2022-02-15
Tutte le assurdità della tagliola per over 50
Da oggi, gli ultracinquantenni dovranno esibire il certificato rafforzato se vogliono lavorare. Ma intanto spuntano bachi legislativi per chi è in smart working, soprattutto in tema di gestione delle malattie. Un groviglio che rischia di tradursi in una marea di cause.In vigore da stamattina il divieto di lavoro per gli italiani che hanno più di 50 anni e non sono vaccinati. Chi, senza avere il super green pass, proverà a varcare la soglia della propria azienda, dovrà essere segnalato dal titolare alle liste prefettizie. Riceverà una multa compresa tra i 600 e i 1.500 euro e fino al 15 giugno sarà sospeso. Senza busta paga, senza welfare e senza i contributi. Perderà dunque anche un pezzo di pensione. Il lavoratore senza vaccino che però ha avuto la «fortuna» di ammalarsi a Natale di Covid senza conseguenze potrà continuare a lavorare senza problemi. Già qui le antenne degli esperti della Costituzione dovrebbero rizzarsi. Come è possibile che un diritto come quello del lavoro dipenda dall’essersi imbattuti o meno in un virus? La risposta non spetta a noi. E quindi andiamo avanti con le altre follie del green pass. In questo momento i maggiori di 50 anni non vaccinati sono circa un milione e 500.000. Di questi più o meno un terzo sono lavoratori dipendenti. Sfugge il numero delle partite Iva no vax. A spanne il 35% di chi ha un contratto sta svolgendo l’attività da casa. Fa l’ormai famoso smart working. È facile immaginare che più di 150.000 persone non vaccinate continuino oggi a lavorare da casa. Nessun datore di lavoro è tenuto a chiedere lumi e a sapere se il proprio dipendente sia munito di super green pass, finché non mette piede in azienda. Eppure il decreto ministeriale di ottobre prevede che il telelavoro non sia una scusante per non fare l’iniezione obbligatoria. Così si apre un bel baco legislativo. Il dipendente si ammala. Il datore riceve la comunicazione e la inoltra all’Inps. La quale, incrociando i dati con l’Agenzia delle entrate, come previsto dal decreto Riaperture di ottobre scorso, sa benissimo che la persona in questione non avrebbe il diritto di lavorare. Lo sa anche perché dal primo febbraio è scattato l’obbligo generico di vaccinazione e chi, entro il 10 febbraio, non ha dimostrato con adeguata carta di essere esentato, si vedrà recapitare a casa la multa da 100 euro. A quel punto, in caso di malattia, che succede? Per il datore di lavoro la pratica è la solita: la malattia dopo tot giorni è a carico dello Stato. Ma per lo Stato quello specifico malato non dovrebbe ricevere un reddito né tanto meno godere dei contributi o della malattia retribuita. Che si fa? Si chiede al titolare di sospenderlo? Non è possibile, perché il decreto 122 dice espressamente che la sospensione scatta nel momento in cui si scansiona un green pass non valido. È chiaro che in caso di causa davanti al giudice vincerebbe il lavoratore sospeso nonostante gli articoli del decreto. Peccato che il testo successivo, firmato da Roberto Speranza, dica che nessuno può rifugiarsi nelle stanze della propria casa per evitare la sospensione. Insomma, il diritto è andato a ramengo. Basti pensare che una ditta che volesse assumere un over 50 senza super green pass avrebbe tutto il diritto di farlo. Solo che, al momento della firma del contratto in sede, dovrebbe subito sospenderlo. Paradossi che se non calpestassero la Carta sarebbero da commedia. Invece, il dramma è stato volutamente occultato dai media, dai sindacati e pure dall’associazione degli industriali. D’altronde già lo scorso anno, quando si è iniziato a introdurre l’uso del green pass al lavoro, un Paese civile avrebbe dovuto subito porre un interrogativo. Il lavoratore che viene sospeso perché senza carta verde, grazie al cielo, non può essere licenziato, ma resta in frigorifero fino a data da destinarsi. Nel frattempo come sostituirlo? Sarebbe servito un contratto simile alla sostituzione maternità. Inserire una figura con contratto a termine a coprire l’assenza. Con i no vax invece si è optato il modello lunare. Il dipendente resta a casa senza stipendio, ma di fatto non può essere sostituito. Non esistono i voucher, né contratti a giornata per una grande fetta delle attività d’impresa. L’errore è stato fatto all’epoca. Tutte le assurdità che seguono ne sono la conseguenza. La prima crepa è l’inizio della fine della diga. In futuro ricorderemo sia la posizione di Maurizio Landini sia quella di Carlo Bonomi. A loro qualcuno dovrà chiedere conto di come abbiano potuto accettare che venisse calpestata la Costituzione, la quale mette la salute e il lavoro allo stesso livello. Non si può fare carne da macello delle leggi dello Stato in nome di un’ipotetica strategia Covid zero. Lo si capiva prima, adesso è visibile anche a chi ha tenuto le fette di salame sugli occhi. E l’ha fatto per portare avanti un racconto consustanziale a una strategia: quella del green pass permanente. La violenza con cui si è voluta estendere la carta verde si spiega solo con la volontà di creare una rete di utilizzo più capillare possibile, per poi fingere di restituire libertà basilari, lasciando attiva l’infrastruttura del lasciapassare. Ne siamo convinti perché abbiamo letto i documenti dell’Unione europea che descrivono la strategia di trasformazione digitale dei singoli governi, fino alla creazione di identità digitali che sostituiscano la figura fisica del cittadino. Ne siamo ancor più convinti adesso che stiamo assistendo alla fase due dello storytelling. Ieri, Giuseppe Remuzzi, virostar dell’istituto Mario Negri, ha lanciato il messaggio. Oggi non si fa più niente senza Pin del telefono. Ecco, il green pass è solo un Pin che useremo tutti i giorni. Come dire, abituatevi, tanto male non fa. Attenzione. I virologi sono stati la leva e la clava della politica. Il loro ruolo non è finito con la fine della pandemia.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)