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2025-04-22
Trump ottimista su un’intesa Russia-Ucraina in settimana, Kiev può dimenticarsi la Nato
Vladimir Putin (Ansa)
Dopo una Pasqua segnata da un fragile cessate il fuoco durato appena 30 ore, in Ucraina si è tornati a combattere. Lo scambio di accuse tra Mosca e Kiev sui responsabili delle violazioni è solo il riflesso diplomatico di una tregua mai davvero osservata. Secondo le autorità ucraine, la Russia ha infranto la propria promessa di sospendere le ostilità con oltre 2.900 violazioni, con attacchi che hanno coinvolto infrastrutture civili, raid aerei e l’impiego massiccio di droni. Dall’altro lato, il ministero della Difesa russo ribatte che è stata Kiev a violare l’intesa per ben 4.900 volte, sostenendo di aver subito attacchi su obiettivi militari e civili durante tutto l’arco del cessate il fuoco. La ripresa dei bombardamenti russi ha riguardato principalmente il fronte orientale con lanci di droni kamikaze, missili Onyx e Kh-31P sulle aree di Kharkiv, Mykolaiv e Sumy, dove gli attacchi non si sono mai fermati del tutto e secondo il comandante ucraino Oleksandr Syrskyi, Mosca avrebbe tentato - senza riuscirci - di sfondare. Nella notte tra domenica e lunedì, la Russia ha lanciato 96 droni e tre missili, alcuni diretti verso Kiev. A Kherson è stato colpito un obiettivo costiero, a Zaporizhzhia si sono sentite forti esplosioni. L’Ucraina ha rivendicato un attacco a una base russa per droni nella regione di Kursk, uccidendo almeno venti operatori. Una sequenza di attacchi che ha segnato la ripresa delle ostilità tra le parti e ha riportato il conflitto in prima linea.
Tuttavia, mentre cresce la tensione sul piano militare, su quello diplomatico si apre una settimana decisiva per il possibile cessate il fuoco. Donald Trump ha parlato di «buone chance di un accordo tra Russia e Ucraina in settimana». Da domani, invece, dopo che il vertice dei volenterosi a Parigi si è chiuso con un nulla di fatto, l’iniziativa diplomatica torna nelle mani del fronte anglosassone. A Londra si riaprirà il tavolo dei negoziati: nell’agenda del vertice a cui parteciperanno rappresentanti di Kiev, Washington, Parigi e Londra stessa, si discuterà della possibilità di raggiungere in tempi brevi un cessate il fuoco immediato e duraturo. Anche la Cina ha fatto sapere di considerare «positivi» gli sforzi in corso per un cessate il fuoco. «Siamo pronti a procedere nel modo più costruttivo possibile», ha scritto Volodymyr Zelensky su X. «Al cessate il fuoco si risponde con un cessate il fuoco, agli attacchi con la difesa». La linea ucraina non cambia, ma il clima sì: gli Stati Uniti, oltre ad aver lasciato intendere che un’intesa è vicina, hanno avuto colloqui riservati in cui, secondo quanto riportato dal Wall Street Journal, avrebbero proposto a Kiev un pacchetto articolato che include lo stop all’ingresso nella Nato e l’accettazione dell’annessione russa della Crimea. Ipotesi che per ora restano politicamente impraticabili per Zelensky, ma che confermano quanto il pressing americano stia aumentando.
«L’Ucraina non discute la questione dell’integrità territoriale con i suoi partner nei negoziati per la fine della guerra. Questo è contrario alla Costituzione» ha affermato il consigliere del capo dell’Ufficio presidenziale, Serhiy Leshchenko, «Tutti i negoziatori che partecipano alle riunioni in Arabia Saudita o in Francia dicono chiaramente che la questione dell’integrità territoriale dell’Ucraina non viene discussa affatto». Il Cremlino ha fatto sapere di aver ricevuto «segnali positivi» da parte americana proprio su questo fronte.
«Una adesione dell’Ucraina alla Nato resta una minaccia diretta alla Federazione russa», ha ribadito il portavoce Dmitry Peskov, «Washington ci ha assicurato a vari livelli che l’adesione dell’Ucraina alla Nato è fuori questione. Questo ci soddisfa e coincide con la nostra posizione». Vladimir Putin, dopo aver detto durante un incontro con i capi delle municipalità a Mosca che «nessuno dubita della vittoria russa», ha fatto sapere che valuterà la proposta di una tregua di 30 giorni per evitare attacchi a obiettivi civili. «Bisogna trovare un modo per impedire che vengano colpiti i civili», ha dichiarato. Poi ha aggiunto che «Kiev continua a usare le infrastrutture civili per scopi militari». Dichiarazioni ambigue, come il comunicato russo che ha rivendicato l’attacco di sabato a Sumy che ha causato 35 vittime civili, sostenendo che si stesse celebrando «una cerimonia per militari ucraini coinvolti nei crimini nella regione di Kursk», definendo quindi l’attacco «una meritata punizione».
Nel frattempo il capo del Cremlino, stando a quanto scritto ieri dall’agenzia Tass, ha firmato la legge sulla ratifica dell’accordo sul partenariato strategico globale con l’Iran che era stato siglato lo scorso gennaio in occasione della visita del presidente iraniano Masoud Pezeshkian a Mosca. L’accordo va a definire il quadro giuridico per l’ulteriore sviluppo della cooperazione tra i due Paesi in una prospettiva a lungo termine in settori strategici che riguardano la difesa, la lotta al terrorismo, l’energia, la finanza, i trasporti, l’industria, l’agricoltura, la scienza, la cultura e le tecnologie.
Un’altra chat mette nei guai Hegseth
«Secondo alcune persone a conoscenza dei fatti, il segretario alla Difesa degli Stati Uniti, Pete Hegseth avrebbe inviato informazioni sensibili sugli attacchi in Yemen in una chat crittografata che includeva la moglie e il fratello». A dare la notizia è il New York Times.
Hegseth ha condiviso informazioni dettagliate su imminenti attacchi rivolti contro obiettivi Huthi il 15 marzo in una chat privata sull’app di messaggistica crittografata Signal, che includeva sua moglie, ex produttrice di Fox News, Jennifer Cunningham Hegseth, suo fratello, Phil Hegseth, il suo avvocato personale, Tim Parlatore e una decina di persone della sua cerchia personale e professionale. Fatti che il presidente americano Donald Trump ha bollato come «fake news» messe in giro da «impiegati insoddisfatti». «Hegseth sta facendo un grande lavoro. Chiedete agli Huthi», ha dichiarato ieri.
Eppure, alcuni tra i soggetti a conoscenza di questa chat hanno riferito, secondo il quotidiano newyorkese, che le informazioni condivise da Hegseth nella chat comprendevano gli orari di volo dei caccia destinati a colpire gli Huthi in Yemen. «In pratica», scrivono i giornalisti Greg Jaffe, Eric Schmitt e Maggie Haberman, «gli stessi piani d’attacco che aveva condiviso, sempre quel giorno, in un’altra chat su Signal nella quale era stato erroneamente incluso il caporedattore dell’Atlantic, Jeffrey Goldberg».
La moglie di Hegseth, Jennifer, non è una dipendente del Pentagono, sede del dipartimento della Difesa, ma ha viaggiato con lui all’estero e non sono mancate le critiche nei suoi confronti per aver preso parte a incontri riservati con leader stranieri.
Il fratello, Phil, e Tim Parlatore, invece, lavorano entrambi al Pentagono, ma, secondo il giornale, «non è ancora chiaro perché i due avrebbero avuto bisogno di conoscere i dettagli di imminenti attacchi militari contro gli Huthi in Yemen».
«L’esistenza di una seconda chat su Signal in cui Hegseth ha condiviso informazioni militari altamente riservate e che finora non era stata riportata rappresenta l’ultimo sviluppo di una serie di eventi che stanno mettendo sotto esame la sua gestione della Difesa e il suo giudizio». E, stando all’analisi del Times, «a differenza della chat in cui fu erroneamente incluso l’Atlantic, quella appena rivelata era stata creata da Hegseth stesso. Includeva sua moglie e gente a lui professionalmente legata ed era stata avviata a gennaio, prima della sua conferma come segretario alla Difesa». Pare, inoltre, che il capo del Pentagono accedesse alla chat tramite il suo telefono personale, non quello governativo.
Invece, la chat rivelata dall’Atlantic a marzo era stata creata dal consigliere per la Sicurezza nazionale del presidente Donald Trump, Mike Waltz, per consentire il coordinamento tra i principali funzionari della Sicurezza nazionale dell’esecutivo, come il vicepresidente J.D. Vance, il direttore dell’intelligence nazionale, Tulsi Gabbard, e Hegseth stesso, in vista degli attacchi statunitensi.
La prima volta Waltz si era assunto la responsabilità di aver incluso per errore nella chat il reporter dell’Atlantic, Goldberg. L’aveva chiamata «Huthi Pc small group» per riflettere la presenza di membri delle alte sfere dell’amministrazione, che si riunisce per discutere le questioni di sicurezza nazionale più delicate.
Il mantenimento nella chat della moglie, del fratello e dell’avvocato di Hegseth, «nessuno dei quali sembra avere motivo per essere informato su dettagli operativi di un’azione militare in corso», commenta il giornale, «solleva interrogativi sul rispetto dei protocolli di sicurezza da parte di Hegseth».
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Volodymyr Zelensky alle strette: gli Usa premono per la concessione della Crimea e garantiscono a Mosca l’esclusione degli invasi dal Patto atlantico. Vladimir Putin fa ripartire i bombardamenti.Intanto, dopo i dossier riservati finiti in mano all’«Atlantic», il capo del Pentagono, Pete Hegseth, avrebbe mandato a moglie e fratello i piani di attacco in Yemen. Il tycoon lo difende: «Fake news».Lo speciale contiene due articoli Dopo una Pasqua segnata da un fragile cessate il fuoco durato appena 30 ore, in Ucraina si è tornati a combattere. Lo scambio di accuse tra Mosca e Kiev sui responsabili delle violazioni è solo il riflesso diplomatico di una tregua mai davvero osservata. Secondo le autorità ucraine, la Russia ha infranto la propria promessa di sospendere le ostilità con oltre 2.900 violazioni, con attacchi che hanno coinvolto infrastrutture civili, raid aerei e l’impiego massiccio di droni. Dall’altro lato, il ministero della Difesa russo ribatte che è stata Kiev a violare l’intesa per ben 4.900 volte, sostenendo di aver subito attacchi su obiettivi militari e civili durante tutto l’arco del cessate il fuoco. La ripresa dei bombardamenti russi ha riguardato principalmente il fronte orientale con lanci di droni kamikaze, missili Onyx e Kh-31P sulle aree di Kharkiv, Mykolaiv e Sumy, dove gli attacchi non si sono mai fermati del tutto e secondo il comandante ucraino Oleksandr Syrskyi, Mosca avrebbe tentato - senza riuscirci - di sfondare. Nella notte tra domenica e lunedì, la Russia ha lanciato 96 droni e tre missili, alcuni diretti verso Kiev. A Kherson è stato colpito un obiettivo costiero, a Zaporizhzhia si sono sentite forti esplosioni. L’Ucraina ha rivendicato un attacco a una base russa per droni nella regione di Kursk, uccidendo almeno venti operatori. Una sequenza di attacchi che ha segnato la ripresa delle ostilità tra le parti e ha riportato il conflitto in prima linea.Tuttavia, mentre cresce la tensione sul piano militare, su quello diplomatico si apre una settimana decisiva per il possibile cessate il fuoco. Donald Trump ha parlato di «buone chance di un accordo tra Russia e Ucraina in settimana». Da domani, invece, dopo che il vertice dei volenterosi a Parigi si è chiuso con un nulla di fatto, l’iniziativa diplomatica torna nelle mani del fronte anglosassone. A Londra si riaprirà il tavolo dei negoziati: nell’agenda del vertice a cui parteciperanno rappresentanti di Kiev, Washington, Parigi e Londra stessa, si discuterà della possibilità di raggiungere in tempi brevi un cessate il fuoco immediato e duraturo. Anche la Cina ha fatto sapere di considerare «positivi» gli sforzi in corso per un cessate il fuoco. «Siamo pronti a procedere nel modo più costruttivo possibile», ha scritto Volodymyr Zelensky su X. «Al cessate il fuoco si risponde con un cessate il fuoco, agli attacchi con la difesa». La linea ucraina non cambia, ma il clima sì: gli Stati Uniti, oltre ad aver lasciato intendere che un’intesa è vicina, hanno avuto colloqui riservati in cui, secondo quanto riportato dal Wall Street Journal, avrebbero proposto a Kiev un pacchetto articolato che include lo stop all’ingresso nella Nato e l’accettazione dell’annessione russa della Crimea. Ipotesi che per ora restano politicamente impraticabili per Zelensky, ma che confermano quanto il pressing americano stia aumentando. «L’Ucraina non discute la questione dell’integrità territoriale con i suoi partner nei negoziati per la fine della guerra. Questo è contrario alla Costituzione» ha affermato il consigliere del capo dell’Ufficio presidenziale, Serhiy Leshchenko, «Tutti i negoziatori che partecipano alle riunioni in Arabia Saudita o in Francia dicono chiaramente che la questione dell’integrità territoriale dell’Ucraina non viene discussa affatto». Il Cremlino ha fatto sapere di aver ricevuto «segnali positivi» da parte americana proprio su questo fronte. «Una adesione dell’Ucraina alla Nato resta una minaccia diretta alla Federazione russa», ha ribadito il portavoce Dmitry Peskov, «Washington ci ha assicurato a vari livelli che l’adesione dell’Ucraina alla Nato è fuori questione. Questo ci soddisfa e coincide con la nostra posizione». Vladimir Putin, dopo aver detto durante un incontro con i capi delle municipalità a Mosca che «nessuno dubita della vittoria russa», ha fatto sapere che valuterà la proposta di una tregua di 30 giorni per evitare attacchi a obiettivi civili. «Bisogna trovare un modo per impedire che vengano colpiti i civili», ha dichiarato. Poi ha aggiunto che «Kiev continua a usare le infrastrutture civili per scopi militari». Dichiarazioni ambigue, come il comunicato russo che ha rivendicato l’attacco di sabato a Sumy che ha causato 35 vittime civili, sostenendo che si stesse celebrando «una cerimonia per militari ucraini coinvolti nei crimini nella regione di Kursk», definendo quindi l’attacco «una meritata punizione».Nel frattempo il capo del Cremlino, stando a quanto scritto ieri dall’agenzia Tass, ha firmato la legge sulla ratifica dell’accordo sul partenariato strategico globale con l’Iran che era stato siglato lo scorso gennaio in occasione della visita del presidente iraniano Masoud Pezeshkian a Mosca. L’accordo va a definire il quadro giuridico per l’ulteriore sviluppo della cooperazione tra i due Paesi in una prospettiva a lungo termine in settori strategici che riguardano la difesa, la lotta al terrorismo, l’energia, la finanza, i trasporti, l’industria, l’agricoltura, la scienza, la cultura e le tecnologie.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/trump-putin-intesa-guerra-ucraina-2671816461.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="unaltra-chat-mette-nei-guai-hegseth" data-post-id="2671816461" data-published-at="1745269013" data-use-pagination="False"> Un’altra chat mette nei guai Hegseth «Secondo alcune persone a conoscenza dei fatti, il segretario alla Difesa degli Stati Uniti, Pete Hegseth avrebbe inviato informazioni sensibili sugli attacchi in Yemen in una chat crittografata che includeva la moglie e il fratello». A dare la notizia è il New York Times. Hegseth ha condiviso informazioni dettagliate su imminenti attacchi rivolti contro obiettivi Huthi il 15 marzo in una chat privata sull’app di messaggistica crittografata Signal, che includeva sua moglie, ex produttrice di Fox News, Jennifer Cunningham Hegseth, suo fratello, Phil Hegseth, il suo avvocato personale, Tim Parlatore e una decina di persone della sua cerchia personale e professionale. Fatti che il presidente americano Donald Trump ha bollato come «fake news» messe in giro da «impiegati insoddisfatti». «Hegseth sta facendo un grande lavoro. Chiedete agli Huthi», ha dichiarato ieri. Eppure, alcuni tra i soggetti a conoscenza di questa chat hanno riferito, secondo il quotidiano newyorkese, che le informazioni condivise da Hegseth nella chat comprendevano gli orari di volo dei caccia destinati a colpire gli Huthi in Yemen. «In pratica», scrivono i giornalisti Greg Jaffe, Eric Schmitt e Maggie Haberman, «gli stessi piani d’attacco che aveva condiviso, sempre quel giorno, in un’altra chat su Signal nella quale era stato erroneamente incluso il caporedattore dell’Atlantic, Jeffrey Goldberg». La moglie di Hegseth, Jennifer, non è una dipendente del Pentagono, sede del dipartimento della Difesa, ma ha viaggiato con lui all’estero e non sono mancate le critiche nei suoi confronti per aver preso parte a incontri riservati con leader stranieri. Il fratello, Phil, e Tim Parlatore, invece, lavorano entrambi al Pentagono, ma, secondo il giornale, «non è ancora chiaro perché i due avrebbero avuto bisogno di conoscere i dettagli di imminenti attacchi militari contro gli Huthi in Yemen». «L’esistenza di una seconda chat su Signal in cui Hegseth ha condiviso informazioni militari altamente riservate e che finora non era stata riportata rappresenta l’ultimo sviluppo di una serie di eventi che stanno mettendo sotto esame la sua gestione della Difesa e il suo giudizio». E, stando all’analisi del Times, «a differenza della chat in cui fu erroneamente incluso l’Atlantic, quella appena rivelata era stata creata da Hegseth stesso. Includeva sua moglie e gente a lui professionalmente legata ed era stata avviata a gennaio, prima della sua conferma come segretario alla Difesa». Pare, inoltre, che il capo del Pentagono accedesse alla chat tramite il suo telefono personale, non quello governativo. Invece, la chat rivelata dall’Atlantic a marzo era stata creata dal consigliere per la Sicurezza nazionale del presidente Donald Trump, Mike Waltz, per consentire il coordinamento tra i principali funzionari della Sicurezza nazionale dell’esecutivo, come il vicepresidente J.D. Vance, il direttore dell’intelligence nazionale, Tulsi Gabbard, e Hegseth stesso, in vista degli attacchi statunitensi. La prima volta Waltz si era assunto la responsabilità di aver incluso per errore nella chat il reporter dell’Atlantic, Goldberg. L’aveva chiamata «Huthi Pc small group» per riflettere la presenza di membri delle alte sfere dell’amministrazione, che si riunisce per discutere le questioni di sicurezza nazionale più delicate. Il mantenimento nella chat della moglie, del fratello e dell’avvocato di Hegseth, «nessuno dei quali sembra avere motivo per essere informato su dettagli operativi di un’azione militare in corso», commenta il giornale, «solleva interrogativi sul rispetto dei protocolli di sicurezza da parte di Hegseth».
Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa podcast del 19 dicembre con Flaminia Camilletti
Alberto Stasi (Ansa)
Ieri, nell’aula del tribunale di Pavia, quell’ombra è stata cancellata dall’incidente probatorio. «È stato chiarito definitivamente che Stasi è escluso». Lo dice senza giri di parole all’uscita dal palazzo di giustizia Giada Bocellari, difensore con Antonio De Rensis di Stasi. «Tenete conto», ha spiegato Bocellari, «che noi partivamo da una perizia del professor Francesco De Stefano (il genetista che nel 2014 firmò la perizia nel processo d’appello bis, ndr) che diceva che il Dna era tutto degradato e che Stasi non poteva essere escluso da quelle tracce». È il primo elemento giudiziario della giornata di ieri. La stessa Bocellari, però, mette anche un freno a ogni lettura forzata: «Non è che Andrea Sempio verrà condannato per il Dna. Non verrà mai forse neanche rinviato a giudizio solo per il Dna». Gli elementi ricavati dall’incidente probatorio, spiega, sono «un dato processuale, una prova che dovrà poi essere valutata e questo lo potrà fare innanzitutto la Procura quando dovrà decidere, alla fine delle indagini, cosa fare». Dentro l’aula, però, la tensione non è stata solo scientifica. È stata anche simbolica. Perché Stasi era presente. Seduto, in silenzio. E la sua presenza ha innescato uno scontro.
«È venuto perché questa era una giornata importante», spiega ancora Bocellari, aggiungendo: «Tenete conto che sono undici anni che noi parliamo di questo Dna e finalmente abbiamo assunto un risultato nel contraddittorio». Una scelta rivendicata senza tentennamenti: «Tenete conto anche del fatto che lui ha sempre partecipato al suo processo, è sempre stato presente alle udienze e quindi questo era un momento in cui esserci, nel massimo rispetto anche dell’autorità giudiziaria che oggi sta procedendo nei confronti di un altro soggetto». E quel soggetto è Sempio. Indagato. Ma assente. Una scelta opposta, spiegata dai suoi legali. «In ogni caso non avrebbe potuto parlare», chiarisce Angela Taccia, che spiega: «Il Dna non è consolidato, non c’è alcuna certezza contro Sempio. Il software usato non è completo, anzi è molto scarno, non si può arrivare a nessun punto fermo». Lo stesso tono lo usa Liborio Cataliotti, l’altro difensore di Sempio. «Confesso che non mi aspettavo oggi la presenza di Stasi. Però non mi sono opposto, perché si è trattato di una presenza, sia pur passiva, di chi è interessato all’espletamento della prova. Non mi sembrava potessero esserci controindicazioni alla sua presenza». Se per la difesa di Sempio la presenza di Stasi è neutra, sul fronte della famiglia Poggi il clima è diverso. L’avvocato Gian Luigi Tizzoni premette: «Vedere Stasi non mi ha fatto nessun effetto, non ho motivi per provare qualsiasi tipo di emozione». Ma la linea processuale è chiara. Durante l’udienza i legali dei Poggi (rappresentati anche dall’avvocato Francesco Compagna) hanno chiesto che Stasi uscisse dall’aula perché «non è né la persona offesa né l’indagato». Richiesta respinta dal gip Daniela Garlaschelli come «irrilevante e tardiva», perché giunta «a sei mesi di distanza dall’inizio dell’incidente probatorio». Stasi è stato quindi ammesso come «terzo interessato». Ma l’avvocato Compagna tiene il punto: «Credo che di processuale ci sia poco in questa vicenda, è un enorme spettacolo mediatico». E attacca sul merito: «La verità è che le unghie sono prive di significato, visto che la vittima non si è difesa e giocare su un dato che non è scientifico è una follia».
La perita Denise Albani, ricorda Compagna, «ha ribadito che non si può dire come, dove e quando quella traccia è stata trasferita e quindi non ha valore». Deve essersi sentito un terzo interessato anche il difensore dell’ex procuratore aggiunto di Pavia Mario Venditti (indagato a Brescia per un’ipotesi di corruzione in atti giudiziari riferita all’archiviazione della posizione di Sempio nel 2017). L’avvocato Domenico Aiello, infatti, ha alzato il livello dello scontro: «Non mi risulta che esista la figura della parte processuale del “terzo interessato”. Si è palesato in aula a Pavia il titolare effettivo del subappalto di manodopera nel cantiere della revisione». E insiste: «Sarei curioso di capire se sia soddisfatto e in quale veste sarà registrato al verbale di udienza, se spettatore abusivo o talent scout od osservatore interessato. Ancora una grave violazione del Codice di procedura penale. Spero non si sostituisca un candidato innocente con un altro sfortunato innocente e a spese di un sicuro innocente».
Ma mentre le polemiche rimbalzano fuori dall’aula, dentro il dato resta tecnico. E su quel dato, paradossalmente, tutti escono soddisfatti. «Dal nostro punto di vista abbiamo ottenuto risposte che riteniamo molto ma molto soddisfacenti sulla posizione di Sempio», dice Cataliotti. Taccia conferma: «Siamo molto soddisfatti di com’è andata oggi». La difesa di Sempio ribadisce che il dato è neutro, parziale, non decisivo. La difesa di Stasi incassa l’esclusione definitiva del Dna. E alla fine l’incidente probatorio ha fatto la sua parte. Ha prodotto una prova. Ha chiarito un equivoco storico. E ha lasciato ognuno con il proprio argomento in mano. Fuori dall’aula, però, il processo mediatico si è concentrato tutto sulla presenza di Stasi e sull’assenza di Sempio, come se l’innocenza o la colpevolezza di qualcuno fosse misurabile a colpi di apparizioni sceniche.
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E come si può chiamare un tizio che promette «appena posso (violare la legge, ndr) lo rifaccio»?. «Costi quel che costi», disse Luca Casarini, «al vostro ordine continuerò a disobbedire, perché obbedisco ad altro, di fronte al quale le vostre leggi ingiuste e criminali, ciniche e orribili non possono niente». Quelle contestate sono le leggi dello Stato italiano, approvate dal Parlamento italiano, vigilate dalla Corte costituzionale italiana, rispettate dalla maggioranza degli italiani. Ma per Casarini e compagni si possono ignorare. Anzi, si devono violare. E nessuno può permettersi il diritto di critica e di chiamarli pirati. «Abbiamo disobbedito a un ordine ingiusto e inumano del ministero dell’Interno», disse Beppe Caccia, capo missione di Mediterranea, «ma così facendo abbiamo obbedito al diritto marittimo, alla Costituzione italiana, alle leggi dell’umanità». Chi si può arrogare il diritto di stabilire che ci si può infischiare di una legge? Ve la immaginate quale sarebbe la reazione di fronte a un tizio che ignora il codice della strada o la normativa fiscale e dice che lui risponde a una legge superiore? E vi ricorda qualche cosa la definizione di «legge criminale»? Negli anni della contestazione lo Stato era criminale, le misure repressive, i divieti autoritari. Come sia finita si sa.
Il soccorso in mare ha un obiettivo politico: è un’azione che mira a «contrastare e a sovvertire il sistema capitalista e patriarcale» come ha spiegato don Mattia Ferrari, il cappellano di Mediterranea. «Abbiamo abbattuto un muro. Quello innalzato in mare dal decreto sicurezza bis. Siamo stati costretti a farlo», ha aggiunto Carola Rackete, la capitana che nella foga di attraccare nonostante le fosse stato negato il diritto allo sbarco andò a sbattere con la sua nave contro una motovedetta della Guardia di finanza. E costoro non si possono definire pirati? Chiamarli tali, perché come diceva il filosofo Giulio Giorello a proposito dei bucanieri, ritengono la loro coscienza «superiore a ogni legge», sarebbe diffamatorio? E quale offesa alla propria reputazione, quale danno, avrebbero patito, di grazia? È evidente che le querele hanno un obiettivo: tappare la bocca a chi esprime un giudizio critico, impedire alla libera stampa di dire quel che pensa e di chiamare le cose con il loro nome.
Da una settimana si discute di giornali comprati e venduti, perché John Elkann ha messo in vendita Repubblica e La Stampa. Ma la minaccia all’articolo 21 della Costituzione non viene da un imprenditore greco o italiano che compra una testata, bensì dal tentativo di imbavagliare chi si oppone, con le inchieste e le notizie, alla strategia dell’immigrazione, arma - come predica don Ferrari - usata per abbattere il sistema capitalistico e patriarcale. Sono certo che di fronte alla sentenza contro Panorama non si leveranno le voci degli indignati speciali. Quelle si alzano solo quando condannano Roberto Saviano a pagare mille euro per aver chiamato bastardi Meloni e Salvini. Visti i risultati, mi conveniva titolare «I nuovi bastardi».
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