2023-09-24
Tutti i danni del monarca per nulla illuminato
Dai silenzi durante Tangentopoli al pressing su Silvio Berlusconi per il sì alle bombe contro Gheddafi: il presidente che per primo fece il bis sul Colle ha collezionato errori. E passò da Botteghe oscure all’Ue senza un sussulto. Non so se Giorgio Napolitano si sia mai pentito di essere stato per oltre mezzo secolo comunista. Di certo, di questo presunto ravvedimento non ha mai dato prova e, una volta al Quirinale, si è ben guardato dal riparare agli errori compiuti, pacificando un Paese che dal Dopoguerra in poi è sempre stato diviso in due. Naturalmente rispetto la fine dell’uomo e non intendo infierire, tuttavia non posso unirmi al peana che, a reti e testate unificate, ha accolto la notizia della morte del primo capo dello Stato che sia riuscito a succedere a sé stesso, ma anche del primo presidente che abbia ottenuto di trasformare la Repubblica in una sorta di moderna monarchia, dove a lui era consentito di esercitare un potere assoluto su governo, Parlamento e magistratura.In vita mia l’ho incontrato una sola volta, quando, da direttore di Panorama, fui incaricato di accoglierlo durante la visita che egli fece a Palazzo Niemeyer per i cent’anni della Mondadori. Lo attesi sulla passatoia rossa, nell’open space che ospitava le redazioni, dandogli il benvenuto. Per lui rispose la moglie Clio, la quale con sorpresa, quasi se ne fosse resa conto solo in quel momento, trovandomi davanti, disse: «Ecco perché Panorama è diventato così cattivo». «Non quanto vorrei, signora», replicai.Di quanto lo infastidissero le critiche, ebbi modo di rendermi conto meglio più avanti, quando, divenuto direttore di Libero, venni omaggiato di un paio di denunce per vilipendio al capo dello Stato. Una volta avevo osato dire che Napolitano aveva ritardato il rientro in patria della salma di un caduto in Afghanistan in quanto impegnato in una delicata missione in Giappone a base di paccheri di Gragnano. Un’altra per aver denunciato le spese pazze del Quirinale. Da monarca qual era, pensava che ogni critica fosse un attentato alle sue prerogative. Ovviamente, fece sapere che lui con le denunce non c’entrava nulla e che erano state le Procure a muoversi autonomamente. Ma se anche fosse stato vero, gli sarebbe bastato alzare un mignolo per evitare che i pm perdessero tempo in inutili indagini. Ma quel mignolo, che si alzò per molte altre inchieste della magistratura, di Palermo, Roma e Milano, curiosamente non si levò.Le annotazioni sul mio rapporto a distanza con l’ex presidente non costituiscono un tentativo fuori tempo massimo di regolare i conti, ma una premessa necessaria al fine di chiarire il conflitto d’interessi che, certo, non mi induce a pensare che egli sia stato un buon capo dello Stato, capace di rappresentare gli interessi di tutti gli italiani. Napolitano ha sempre detestato la parte politica che gli era opposta e sempre favorito quella da cui proveniva. Ne è prova il rapporto con Silvio Berlusconi, il cui governo fu osteggiato in ogni modo e al quale negò la grazia che avrebbe potuto evitare l’umiliazione di un ex premier condannato ai servizi sociali. Oggi tutti fingono di dimenticare quel periodo, ma la stagione che va dal 2010 al 2013 la dice lunga su che tipo di presidente della Repubblica sia stato e quali danni egli abbia fatto.Tutti ricordano quando, da comunista, difese i carri armati di Mosca contro la folla inerme di Budapest. Mentre altri scelsero di uscire dal Pci, lui scelse di restarvi anche dopo che i russi impiccarono Imre Nagy, per poi passare senza soluzione di continuità dai sovietici agli americani, con i quali amava far credere di avere buoni rapporti nonostante la tessera di Botteghe oscure. Ambiguo, anzi opportunista. Così lo ha definito Antonio Padellaro, descrivendo un uomo sempre misurato e attento, ma solo al proprio interesse. L’ex presidente è passato dai Guf al Pci, dal comunismo all’atlantismo e infine all’europeismo, senza un sussulto, impassibile e insensibile davanti a qualsiasi rivolgimento.Nel periodo di Tangentopoli, toccò a lui, all’epoca presidente della Camera, ricevere la lettera d’addio di Sergio Moroni, parlamentare socialista che si suicidò in cantina con un colpo di fucile dopo essere stato sfiorato dalle indagini. Le parole erano drammatiche ma come sempre, come nel 1956 davanti alle immagini della rivolta sedata dai russi in Ungheria, Napolitano fece finta di nulla. Come allora tacque, che è la caratteristica che più gli ha consentito di fare strada e arrivare fino ai vertici della Repubblica. Sì, l’uomo era noto per muoversi in silenzio. E infatti, zitto zitto, preparò il rovesciamento del governo Berlusconi. Oggi tutti negano, perfino lo stesso Mario Monti si rimangia le parole cercando di cancellare il ruolo di Napolitano, ma i fatti parlano da soli. A ricostruire la faccenda ci ha pensato Alan Friedman, giornalista che certo non può essere sospettato di aver tifato per Berlusconi. In My way, libro che ricostruisce l’epopea del fondatore di Forza Italia, l’ex corrispondente del Financial Times scrive: «Nel 2011 Napolitano contattò Mario Monti per chiedergli se fosse disponibile, se necessario, a prendere il posto del Cavaliere. Per Monti la proposta era elettrizzante e se ne andò a confidare il suo segreto agli amici più importanti, da Carlo De Benedetti a Romano Prodi. Entrambi dichiararono di essere stati interpellati quell’estate da Monti per un consiglio. Entrambi ricordavano di aver detto a Monti quello che in tutta evidenza voleva sentirsi dire», ovvero di accettare.Che un tecnocrate ambizioso (la definizione è di Friedman) fosse elettrizzato all’idea di diventare presidente del Consiglio è ovvio: un privato cittadino, nemmeno parlamentare, che si veda offrire un posto da capo del governo e lo sottragga a una pensione seppur dorata, come dovrebbe sentirsi se non elettrizzato? Ed è ovvia anche la reazione di De Benedetti e Prodi i quali, da nemici dichiarati del Cavaliere, interpellati si rallegrarono all’idea che qualcuno gli soffiasse la poltrona. Ciò che non è né ovvio né normale è il ruolo di Napolitano, che mesi prima che Berlusconi fosse costretto alle dimissioni lavorava per la sua sostituzione, convincendo Gianfranco Fini che sarebbe toccato a lui sostituirlo e ingaggiando anche l’ad della principale banca del Paese, Corrado Passera, a cui affidò il compito di redigere il programma economico del nuovo governo, con una terapia shock su vasta scala per l’intera economia. Quale fosse la terapia gli italiani lo capirono mesi dopo quando, caduto il Cavaliere, Monti divenne premier, varando una stangata sui conti e le case degli italiani di oltre 30 miliardi di euro.Oggi, di fronte alla bara di Napolitano, tutti, a cominciare da Monti, negano di aver partecipato all’intrigo che, violando la Costituzione, affondò un governo democraticamente eletto e l’economia di un Paese. Ma Friedman, dopo aver ascoltato tutti, nel suo libro scrive. «Alla fine, Monti avrebbe ammesso gli incontri segreti. Avrebbe confermato di essere stato contattato da Napolitano nel giugno del 2011 e sondato per il governo. Confermò anche che sapeva tutto del Piano Passera e che durante l’anno aveva discusso con Napolitano la bozza del documento economico».Infine, oltre ai danni del 1992, quando si voltò dall’altra parte di fronte agli arresti, e a quelli del 2011, quando tramò contro Berlusconi, è impossibile dimenticare quando forzò la mano al Cavaliere per fargli dire sì al bombardamento di Tripoli, che portò alla fine di Gheddafi e alla destabilizzazione della Libia, eventi che paghiamo ancora oggi.Sì, ora che è morto tutti piangono l’ex presidente della Repubblica, il comunista sopravvissuto alla fine del comunismo, ma che dai comunisti aveva imparato a travestirsi per non finire.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)