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2018-09-01
Tutti i vescovi legati a McCarrick hanno fatto guerra ai conservatori
Ansa
Si potrebbe provare a leggere il memoriale Viganò, e anche il silenzio di Bergoglio sulla veridicità o meno dello stesso, in questo modo: nel dialogo tra l'ex nunzio e papa Francesco, riguardo al cardinale Theodore McCarrick, il Pontefice si trova spiazzato, perché da una parte sospetta di lui (non è detto che abbia alcuna prova), dall'altra gli è grato, sebbene non direttamente. La sua domanda, «McCarrick com'è?», può nascondere proprio questo scrupolo: Bergoglio sa di dovergli, in parte, l'elezione, ma conosce anche i sospetti su di lui.
Perché il Papa poteva essere grato a McCarrick, ma «non direttamente»? Semplicemente perché il cardinale ha partecipato agli incontri pre conclave, ma non al conclave stesso, dove però sembra essere stato protagonista un suo pupillo, il cardinale Donald Wuerl, che nel 2006 aveva sostituito proprio McCarrick come arcivescovo di Washington. Se rileggiamo alcune ricostruzioni del conclave del 2013, come quella del vaticanista di Repubblica Paolo Rodari (15 marzo 2013), troviamo questa affermazione: «Insieme agli italiani (sodaniani e bertoniani, ndr) anche gli americani», sono stati «spinti su Bergoglio dal loro principale Pope Maker: l'arcivescovo di Washington Donald Wuerl». Anche alcuni giornalisti americani all'epoca presentarono Wuerl, se non come il «Pope Maker», come uno di essi.
Questo aiuta a capire un passaggio successivo: papa da soli sette mesi, Bergoglio rimuove dall'importantissima congregazione dei vescovi il cardinale Raymond Burke (forse uno degli americani che non lo avevano votato? Certamente un vescovo molto lontano da Wuerl) e vi mette proprio Donald Wuerl. Il seguito è noto: i pupilli di McCarrick, cioè Kevin Farrell, Joseph William Tobin, Blase Cupich, tutte personalità inclini a un dialogo stretto con il mondo Lgbt e favorevoli ad Amoris laetitia, vengono nominati cardinali. Chi li ha segnalati a Francesco? Forse non il cardinale omosessuale e abusatore McCarrick, ma il suo fedelissimo Wuerl. Che dunque può essere stato il tramite, più «presentabile» e credibile.
Un ulteriore dettaglio: Viganò scrive che il Papa, incontrandolo nel giugno 2013, subito lo «investì con tono di rimprovero con queste parole: “I vescovi degli Stati Uniti non devono essere ideologizzati! Devono essere pastori!"».
Il video dell'incontro sembra dare ragione a Viganò. Infatti, dopo un veloce saluto di circostanza, mostra Bergoglio che afferma: «Ma negli Stati Uniti…». Poi il video si ferma. Quel «ma» deciso, all'inizio del colloquio, sembra indicare che per Francesco qualcosa negli Usa non va. Poco dopo, come detto, le nomine cambieranno direzione, rispetto all'epoca di Benedetto XVI, e verranno promossi per lo più vescovi «liberal», come i cardinali già citati, a discapito dei «conservatori».
Commentando l'esclusione di Burke e la nomina di Wuerl alla congregazione dei vescovi, il vaticanista dell'Espresso Sandro Magister il 20 dicembre 2013 scrive: «Al posto di Burke il Papa ha scelto Wuerl, che […] ha un atteggiamento molto più morbido di Burke nei confronti dei politici pro aborto. Questo cambiamento è stato salutato positivamente nel mondo “liberal" americano, che ora spera nella scelta di vescovi più progressisti rispetto a quelli nominati negli ultimi anni».
Analoga la linea adottata in Italia: basti ricordare che uno dei primi discorsi di monsignor Nunzio Galantino, scelto da Bergoglio come segretario della Cei, fu contro le persone che pregano davanti agli ospedali contro l'aborto, mentre buona parte del suo impegno successivo è stato per boicottare i due Family day contro il gender, l'utero in affitto e la legge Cirinnà, in discontinuità con l'azione della Cei di Camillo Ruini e Angelo Bagnasco.
Infine, una curiosità: in seguito alla pubblicazione dei famosi Dubia, Wuerl lanciò l'idea che forse era il caso, per Burke, di rinunciare alla berretta cardinalizia, facendo un paragone piuttosto esplicito con quanto avvenuto ai tempi di Pio XI con Louis Billot. Subito diversi giornalisti italiani e non, tra cui Andrea Tornielli e Alberto Melloni, rilanciarono molto misericordiosamente la proposta, fingendo di ignorare quanti sono stati nella storia della Chiesa gli scontri tra pontefici e alti ecclesiastici, a partire da San Pietro e San Paolo.
Oggi Burke conserva la sua berretta, mentre l'ha persa, perché considerato colpevole, il padrino di Wuerl, McCarrick. Di più, sia Wuerl che Farrell sono al centro di una campagna mediatica fortissima, alimentata dagli stessi cattolici e anche da giornali «liberal» americani, che ne chiedono le dimissioni da cardinale, in nome dell'intima vicinanza dei due a McCarrick e dei risultati del rapporto del grand jury della Pennsylvania, secondo il quale Wuerl, quando era vescovo di Pittsburgh, «trasferì e spostò preti che avevano abusato di adolescenti maschi, nascondendo le notizie alle autorità civili e addirittura pagando uno di loro perché tacesse».
Stefano Agnoli
Il cardinale dà del «sicario» al giornalista
75 anni, arcivescovo di Tegucigalpa e coordinatore del gruppo di 9 cardinali che coadiuva Francesco nel governo della Chiesa.
Intervistato dalla testata in lingua spagnola Periodista digital, Maradiaga ha risposto alla domanda sul caso Viganò e le accuse che lo riguardano nel memoriale dell'ex nunzio negli Stati Uniti. Da «circa tre anni», ha detto, «sono vittima di un “sicario" che pratica molestie sui media. Il suo nome è Edward Pentin e lavora per un giornale della rete Ewt chiamato National Catholic Register». Si dà il caso che il Register sia uno dei media che domenica scorsa, insieme alla Verità, ha diffuso il memoriale di Viganò, perciò il riferimento al «sicario» potrebbe voler dire che per il cardinale tutto il dossier si riduce a una operazione dei soliti nemici. Penne al servizio di chissà chi e dedite non all'informazione, ma alla demolizione prezzolata dell'avversario. È una narrazione (non dimostrata) che va per la maggiore sul caso Viganò, sostenuta da tanti media paravaticani che tirano in ballo poteri forti statunitensi, piogge di dollari e magari, aggiungiamo noi, anche James Bond.
Maradiaga si difende dal «sicario» Pentin e ne mette in discussione la professionalità: «Non ho mai parlato con lui», dice, «ma ha usato la “diffamazione anonima" che è stata pubblicata da un altro “sicario" honduregno in un giornale locale che costantemente mi insulta e mi calunnia. Chi sono io, arcivescovo di una piccola diocesi e un piccolo Paese per apparire diffamato nella stampa mondiale, senza possibilità di difendermi?».
Sarà anche piccola, la diocesi di Tegucigalpa, ma sembra ben attrezzata in quanto a mezzi finanziari, visto che una della questioni sollevate da Pentin sul conto di Maradiaga riguarda la fine che ha fatto una sovvenzione caritatevole di 1,3 milioni di dollari che il vescovo ausiliare del cardinale, José Pineda Fasquelle, ha ottenuto dal governo dell'Honduras, ma che non è mai stata resa nota. Pineda, 57 anni, ha visto le proprie dimissioni accettate da papa Francesco lo scorso 20 luglio, dopo un'indagine che il Vaticano ha condotto per mano del vescovo argentino Alcides Casaretto. Le accuse al braccio destro di Maradiaga (Pineda era suo ausiliare dal 2005) riguardano sia cattiva e opaca gestione finanziaria che comportamenti sessuali inappropriati anche con giovani seminaristi. Su questa faccenda il «sicario» Pentin ha avuto l'ardire di porre una domanda: cosa può dire il cardinale Maradiaga a proposito del suo ausiliare? Era a conoscenza di queste situazioni?
Inoltre, il «sicario» ha reso nota una lettera scritta da 48 seminaristi su 180 iscritti nel seminario della diocesi di Maradiaga. «Stiamo vivendo e sperimentando», hanno scritto, «un tempo di tensione nella nostra casa a causa di situazioni gravemente immorali, soprattutto di omosessualità attiva all'interno del seminario», cosa che evidentemente è in contrasto con le attuali norme della Chiesa rispetto all'ingresso nelle case di formazione. La cosa, denunciano i seminaristi ai loro insegnanti, andrebbe avanti da tempo, tanto che «per il fatto di aver insabbiato e penalizzato questa situazione, il problema si è rafforzato, diventando, come un sacerdote ha detto non molto tempo fa, una “epidemia nel seminario"». La lettera ha fatto seguito anche al fallito tentativo di suicidio di un seminarista della diocesi honduregna di Santa Rosa de Copán, il quale aveva scoperto che il suo amante nel seminario era impegnato in un'altra relazione.
Pentin sostiene anche di avere in mano «prove fotografiche di pornografia omosessuale, scambiate su Whatsapp tra seminaristi che non hanno firmato la lettera». I messaggi «sono stati verificati come autentici da specialisti informatici presso l'Università cattolica dell'Honduras che hanno perquisito la memoria del computer e hanno consegnato gli scambi ai vescovi del Paese». Il tutto sarebbe poi stato discusso dai vescovi che hanno respinto le accuse, sebbene abbiano riconosciuto che c'è una «fragilità affettiva e sessuale che ci colpisce tutti e che può generare atteggiamenti e comportamenti inappropriati». Maradiaga da parte sua avrebbe liquidato la lettera e le notizie di Pentin come «chiacchiere». E ora accusa di killeraggio un giornalista che non rinuncia a fare il proprio mestiere. Il cardinale dice di non avere avuto dal «sicario» la possibilità di difendersi, ma forse non la racconta tutta. Ha dichiarato Pentin all'inglese Catholic Herald: «Ho scritto al cardinale quattro volte quest'anno chiedendogli di commentare tutti questi problemi e di dare la sua versione della storia, invitandolo anche a incontrarmi quando fosse passato qui a Roma. Un collega che ha collaborato con me lo ha contattato in diverse occasioni per un commento. Tutte queste richieste non hanno mai avuto risposta».
Eppure il cardinale ha già mostrato di conoscere la deontologia professionale dei cronisti. Emiliano Fittipaldi aveva tirato in ballo Maradiaga sul settimanale L'Espresso sul finire del 2017 per una prebenda di 35.000 euro ricevuta mensilmente, per anni, dall'Università cattolica dell'Honduras, dove il porporato era gran cancelliere, ma soprattutto per alcune manovre intorno a grandi somme di denaro della diocesi girate a finanziarie londinesi e di cui si sarebbero perse le tracce, oltre che per un'inchiesta della Corte dei conti dell'Honduras condotta sui bilanci della diocesi per il periodo 2012-2014. Dopo quella inchiesta giornalistica il Papa telefonò a Maradiaga per sostenerlo, e lui poi dichiarò alla Stampa la sua completa innocenza: «È tutta una calunnia», pubblicata da «un giornalista con poca etica». Perché, aggiunse Maradiaga, «una regola di base dell'etica professionale del comunicatore è che quando si tratta di diffondere qualcosa che riguarda una persona bisogna fare prima lo sforzo di parlare con essa».
A questo punto però anche a noi abbiamo una domanda da fare al cardinale esperto di comunicazione: se Fittipaldi era colpevole di non averla interpellata, perché Pentin il «sicario», che dichiara di averle scritto quattro volte e quindi di aver fatto «lo sforzo» di parlare con lei, non ha mai ricevuto risposta? Il rapporto tra prelati e giornalisti ultimamente è davvero problematico. Se non si fanno domande non si segue l'etica professionale, ma se si fanno domande non si riceve risposta.
Lorenzo Bertocchi
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Il documento di Carlo Maria Viganò illumina le ragioni della svolta «liberal» impressa da Francesco alla Chiesa Usa A partire dalla sostituzione di Raymond Burke, firmatario dei Dubia, con Donald William Wuerl, pupillo del porporato molestatore.L'honduregno Oscar Rodriguez Maradiaga, accusato anche dalla testimonianza dell'ex nunzio, insulta un cronista perché scrive degli scandali gay che lo circondano a Tegucigalpa. Ma una lettera di 48 seminaristi della sua diocesi conferma: qui l'omosessualità è una «epidemia».Lo speciale contiene due articoliSi potrebbe provare a leggere il memoriale Viganò, e anche il silenzio di Bergoglio sulla veridicità o meno dello stesso, in questo modo: nel dialogo tra l'ex nunzio e papa Francesco, riguardo al cardinale Theodore McCarrick, il Pontefice si trova spiazzato, perché da una parte sospetta di lui (non è detto che abbia alcuna prova), dall'altra gli è grato, sebbene non direttamente. La sua domanda, «McCarrick com'è?», può nascondere proprio questo scrupolo: Bergoglio sa di dovergli, in parte, l'elezione, ma conosce anche i sospetti su di lui. Perché il Papa poteva essere grato a McCarrick, ma «non direttamente»? Semplicemente perché il cardinale ha partecipato agli incontri pre conclave, ma non al conclave stesso, dove però sembra essere stato protagonista un suo pupillo, il cardinale Donald Wuerl, che nel 2006 aveva sostituito proprio McCarrick come arcivescovo di Washington. Se rileggiamo alcune ricostruzioni del conclave del 2013, come quella del vaticanista di Repubblica Paolo Rodari (15 marzo 2013), troviamo questa affermazione: «Insieme agli italiani (sodaniani e bertoniani, ndr) anche gli americani», sono stati «spinti su Bergoglio dal loro principale Pope Maker: l'arcivescovo di Washington Donald Wuerl». Anche alcuni giornalisti americani all'epoca presentarono Wuerl, se non come il «Pope Maker», come uno di essi.Questo aiuta a capire un passaggio successivo: papa da soli sette mesi, Bergoglio rimuove dall'importantissima congregazione dei vescovi il cardinale Raymond Burke (forse uno degli americani che non lo avevano votato? Certamente un vescovo molto lontano da Wuerl) e vi mette proprio Donald Wuerl. Il seguito è noto: i pupilli di McCarrick, cioè Kevin Farrell, Joseph William Tobin, Blase Cupich, tutte personalità inclini a un dialogo stretto con il mondo Lgbt e favorevoli ad Amoris laetitia, vengono nominati cardinali. Chi li ha segnalati a Francesco? Forse non il cardinale omosessuale e abusatore McCarrick, ma il suo fedelissimo Wuerl. Che dunque può essere stato il tramite, più «presentabile» e credibile.Un ulteriore dettaglio: Viganò scrive che il Papa, incontrandolo nel giugno 2013, subito lo «investì con tono di rimprovero con queste parole: “I vescovi degli Stati Uniti non devono essere ideologizzati! Devono essere pastori!"».Il video dell'incontro sembra dare ragione a Viganò. Infatti, dopo un veloce saluto di circostanza, mostra Bergoglio che afferma: «Ma negli Stati Uniti…». Poi il video si ferma. Quel «ma» deciso, all'inizio del colloquio, sembra indicare che per Francesco qualcosa negli Usa non va. Poco dopo, come detto, le nomine cambieranno direzione, rispetto all'epoca di Benedetto XVI, e verranno promossi per lo più vescovi «liberal», come i cardinali già citati, a discapito dei «conservatori».Commentando l'esclusione di Burke e la nomina di Wuerl alla congregazione dei vescovi, il vaticanista dell'Espresso Sandro Magister il 20 dicembre 2013 scrive: «Al posto di Burke il Papa ha scelto Wuerl, che […] ha un atteggiamento molto più morbido di Burke nei confronti dei politici pro aborto. Questo cambiamento è stato salutato positivamente nel mondo “liberal" americano, che ora spera nella scelta di vescovi più progressisti rispetto a quelli nominati negli ultimi anni».Analoga la linea adottata in Italia: basti ricordare che uno dei primi discorsi di monsignor Nunzio Galantino, scelto da Bergoglio come segretario della Cei, fu contro le persone che pregano davanti agli ospedali contro l'aborto, mentre buona parte del suo impegno successivo è stato per boicottare i due Family day contro il gender, l'utero in affitto e la legge Cirinnà, in discontinuità con l'azione della Cei di Camillo Ruini e Angelo Bagnasco.Infine, una curiosità: in seguito alla pubblicazione dei famosi Dubia, Wuerl lanciò l'idea che forse era il caso, per Burke, di rinunciare alla berretta cardinalizia, facendo un paragone piuttosto esplicito con quanto avvenuto ai tempi di Pio XI con Louis Billot. Subito diversi giornalisti italiani e non, tra cui Andrea Tornielli e Alberto Melloni, rilanciarono molto misericordiosamente la proposta, fingendo di ignorare quanti sono stati nella storia della Chiesa gli scontri tra pontefici e alti ecclesiastici, a partire da San Pietro e San Paolo. Oggi Burke conserva la sua berretta, mentre l'ha persa, perché considerato colpevole, il padrino di Wuerl, McCarrick. Di più, sia Wuerl che Farrell sono al centro di una campagna mediatica fortissima, alimentata dagli stessi cattolici e anche da giornali «liberal» americani, che ne chiedono le dimissioni da cardinale, in nome dell'intima vicinanza dei due a McCarrick e dei risultati del rapporto del grand jury della Pennsylvania, secondo il quale Wuerl, quando era vescovo di Pittsburgh, «trasferì e spostò preti che avevano abusato di adolescenti maschi, nascondendo le notizie alle autorità civili e addirittura pagando uno di loro perché tacesse».Stefano Agnoli<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/tutti-i-vescovi-legati-a-mccarrick-hanno-fatto-guerra-ai-conservatori-2600814638.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="il-cardinale-da-del-sicario-al-giornalista" data-post-id="2600814638" data-published-at="1765731926" data-use-pagination="False"> Il cardinale dà del «sicario» al giornalista 75 anni, arcivescovo di Tegucigalpa e coordinatore del gruppo di 9 cardinali che coadiuva Francesco nel governo della Chiesa. Intervistato dalla testata in lingua spagnola Periodista digital, Maradiaga ha risposto alla domanda sul caso Viganò e le accuse che lo riguardano nel memoriale dell'ex nunzio negli Stati Uniti. Da «circa tre anni», ha detto, «sono vittima di un “sicario" che pratica molestie sui media. Il suo nome è Edward Pentin e lavora per un giornale della rete Ewt chiamato National Catholic Register». Si dà il caso che il Register sia uno dei media che domenica scorsa, insieme alla Verità, ha diffuso il memoriale di Viganò, perciò il riferimento al «sicario» potrebbe voler dire che per il cardinale tutto il dossier si riduce a una operazione dei soliti nemici. Penne al servizio di chissà chi e dedite non all'informazione, ma alla demolizione prezzolata dell'avversario. È una narrazione (non dimostrata) che va per la maggiore sul caso Viganò, sostenuta da tanti media paravaticani che tirano in ballo poteri forti statunitensi, piogge di dollari e magari, aggiungiamo noi, anche James Bond. Maradiaga si difende dal «sicario» Pentin e ne mette in discussione la professionalità: «Non ho mai parlato con lui», dice, «ma ha usato la “diffamazione anonima" che è stata pubblicata da un altro “sicario" honduregno in un giornale locale che costantemente mi insulta e mi calunnia. Chi sono io, arcivescovo di una piccola diocesi e un piccolo Paese per apparire diffamato nella stampa mondiale, senza possibilità di difendermi?». Sarà anche piccola, la diocesi di Tegucigalpa, ma sembra ben attrezzata in quanto a mezzi finanziari, visto che una della questioni sollevate da Pentin sul conto di Maradiaga riguarda la fine che ha fatto una sovvenzione caritatevole di 1,3 milioni di dollari che il vescovo ausiliare del cardinale, José Pineda Fasquelle, ha ottenuto dal governo dell'Honduras, ma che non è mai stata resa nota. Pineda, 57 anni, ha visto le proprie dimissioni accettate da papa Francesco lo scorso 20 luglio, dopo un'indagine che il Vaticano ha condotto per mano del vescovo argentino Alcides Casaretto. Le accuse al braccio destro di Maradiaga (Pineda era suo ausiliare dal 2005) riguardano sia cattiva e opaca gestione finanziaria che comportamenti sessuali inappropriati anche con giovani seminaristi. Su questa faccenda il «sicario» Pentin ha avuto l'ardire di porre una domanda: cosa può dire il cardinale Maradiaga a proposito del suo ausiliare? Era a conoscenza di queste situazioni? Inoltre, il «sicario» ha reso nota una lettera scritta da 48 seminaristi su 180 iscritti nel seminario della diocesi di Maradiaga. «Stiamo vivendo e sperimentando», hanno scritto, «un tempo di tensione nella nostra casa a causa di situazioni gravemente immorali, soprattutto di omosessualità attiva all'interno del seminario», cosa che evidentemente è in contrasto con le attuali norme della Chiesa rispetto all'ingresso nelle case di formazione. La cosa, denunciano i seminaristi ai loro insegnanti, andrebbe avanti da tempo, tanto che «per il fatto di aver insabbiato e penalizzato questa situazione, il problema si è rafforzato, diventando, come un sacerdote ha detto non molto tempo fa, una “epidemia nel seminario"». La lettera ha fatto seguito anche al fallito tentativo di suicidio di un seminarista della diocesi honduregna di Santa Rosa de Copán, il quale aveva scoperto che il suo amante nel seminario era impegnato in un'altra relazione. Pentin sostiene anche di avere in mano «prove fotografiche di pornografia omosessuale, scambiate su Whatsapp tra seminaristi che non hanno firmato la lettera». I messaggi «sono stati verificati come autentici da specialisti informatici presso l'Università cattolica dell'Honduras che hanno perquisito la memoria del computer e hanno consegnato gli scambi ai vescovi del Paese». Il tutto sarebbe poi stato discusso dai vescovi che hanno respinto le accuse, sebbene abbiano riconosciuto che c'è una «fragilità affettiva e sessuale che ci colpisce tutti e che può generare atteggiamenti e comportamenti inappropriati». Maradiaga da parte sua avrebbe liquidato la lettera e le notizie di Pentin come «chiacchiere». E ora accusa di killeraggio un giornalista che non rinuncia a fare il proprio mestiere. Il cardinale dice di non avere avuto dal «sicario» la possibilità di difendersi, ma forse non la racconta tutta. Ha dichiarato Pentin all'inglese Catholic Herald: «Ho scritto al cardinale quattro volte quest'anno chiedendogli di commentare tutti questi problemi e di dare la sua versione della storia, invitandolo anche a incontrarmi quando fosse passato qui a Roma. Un collega che ha collaborato con me lo ha contattato in diverse occasioni per un commento. Tutte queste richieste non hanno mai avuto risposta». Eppure il cardinale ha già mostrato di conoscere la deontologia professionale dei cronisti. Emiliano Fittipaldi aveva tirato in ballo Maradiaga sul settimanale L'Espresso sul finire del 2017 per una prebenda di 35.000 euro ricevuta mensilmente, per anni, dall'Università cattolica dell'Honduras, dove il porporato era gran cancelliere, ma soprattutto per alcune manovre intorno a grandi somme di denaro della diocesi girate a finanziarie londinesi e di cui si sarebbero perse le tracce, oltre che per un'inchiesta della Corte dei conti dell'Honduras condotta sui bilanci della diocesi per il periodo 2012-2014. Dopo quella inchiesta giornalistica il Papa telefonò a Maradiaga per sostenerlo, e lui poi dichiarò alla Stampa la sua completa innocenza: «È tutta una calunnia», pubblicata da «un giornalista con poca etica». Perché, aggiunse Maradiaga, «una regola di base dell'etica professionale del comunicatore è che quando si tratta di diffondere qualcosa che riguarda una persona bisogna fare prima lo sforzo di parlare con essa». A questo punto però anche a noi abbiamo una domanda da fare al cardinale esperto di comunicazione: se Fittipaldi era colpevole di non averla interpellata, perché Pentin il «sicario», che dichiara di averle scritto quattro volte e quindi di aver fatto «lo sforzo» di parlare con lei, non ha mai ricevuto risposta? Il rapporto tra prelati e giornalisti ultimamente è davvero problematico. Se non si fanno domande non si segue l'etica professionale, ma se si fanno domande non si riceve risposta. Lorenzo Bertocchi
iStock
L’allarme sul nuovo capitolo - quello che riguarda le bottiglie da spumante o da vini da invecchiare e l’olio extravergine d’oliva (che teme come la peste la luce del sole) - è stato lanciato dal presidente del Coreve, il consorzio italiano per il riciclo del vetro che detiene il record europeo, con l’81% di vetro «circolare», pari a 2,1 milioni di tonnellate nel 2024 (ben sei punti sopra le quote massime richieste da Bruxelles). Che dice: vogliono cancellare le bottiglie scure per il Prosecco. Spiega il presidente Gianni Scotti che tutto nasce dall’idea di Germania e Danimarca d’imporre in Ue solo le bottiglie da birra. S’attaccano al fatto che i lettori ottici, quando devono selezionare una bottiglia scura, la scambiano per ceramica e non la mandano alla fusione, abbassando il tetto delle quantità riciclate. «Abbiamo dimostrato», spiega Scotti, che le nostre macchine arrivano a scartare meno dell’1% del vetro. Speriamo di convincere l’Europa che le indicazioni che vengono da loro sono obsolete». E anche Assovetro, il cui presidente è Marco Ravasi e che usa il rottame di vetro, si dice preoccupata per la piega che sta prendendo Bruxelless. La speranza è l’ultima dea, ma la concorrenza interna all’Ue può molto di più. Gli attacchi al vino da parte dei Paesi del Nord, che lamentano il fatto che sulla birra c’è una (minima) accisa e sul vino no, si ripetono a ondate. Prima l’Irlanda ha imposto le etichette con scritto «il vino fa male», violando i trattati, ma Ursula von der Leyen ha dato loro ragione; poi la Commissione ha approvato il Beca (documento anti cancro che deve passare dall’Eurocamera) per ipertassare il vino, restringerne la vendita e abolirne la promozione; ora si passa dal vetro. Tutto a danno dei Paesi mediterranei, ignorando che in premessa, nel regolamento sugli imballaggi, c’è scritto: «Imballaggi appropriati sono indispensabili per proteggere i prodotti».
Senza bottiglie scure non si può fare la rifermentazione in bottiglia. Solo Cristal in Champagne usa bottiglie bianche, ma tenute al buio. Lo stesso vale per il metodo classico italiano (sempre di rifermentazione in bottiglia si parla), ma anche per gli spumanti fatti in autoclave (il Prosecco appunto). Per avere un’idea, s’imbottigliano 300 milioni di Champagne, gli italiani tappano un miliardo di bottiglie, gli spagnoli 250 milioni. Va bene solo ai tedeschi che fanno tante bollicine ma così leggere che, comunque, non passerebbero l’anno e dunque non hanno bisogno di protezione dal sole, né di contenere le pressioni di rifermentazione. Il caso dei vetri confermerà invece agli inglesi che la Brexit è stata una mano santa. Sono i più forti consumatori di spumanti al mondo, ma sono anche coloro i quali li hanno resi possibile e ora ne producono di ottimi (ad esempio Bolney).
Il metodo di rifermentazione fu codificato da due marchigiani: Andrea Bacci (De naturalis vinorum historia del 1599) e Francesco Scacchi (1622, De Salubri potu dissertatio) mettono a punto la tecnica, tant’è che si potrebbe parale di un metodo Scacchi. Dom Pierre Pérignon arriva sessant’anni dopo. Ma i due italiani hanno un limite: le bottiglie di vetro soffiato scoppiano. In rifermentazione si arriva fino a 6 atmosfere di pressione. Però nel 1652 sir Kelem Digby cambiò tutto. Giorgio I aveva impedito di tagliare alberi per alimentare i forni vetrai, cosi Digby usò il carbone. Questo gli consentì di alzare le fusioni e mescolare carbonio alla pasta vitrea: nacque l’iper-resistente «English Bottle». Gli inglesi, primi clienti dei vini francesi, fecero con il vetro la fortuna dello Champagne. E questo spiega perché le bottiglie sono pesanti e scure (fino a 9 etti per il metodo classico, 700 grammi quelle da Prosecco, mezzo chilo quelle da vino, anche se l’italiana Verallia ha prodotto la Borgne Aire di soli tre etti). Ma l’Europa non lo sa o fa finta. Perché attraverso le bottiglie (produrre un chilo di vetro vergine vale 500 grammi di CO2, ma nel 2024 l’Italia col riciclo ha risparmiato quasi 1 milione di tonnellate di anidride carbonica, 358.000 tonnellate di petrolio e 3,8 milioni tonnellate di materiali) ha capito che può frenare la crescita di alcuni Paesi. Solo che ora dovranno spiegarlo ai vigneron francesi, che da mesi protestano e hanno già estirpato 12.000 ettari di vigna. Ci sta che a Bruxelles dalle cantine arrivi un messaggio in bottiglia: o lasciate perdere, o i trattori che il 18 stanno per circondare palazzo Berlaymont sono solo un aperitivo.
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Maurizio Gasparri (Ansa)
Sono le 20.30, Andrea finisce il suo turno e sale negli spogliatoi, al piano superiore, per cambiarsi. Scendendo dalle scale si trova davanti ad un uomo armato che, forse in preda al panico, apre il fuoco. La pallottola gli buca la testa, da parte a parte, ma invece di ucciderlo lo manda in coma per mesi, riducendolo a un vegetale. La sua vita e quella dei suoi genitori si ferma quel giorno.
Lo Stato si dimentica di loro. Le indagini si concludono con un nulla di fatto. Non solo non hanno mai trovato chi ha sparato ma neppure il proiettile e la pistola da dove è partito il colpo. Questo perché in quel supermercato le telecamere non erano in funzione. Nel 2018 archiviano il caso. E rinvio dopo rinvio non è ancora stato riconosciuto alla famiglia alcun risarcimento in sede civile. Oggi Andrea ha 35 anni e forse neppure lo sa, ha bisogno di tutto, è immobile, si nutre con un sondino, passa le sue giornate tra il letto e la carrozzina. Per assisterlo, al mattino, la famiglia paga due persone. Hanno dovuto installare un ascensore in casa. E ricevono solo un indennizzo Inail che appena gli consente di provvedere alle cure.
Il senatore di Forza Italia, Maurizio Gasparri, membro della commissione Giustizia del Senato, è sconcertato: «Sono profondamente indignato per quanto accaduto a questa famiglia, Andrea e i suoi genitori meritano la giustizia che fino ad oggi gli è stata negata da lungaggini e burocrazia. Non si capisce il motivo di così tanti rinvii. Almeno si giunga a una sentenza e che Andrea abbia il risarcimento che merita dall’assicurazione. Anche il datore di lavoro ha le sue responsabilità e non possono non essere riconosciute dai giudici».
Il collega senatore di Forza Italia, nonché avvocato, Pierantonio Zanettin, anche lui membro della stessa commissione, propone «che lo Stato si faccia carico di un provvedimento ad hoc di solidarietà se la causa venisse persa. È patologico che ci siano tutti questi rinvii. Bisognerebbe capire cosa c’è sotto. Ci devono spiegare le ragioni. Comunque io mi metto a disposizione della famiglia e del legale. La giustizia ha l’obbligo di rispondere».
Ogni volta l’inizio del processo si sposta di sei mesi in sei mesi, quando va bene. L’ultima beffa qualche giorno fa quando la Corte d’Appello calendarizza un altro rinvio. L’avvocato della famiglia, Matteo Mion, non sa darsi una ragione: «Il motivo formale di tutti questi rinvii è il carico di lavoro che hanno nei tribunali, ma io credo più nell’inefficienza che nei complotti. In primo grado era il tribunale di Padova, adesso siamo in Corte di Appello a Venezia. Senza spiegazioni arriva una pec che ci informa dell’ennesimo rinvio. Ormai non li conto più. L’ultima volta il 4 dicembre, rinviati all’11 giugno 2026. La situazione è ingessata, non puoi che prenderne atto e masticare amaro».
In primo grado, il giudice Roberto Beghini, prova addirittura a negare che Andrea avesse diritto a un indennizzo Inail, sostenendo che quello non fosse un infortunio sul lavoro. Poi sentenzia che non c’è alcuna connessione, nemmeno indiretta, tra quanto successo ad Andrea e l’attività lavorativa che stava svolgendo, in quanto aveva già timbrato il cartellino, era quindi fuori dall’orario di lavoro, non era stata sottratta merce dal supermercato, né il ragazzo era stato rapinato personalmente. Per lui non è stata una rapina finita male. Nessuna merce sottratta, nessuna rapina. Il giudice Beghini insinua addirittura che potrebbe essere stato un regolamento di conti. Solo congetture, nessuna prova, nulla che possa far sospettare che qualcuno volesse fare del male al ragazzo. Giusto giovedì sera, alle 19.30, in un altro Prix market, stavolta a Bagnoli di Sopra (Padova), due banditi hanno messo a segno una rapina armati di pistola. Anche stavolta non c’erano le telecamere. Ed è il quarto colpo in nove giorni.
Ciò che è certo in questa storia è che il crimine è avvenuto all’interno del posto di lavoro dove Andrea era assunto, le telecamere erano spente e chi ha sparato è entrato dal retro dell’edificio attraverso un ingresso lasciato aperto. In un Paese normale i titolari del Prix, se non delle colpe dirette, avrebbero senz’altro delle responsabilità. «L’aspetto principale è l’assenza di misure di sicurezza del supermercato», conclude Mion, «che avrebbero tutelato il personale e che avrebbero consentito con buona probabilità di sapere chi ha sparato. C’è una responsabilità della sentenza primo grado, a mio avviso molto modesta».
Per il deputato di Forza Italia, Enrico Costa, ex viceministro della Giustizia e oggi membro della commissione Giustizia della Camera, «ancora una volta giustizia non è fatta. Il responsabile di quell’atto non è stato trovato, abbiamo un ragazzo con una lesione permanente e una famiglia disperata alla quale è cambiata la vita da un momento all’altro. È loro diritto avere un risarcimento e ottenere giustizia».
L’assicurazione della Prix Quality Spa, tace e si rifiuta di pagare. Sapete quanto hanno offerto ad Andrea? Cinquantamila euro. Ecco quanto vale la vita di un ragazzo.
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Beppe Sala (Ansa)
«Il Comune di Milano ha premiato la Cgil con l’Ambrogino, la più importante benemerenza civica. Quello che vorremmo capire è perché lo stesso riconoscimento non sia stato assegnato anche alla Cisl. O alla Uil. Insomma, a tutto il movimento sindacale confederale», afferma Abimelech. Il segretario della Cisl richiama il peso organizzativo del sindacato sul territorio e il ruolo svolto nei luoghi di lavoro e nei servizi ai cittadini: «È una risposta che dobbiamo ai nostri 185.000 iscritti, ai delegati e alle delegate che si impegnano quotidianamente nelle aziende e negli uffici pubblici, alle tantissime persone che si rivolgono ai nostri sportelli diffusi in tutta l’area metropolitana per chiedere di essere tutelate e assistite».
Nel merito delle motivazioni che hanno accompagnato il riconoscimento alla Cgil, Abimelech solleva una serie di interrogativi sul mancato coinvolgimento delle altre sigle confederali. «Abbiamo letto le motivazioni del premio alla Cgil e allora ci chiediamo: la Cisl non è un presidio democratico e di sostegno a lavoratori e lavoratrici? Non è interlocutrice cruciale per istituzioni e imprese, impegnata nel tutelare qualità del lavoro, salute pubblica e futuro del territorio?», dichiara.
Il segretario generale elenca le attività svolte dal sindacato sul piano dei servizi e della rappresentanza: «Non offre servizi essenziali, dai Caf al Patronato, agli sportelli legali? Non promuove modelli di sviluppo equi, sostenibili e inclusivi? Non è vitale il suo ruolo nel dibattito sulle dinamiche della politica economica e industriale?».
Nella dichiarazione trova spazio anche il recente trasferimento della sede della sigla milanese. «In queste settimane la Cisl ha lasciato la sua “casa” storica di via Tadino 23, inaugurata nel 1961 dall’arcivescovo Giovanni Battisti Montini, il futuro Papa Paolo VI, per trasferirsi in una più grande e funzionale in via Valassina 22», ricorda Abimelech, sottolineando le ragioni dell’operazione: «Lo ha fatto proprio per migliorare il suo ruolo di servizio e tutela per i cittadini e gli iscritti».
La presa di posizione si chiude con un interrogativo rivolto direttamente all’amministrazione comunale: «Dobbiamo pensare che per il Comune di Milano ci siano sindacati di serie A e di serie B? Dobbiamo pensare che per il Comune di Milano ci siano sindacati amici e nemici?». Al sindaco Sala non resta che conferire con Abimelech e metterlo a parte delle risposte ai suoi interrogativi.
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