2025-03-19
Trump-Putin, telefonata di tre ore: 30 giorni senza raid sulle centrali
Vladimir Putin e Donald Trump in una foto d'archivio (Getty Images)
Dialogo positivo tra i leader che attuano il «cessate il fuoco energetico e infrastrutturale». Gli Usa spingono il Cremlino a staccarsi da Pechino. Mosca: «Il mondo è più sicuro». Medio Oriente, intesa sul ruolo dell’Iran.Sono segnali fondamentalmente positivi quelli emersi dalla telefonata di ieri tra Donald Trump e Vladimir Putin. «Entrambi i leader hanno convenuto che questo conflitto deve concludersi con una pace duratura», si legge nel comunicato emesso dalla Casa Bianca alla fine del colloquio, durato - secondo The Hill - quasi tre ore. «I leader», si legge, «hanno concordato che il movimento per la pace inizierà con un cessate il fuoco energetico e infrastrutturale, nonché con negoziati tecnici sull’attuazione di un cessate il fuoco marittimo nel Mar Nero, un cessate il fuoco completo e una pace permanente». Stando alla nota americana, tali «negoziati inizieranno immediatamente in Medio Oriente». I presidenti hanno inoltre aperto alla possibilità di migliorare le relazioni tra Washington e Mosca sulla base di «enormi accordi economici e della stabilità geopolitica». Infine, ma non meno importante, i due hanno anche discusso «ampiamente» di Medio Oriente, con particolare riferimento al regime khomeinista. «I due leader hanno condiviso l'opinione che l’Iran non dovrebbe mai essere in grado di distruggere Israele», recita la nota statunitense.Dal canto suo, il Cremlino ha fatto sapere che Mosca ha confermato di aver accettato un cessate il fuoco di 30 giorni per quanto riguarda le infrastrutture energetiche. La Russia ha inoltre acconsentito a uno scambio di prigionieri con l’Ucraina da tenersi oggi, rendendo poi noto di essere pronta a liberare 23 soldati ucraini gravemente feriti. Al contempo, ha però auspicato «la cessazione completa degli aiuti militari stranieri e la fornitura di informazioni di intelligence a Kiev». Putin è poi tornato a chiedere di «eliminare le cause profonde della crisi», aprendo anche a una forma di diplomazia sportiva che prevedrebbe partite di hockey tra americani e russi. Mentre era ancora in corso, il vice capo dello staff della Casa Bianca, Dan Scavino, aveva reso noto che la telefonata «stava andando bene». Al termine, una non meglio precisata fonte russa ha detto alla Cnn che il confronto era andato «molto bene». Trump stesso ha definito la telefonata «molto buona e produttiva». Segno quindi che si è registrata soddisfazione da entrambe le parti.Sotto alcuni aspetti, è possibile dire che il colloquio di ieri si è concluso con un compromesso a metà strada tra Washington e Mosca. Contrariamente ai desiderata di americani e ucraini, Putin non ha accettato una tregua completa di 30 giorni. Tuttavia ha acconsentito a un cessate il fuoco per quanto concerne le infrastrutture energetiche, aprendo inoltre a negoziati immediati per cercare di estenderlo ulteriormente. Al momento, lo zar è restio a una tregua completa, perché punta ad approfittare del suo vantaggio sul campo di battaglia, soprattutto nel Kursk e nel Donbass. Tuttavia, il Cremlino ha accettato sia un cessate il fuoco parziale sia l’avvio di negoziati immediati: questo vuol dire che Mosca non ha sbattuto la porta in faccia alla Casa Bianca. D’altronde, le ragioni per cui il presidente russo non poteva permettersi una chiusura netta emergono tra le righe del comunicato americano di ieri.Innanzitutto, nella loro telefonata, Trump e Putin hanno discusso anche di questioni mediorientali. Come scriviamo da giorni su queste colonne, il Medio Oriente è infatti un dossier inestricabilmente intrecciato alla crisi ucraina. Il presidente americano sa che lo zar ha perso significativamente terreno nella regione sia a causa della caduta di Bashar Al Assad, sia a causa dell’indebolimento dell’Iran. In tal senso, Trump punta a uno scambio: se Mosca accetta di ammorbidire sensibilmente la sua posizione sul dossier ucraino, la Casa Bianca è pronta ad aiutare il Cremlino a recuperare influenza in Siria in funzione antiturca e, in secondo luogo, ad attribuirgli il ruolo di mediatore centrale nella rinegoziazione dell’accordo sul nucleare tra Washington e Teheran. Una strategia, quella del presidente americano, ben vista anche da israeliani e sauditi, che puntano non solo a contenere l’incremento del potere turco in Siria ma anche a impedire che il regime khomeinista si doti dell’arma atomica. Il riferimento a Israele nel colloquio di ieri è altamente significativo. Lo Stato ebraico teme la crescente influenza di Ankara su Damasco. Non a caso, alcuni giorni fa, Reuters ha riportato che Gerusalemme starebbe chiedendo a Washington di aiutare i russi a recuperare terreno in Siria. Ricordiamo sempre che, giovedì scorso, Trump non ha mandato a parlare con Putin il suo inviato per l’Ucraina, Keith Kellogg, ma quello per il Medio Oriente, Steve Witkoff.E non è tutto. Trump è anche consapevole di un’altra cosa. E cioè del fatto che Putin teme l’abbraccio sempre più soffocante con Xi Jinping. In tal senso, l’inquilino della Casa Bianca sta tendendo la mano allo zar, per separarlo il più possibile da Pechino. Da questo punto di vista, le ultime righe del comunicato americano di ieri sono illuminanti. «I due leader», si legge «hanno concordato che un futuro con un miglioramento delle relazioni bilaterali tra Stati Uniti e Russia ha grandissimi vantaggi. Ciò include enormi accordi economici e stabilità geopolitica una volta raggiunta la pace». In altre parole, Trump sta offrendo a Putin di dipendere meno dalla Cina. Ma, in cambio, gli chiede un ammorbidimento della posizione sull’Ucraina. La strategia della Casa Bianca è chiara: spingere lo zar a rinunciare ad alcuni vantaggi negoziali derivatigli dalla situazione sul campo di battaglia per garantirgli una sponda su alcuni dossier geopolitici significativi (dalla Cina alla Siria passando per l’Iran). È su questi binari che Trump imposterà i prossimi negoziati. Non sappiamo se avrà successo. Ma almeno è riuscito a rompere l’impasse diplomatica ereditata dal predecessore.
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Piergiorgio Odifreddi (Getty Images)