2020-04-11
Tullio Abbate, re della motonautica che fabbricava le Ferrari dell’acqua
Marc Deville, (Gamma-Rapho via Getty Images)
Il costruttore è morto a 75 anni: aveva reso un angolo del lago di Como famoso in tutto il mondo dei Vip. Ayrton Senna gli chiese un modello esclusivo, Herbert von Karajan disse che il rombo dei suoi bolidi era «celestiale».«Domani ti aspetto qui alla Magnolia, ciao Jacky». Chiudeva la paletta del paleozoico Motorola, lo lanciava sul tavolino del bar e accennava un sorriso prima di ordinare un gelato o un caffè: quello al telefono era Jacky Ickx. A Tullio Abbate piaceva essere circondato dai vecchi amici in questo angolo del lago di Como dove 70 anni fa suo padre Guido aveva inventato (con altri pionieri geniali e matti) la motonautica da corsa. La Magnolia di Azzano era il suo secondo ufficio, quello delle pubbliche relazioni. Da lì teneva d'occhio facilmente i quattro punti cardinali: il cantiere, i bolidi galleggianti, il riflesso delle onde con i temporali in arrivo dalla Bergamasca e la punta del Balbianello. Promontorio magico con la villa del Fai, location di Guerre Stellari e James Bond. Per lui, che non era minimamente interessato alle fiction, era una mezza boa. La circumnavigava in prova.Oggi il Tullio dorme il grande sonno e il lago è immobile. Lo ha portato via il coronavirus dopo due settimane al San Raffaele di Milano, e ha fatto una fatica immane perché l'Ammiraglio ha lottato come Horatio Nelson. Aveva 75 anni e qualche acciacco, conseguenza dell'età che sapeva coprire con la forza di un nome da antico gladiatore e una voce che lo precedeva fra le barche, nei vicoli del borgo, a prua e a poppa. Prima arrivava il tuono del diktat, poi arrivava lui, a piedi o sul motorino rosa. Quasi mai in Ferrari, che tirava fuori dal garage quando aveva voglia di sentir stridere il grip fra Colonno e Argegno, rigorosamente senza patente. «Ma i carabinieri mi conoscono». In mezzo secolo ha vinto tutto, ha collezionato record e ha perso da gigante. «Come quella volta a Key West con il vecchio Don Aronow, è scoppiato un motore, siamo tornati al minimo e ho preso il sole». Poi ha cominciato a costruire barche, un marchio di famiglia, con una filosofia molto semplice: belle e veloci. Fascino e grinta. Dovevano cantare. E a far cantare i Seastar, i Super, gli Elite, i Mito del Tullio ci hanno provato tutti. A caso: Diego Maradona, Bjorn Borg, Lothar Matthaeus, Michael Schumacher, Vialli&Mancini, Gilles Villeneuve che «non se ne andava senza avere spazzolato due piatti di polenta uncia alla Fagurida». E poi Madonna, Gianni Versace, Niki Lauda, Emerson Fittipaldi, Alain Prost. «Li ho tutti davanti, potremmo organizzare una Centomiglia del Lario da leggenda. Te lo dico per l'ultima volta: questo Clooney mi fa un baffo». Erano tutti lì seduti ai tavolini della Magnolia quando il Tullio raccontava meglio di Federico Buffa l'epopea della velocità. E poi le serate a Montecarlo con Stefano Casiraghi, l'amico che prima di una gara offshore non seguì i suoi consigli. «Ma non ne voglio parlare, lo porto nel cuore». In un angolo del cantiere c'è ancora il bolide, o quel che ne resta. Onda su onda, tutti uguali e uno solo speciale: «Ayrton. Silenzioso, gentile, malinconico, sembrava che avesse dentro il segno del destino. Capiva un attimo prima degli altri le curve di un circuito. E anche della vita». Tutti e poi Senna, circondato da un'aura di sacralità, che un giorno gli chiese di costruirgli un motoscafo unico al mondo. Oggi il Senna è ancora una Formula uno senza ruote. Negli ultimi tempi Tullio aveva un cruccio sintetizzabile con due parole: maledette batterie. Avrebbe voluto abbassare il primato mondiale con un motore elettrico, la barca era in costruzione ma le batterie erano ancora troppo pesanti. Aveva coinvolto gli ingegneri della Volkswagen, «ma non risolvono, non ci sono più neanche i tedeschi di una volta». Se n'è andato con la colonna sonora di Davide Van de Sfroos (Il costruttore di motoscafi) e sul pelo dell'acqua domina un silenzio irreale. Ha insegnato a un piccolo mondo antico a correre sull'acqua e non lo ha mai abbandonato. Aveva showroom o punti d'appoggio nelle marine di mezzo mondo ma le sue radici erano qui, i maestri d'ascia e gli addetti di fiducia nascevano qui. Vicino al cantiere c'è una chiesetta dove la domenica don Luigi Barindelli teneva la messa più veloce del mondo: 25 minuti. E a chi gli chiedeva come mai tanta fretta, rispondeva: «Dovrei essere io l'unico lento del posto?». Sono cresciuti veloci anche Tullio junior, Monica, Paola, Lucia, Cristina che avranno il compito di meritare l'eredità di un gigante.Anni Settanta, Saint Tropez, tramonto. Lui esce con un offshore in prova, per la prima volta monta un motore Ferrari marinizzato, senza permesso del Drake al quale aveva chiesto l'autorizzazione invano. Durante la sgasata in rada taglia la strada a uno stupendo yacht a vela («un po' da cafone, non mi ero accorto»). I marinai gli fanno i pugni mentre sulla tolda un signore con il doppiopetto blu, il foulard di seta al collo e i capelli candidi lo osserva in silenzio. Qualche settimana dopo, Abbate riceve una telefonata da Maranello: Enzo Ferrari lo invita a pranzo. «Speravo che mi vendesse i motori. Quando mi ha chiesto se ero io quello che tagliava l'acqua a Saint Tropez, mi sono sentito morire ma ho confessato». Allora il Drake toglie di tasca una lettera e comincia a leggere: «Caro Enzo, nel silenzio del mare al tramonto non avevo mai udito un suono celestiale come quello del tuo motore». Era Herbert Von Karajan. Tullio avrebbe avuto i motori. Adesso sta progettando un bolide lassù, con Ayrton e il Maestro.
Nicola Pietrangeli (Getty Images)
Gianni Tessari, presidente del consorzio uva Durella
Lo scorso 25 novembre è stata presentata alla Fao la campagna promossa da Focsiv e Centro sportivo italiano: un percorso di 18 mesi con eventi e iniziative per sostenere 58 progetti attivi in 26 Paesi. Testimonianze dal Perù, dalla Tanzania e da Haiti e l’invito a trasformare gesti sportivi in aiuti concreti alle comunità più vulnerabili.
In un momento storico in cui la fame torna a crescere in diverse aree del pianeta e le crisi internazionali rendono sempre più fragile l’accesso al cibo, una parte del mondo dello sport prova a mettere in gioco le proprie energie per sostenere le comunità più vulnerabili. È l’obiettivo della campagna Sport contro la fame, che punta a trasformare gesti atletici, eventi e iniziative locali in un supporto concreto per chi vive in condizioni di insicurezza alimentare.
La nuova iniziativa è stata presentata martedì 25 novembre alla Fao, a Roma, nella cornice del Sheikh Zayed Centre. Qui Focsiv e Centro sportivo italiano hanno annunciato un percorso di 18 mesi che attraverserà l’Italia con eventi sportivi e ricreativi dedicati alla raccolta fondi per 58 progetti attivi in 26 Paesi.
L’apertura della giornata è stata affidata a mons. Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede presso Fao, Ifad e Wfp, che ha richiamato il carattere universale dello sport, «linguaggio capace di superare barriere linguistiche, culturali e geopolitiche e di riunire popoli e tradizioni attorno a valori condivisi». Subito dopo è intervenuto Maurizio Martina, vicedirettore generale della Fao, che ha ricordato come il raggiungimento dell’obiettivo fame zero al 2030 sia sempre più lontano. «Se le istituzioni faticano, è la società a doversi organizzare», ha affermato, indicando iniziative come questa come uno dei modi per colmare un vuoto di cooperazione.
A seguire, la presidente Focsiv Ivana Borsotto ha spiegato lo spirito dell’iniziativa: «Vogliamo giocare questa partita contro la fame, non assistervi. Lo sport nutre la speranza e ciascuno può fare la differenza». Il presidente del Csi, Vittorio Bosio, ha invece insistito sulla responsabilità educativa del mondo sportivo: «Lo sport costruisce ponti. In questa campagna, l’altro è un fratello da sostenere. Non possiamo accettare che un bambino non abbia il diritto fondamentale al cibo».
La campagna punta a raggiungere circa 150.000 persone in Asia, Africa, America Latina e Medio Oriente. Durante la presentazione, tre soci Focsiv hanno portato testimonianze dirette dei progetti sul campo: Chiara Concetta Starita (Auci) ha descritto l’attività delle ollas comunes nella periferia di Lima, dove la Olla común 8 de octubre fornisce pasti quotidiani a bambini e anziani; Ornella Menculini (Ibo Italia) ha raccontato l’esperienza degli orti comunitari realizzati nelle scuole tanzaniane; mentre Maria Emilia Marra (La Salle Foundation) ha illustrato il ruolo dei centri educativi di Haiti, che per molti giovani rappresentano al tempo stesso luogo di apprendimento, rifugio e punto sicuro per ricevere un pasto.
Sul coinvolgimento degli atleti è intervenuto Michele Marchetti, responsabile della segreteria nazionale del Csi, che ha spiegato come gol, canestri e chilometri percorsi nelle gare potranno diventare contributi diretti ai progetti sostenuti. L’identità visiva della campagna accompagnerà questo messaggio attraverso simboli e attrezzi di diverse discipline, come illustrato da Ugo Esposito, Ceo dello studio di comunicazione Kapusons.
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Mark Zuckerberg (Getty Images)