2025-07-11
Trump riporta gli Stati Uniti in Africa: bilaterali con cinque leader e sfida a Cina e Russia
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Nella sua seconda presidenza, Trump rilancia la presenza Usa in Africa. Incontri alla Casa Bianca con cinque capi di Stato dell’Africa occidentale, accordi su investimenti e sicurezza per contrastare l’influenza di Pechino e Mosca.Senza troppi proclami, ma con un piano geopolitico ben definito l’amministrazione Trump sta riposizionando Washington nel continente africano. Il presidente statunitense, in un’intensa due giorni, ha riunito cinque leader africani per una serie di bilaterali alla Casa Bianca.I presidenti Bassirou Diomaye Faye del Senegal, Mohamed Ould Cheikh El-Ghazouani della Mauritania, Brice Clotaire Oligui Nguema del Gabon, Joseph Boakai della Liberia e Umaro Sissoco Embaló della Guinea-Bissau sono sbarcati negli Stati Uniti per firmare una serie di accordi politici ed economici. Dopo aver ottenuto il cessate il fuoco tra Repubblica Democratica del Congo e Ruanda, l’Africa torna ancora una volta protagonista nella capitale statunitense. Si tratta di un cambiamento radicale rispetto alla prima amministrazione Trump, durante la quale il presidente americano non aveva mai visitato il continente africano e aveva ospitato pochissimi leader di quei Paesi.Questo vertice., minuziosamente preparato dallo staff del tycoon, verteva sul rafforzamento dei legami economici e sulla promozione della sicurezza e della pace, in una serie di paesi tutti concentrati nell’Africa occidentale. Donald Trump ha parlato di investimenti e cooperazione, ma anche di ricerca della stabilità vista come un prerequisito fondamentale per lavorare con gli Usa. Il presidente statunitense, ha anche parlato di ingerenze esterne che cercano di destabilizzare i fragili stati africani e ha ribadito che gli Stati Uniti lavorano invece per una crescita e una metodica di soddisfazione reciproca. Il presidente gabonese Brice Clotaire Oligui Nguema, ormai ex generale golpista, ha cavalcato la linea politica americana chiedendo un aiuto militare per combattere la pirateria nel Golfo di Guinea e soprattutto sottolineando che se questo aiuto non fosse arrivato da Washington, ci sarebbero stati altri pronti ad aiutare il Gabon. Particolarmente vivace l’incontro con il presidente senegalese. Bassirou Diomaye Faye, sicuramente il rappresentante più importante dell’area e il meno allineato alle richieste occidentali. Diomaye Faye non ha perso tempo in chiacchiere e ha presentato una serie di progetti concreti di investimenti digitali e tecnologici a Dakar, rilanciando il turismo nel suo paese e invitando Donald Trump da andare a giocare a golf in Senegal per mostrargli l’alta qualità dell’accoglienza. Il presidente statunitense ha sottolineato più volte l’importanza del rapporto tra Washington e le nazioni africane, spiegando ai cinque ospiti che il taglio dei fondi dell’Usaid era necessario perché venivano sprecati o sottratti illegalmente.Trump ha però promesso sostegno economico e investimenti, soprattutto a livello energetico ed infrastrutturale, propri i due settori nei quali Pechino sta lavorando da vent’anni. Gli Stati Uniti hanno già ottenuto una grande vittoria contro la Cina con il trattato di pace fra Repubblica Democratica del Congo e Ruanda, aprendo le porte alle aziende statunitensi nella corsa ai minerali fondamentali per la transizione energetica della Rdc. Kinshasa ha stracciato un accordo ventennale con Pechino per arrivare ad una pace mediata dagli Usa e adesso il dragone rischia di vedere minacciati i suoi interessi anche in Africa occidentale. In Senegal la Cina ha costruito uno stadio., ammodernato l’aeroporto internazionale e aperto tre ospedali, ma adesso tutto viene messo in discussione dalla mossa trumpiana. Tranne la Liberia, che per la sua storia vanta una lunga tradizione di rapporti molto stretti con gli Stati Uniti, gli altri quattro Paesi erano sotto il controllo economico della Francia che ha visto azzerare la sua influenza in quella che una volta si chiamava Francafrique. Il crollo di Parigi ha coinciso con il successo di Pechino e Mosca e le amministrazioni americane precedenti hanno sottovalutato il peso di quelli che una volta si chiamavano Emerging Powers. La nuova amministrazione di Donald Trump ha invece cambiato marcia e vuole riprendere il controllo del continente africano, sottraendo il suo enorme potenziale energetico, commerciale e geopolitico alla Cina e alla Russia ed il suo piano sembra sempre più prendere forma.
Nicola Pietrangeli (Getty Images)
Gianni Tessari, presidente del consorzio uva Durella
Lo scorso 25 novembre è stata presentata alla Fao la campagna promossa da Focsiv e Centro sportivo italiano: un percorso di 18 mesi con eventi e iniziative per sostenere 58 progetti attivi in 26 Paesi. Testimonianze dal Perù, dalla Tanzania e da Haiti e l’invito a trasformare gesti sportivi in aiuti concreti alle comunità più vulnerabili.
In un momento storico in cui la fame torna a crescere in diverse aree del pianeta e le crisi internazionali rendono sempre più fragile l’accesso al cibo, una parte del mondo dello sport prova a mettere in gioco le proprie energie per sostenere le comunità più vulnerabili. È l’obiettivo della campagna Sport contro la fame, che punta a trasformare gesti atletici, eventi e iniziative locali in un supporto concreto per chi vive in condizioni di insicurezza alimentare.
La nuova iniziativa è stata presentata martedì 25 novembre alla Fao, a Roma, nella cornice del Sheikh Zayed Centre. Qui Focsiv e Centro sportivo italiano hanno annunciato un percorso di 18 mesi che attraverserà l’Italia con eventi sportivi e ricreativi dedicati alla raccolta fondi per 58 progetti attivi in 26 Paesi.
L’apertura della giornata è stata affidata a mons. Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede presso Fao, Ifad e Wfp, che ha richiamato il carattere universale dello sport, «linguaggio capace di superare barriere linguistiche, culturali e geopolitiche e di riunire popoli e tradizioni attorno a valori condivisi». Subito dopo è intervenuto Maurizio Martina, vicedirettore generale della Fao, che ha ricordato come il raggiungimento dell’obiettivo fame zero al 2030 sia sempre più lontano. «Se le istituzioni faticano, è la società a doversi organizzare», ha affermato, indicando iniziative come questa come uno dei modi per colmare un vuoto di cooperazione.
A seguire, la presidente Focsiv Ivana Borsotto ha spiegato lo spirito dell’iniziativa: «Vogliamo giocare questa partita contro la fame, non assistervi. Lo sport nutre la speranza e ciascuno può fare la differenza». Il presidente del Csi, Vittorio Bosio, ha invece insistito sulla responsabilità educativa del mondo sportivo: «Lo sport costruisce ponti. In questa campagna, l’altro è un fratello da sostenere. Non possiamo accettare che un bambino non abbia il diritto fondamentale al cibo».
La campagna punta a raggiungere circa 150.000 persone in Asia, Africa, America Latina e Medio Oriente. Durante la presentazione, tre soci Focsiv hanno portato testimonianze dirette dei progetti sul campo: Chiara Concetta Starita (Auci) ha descritto l’attività delle ollas comunes nella periferia di Lima, dove la Olla común 8 de octubre fornisce pasti quotidiani a bambini e anziani; Ornella Menculini (Ibo Italia) ha raccontato l’esperienza degli orti comunitari realizzati nelle scuole tanzaniane; mentre Maria Emilia Marra (La Salle Foundation) ha illustrato il ruolo dei centri educativi di Haiti, che per molti giovani rappresentano al tempo stesso luogo di apprendimento, rifugio e punto sicuro per ricevere un pasto.
Sul coinvolgimento degli atleti è intervenuto Michele Marchetti, responsabile della segreteria nazionale del Csi, che ha spiegato come gol, canestri e chilometri percorsi nelle gare potranno diventare contributi diretti ai progetti sostenuti. L’identità visiva della campagna accompagnerà questo messaggio attraverso simboli e attrezzi di diverse discipline, come illustrato da Ugo Esposito, Ceo dello studio di comunicazione Kapusons.
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Mark Zuckerberg (Getty Images)