitato dell’Indonesia che il frate friulano descrisse, dipingendolo come una terra non proprio ospitale. Così Odorico dipinse quella che è ritenuta essere un antico regno situato nella parte settentrionale di Sumatra: «Cominciai a perdere la tramontana quando toccai quella terra. In questa regione il calore è enorme e sia gli uomini che le donne vanno in giro nudi, senza coprirsi nessuna parte del corpo. Essi mi deridevano, perché dicevano che Dio aveva creato Adamo nudo e io invece volevo essere vestito contro la volontà di Dio. In questo paese tutte le donne sono messe in comune fra tutti, cosicché nessuno può dire «questa è mia moglie», oppure «questo è mio marito». Quando poi una donna partorisce un figlio o una figlia, lo dà o la dà a chi vuole tra uno di quelli con i quali ha avuto rapporti intimi, e quel bimbo o bimba lo considera il proprio padre. Anche tutto il terreno è in comune fra tutti gli abitanti, cosicché nessuno può dire: «questa o quella parte di terra è mia». Le case invece sono ognuna per conto proprio. Questa gente è pestifera e malvagia: infatti mangiano carne umana, come qui da noi si mangia la carne bovina o quella delle pecore. Tuttavia di per sé questa è una terra buona, che ha grande abbondanza di carni, di biade e di riso, inoltre vi si trova oro in abbondanza[…]».
Un ritratto di una società primitiva e ostile, quella che Odorico raccontò nella sua prima tappa indonesiana. Tutt’altra impressione il frate ebbe della tappa successiva, Giava. Secondo le fonti storiche, nel periodo in cui l’isola fu visitata da Odorico l’isola viveva l’ultimo periodo prospero prima dell’arrivo dell’Islam dall’India, quello del regno Majapahit che, sotto il comandante militare e consigliere dei regnanti Gajah Mada, riuscì nell’espansione territoriale con la conquista di Bali. A Giava l’Islam non era ancora giunto quando Odorico fece visita al palazzo reale, e le religioni principali erano il buddhismo, l’induismo e l’animismo. La descrizione che il friulano fece dell’isola era a dir poco entusiastica: «Quest’isola è abitata molto bene ed è la seconda isola più bella che ci sia al mondo. In essa nasce la canfora e vi crescono cubebe (pepe di Giava), melaghette (nota come melegueta o grani del Paradiso, della famiglia dello zenzero con sentore di zenzero e cardamomo) e noci moscate e molte altre specie di erbe preziose. Vi è grande abbondanza di vettovaglie, a eccezione del vino. Il re di quest’isola possiede un palazzo davvero meraviglioso». E più avanti, nel capitolo dedicato all’arcipelago indonesiano, Odorico sottolineava la potenza militare di Giava, che seppe resistere alla potenza della Cina di Kubilai Khan. «Il Gran Khan del Catai fu molte volte in guerra contro questo regno di Giava, ma questo re riuscì sempre vincitore e lo superò».
Lasciata l’Indonesia, passando forse per il Borneo e probabilmente dalle Filippine, Odorico sbarcò finalmente in Cina dal porto di Canton. Poi via terra riuscì a raggiungere Khambaliq (Pechino), dove lasciò le spoglie dei confratelli martiri e risiedette per tre anni prima di intraprendere il viaggio di ritorno via terra in compagnia del francescano frate Giacomo d’Irlanda attraverso il Tibet, la Persia e di nuovo da Trebisonda fino a Venezia. Odorico tornò nel 1330, dopo 12 anni. A Padova scrisse la sua Relatio, di fronte a frate Guido, ministro provinciale, e allo scriba Guglielmo da Solagna. La destinazione del resoconto di Odorico era Avignone, dove si ipotizza che il frate avrebbe dovuto recarsi per relazionare le meraviglie d’Oriente e dei suoi popoli al Pontefice. Odorico da Pordenone non la raggiungerà mai. Morirà a Udine si presume il 14 gennaio 1331 stroncato da una grave forma di enfisema dovuto alle esalazioni di monossido di carbonio respirate nelle tende dei «Tatari». La fama di santità seguirà immediatamente dopo la morte. A Udine fu realizzata una splendida arca dove riposavano le spoglie. Il processo di canonizzazione iniziò solamente nel 1755 ma fu interrotto. Due volte ancora fu ripreso ed interrotto nel 1931 e nel 1956. Nuovamente istruito negli anni Duemila, l'iter è attualmente in corso.
Per un approfondimento sul viaggio di Odorico da Pordenone si consiglia la lettura di Racconto delle cose meravigliose d'Oriente (Edizioni Messaggero Padova), basato sull'opera critica di riferimento a cura di Annalia Marchisio Relatio de mirabilibus orientalium Tatarorum (Sismel-Edizioni del Galluzzo).
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(Totaleu)
Lo ha detto l’eurodeputato di Forza Italia a margine della sessione plenaria di Strasburgo.