Trump ottimista su un’intesa Russia-Ucraina in settimana, Kiev può dimenticarsi la Nato
- Volodymyr Zelensky alle strette: gli Usa premono per la concessione della Crimea e garantiscono a Mosca l’esclusione degli invasi dal Patto atlantico. Vladimir Putin fa ripartire i bombardamenti.
- Intanto, dopo i dossier riservati finiti in mano all’«Atlantic», il capo del Pentagono, Pete Hegseth, avrebbe mandato a moglie e fratello i piani di attacco in Yemen. Il tycoon lo difende: «Fake news».
Lo speciale contiene due articoli
Dopo una Pasqua segnata da un fragile cessate il fuoco durato appena 30 ore, in Ucraina si è tornati a combattere. Lo scambio di accuse tra Mosca e Kiev sui responsabili delle violazioni è solo il riflesso diplomatico di una tregua mai davvero osservata. Secondo le autorità ucraine, la Russia ha infranto la propria promessa di sospendere le ostilità con oltre 2.900 violazioni, con attacchi che hanno coinvolto infrastrutture civili, raid aerei e l’impiego massiccio di droni. Dall’altro lato, il ministero della Difesa russo ribatte che è stata Kiev a violare l’intesa per ben 4.900 volte, sostenendo di aver subito attacchi su obiettivi militari e civili durante tutto l’arco del cessate il fuoco. La ripresa dei bombardamenti russi ha riguardato principalmente il fronte orientale con lanci di droni kamikaze, missili Onyx e Kh-31P sulle aree di Kharkiv, Mykolaiv e Sumy, dove gli attacchi non si sono mai fermati del tutto e secondo il comandante ucraino Oleksandr Syrskyi, Mosca avrebbe tentato - senza riuscirci - di sfondare. Nella notte tra domenica e lunedì, la Russia ha lanciato 96 droni e tre missili, alcuni diretti verso Kiev. A Kherson è stato colpito un obiettivo costiero, a Zaporizhzhia si sono sentite forti esplosioni. L’Ucraina ha rivendicato un attacco a una base russa per droni nella regione di Kursk, uccidendo almeno venti operatori. Una sequenza di attacchi che ha segnato la ripresa delle ostilità tra le parti e ha riportato il conflitto in prima linea.
Tuttavia, mentre cresce la tensione sul piano militare, su quello diplomatico si apre una settimana decisiva per il possibile cessate il fuoco. Donald Trump ha parlato di «buone chance di un accordo tra Russia e Ucraina in settimana». Da domani, invece, dopo che il vertice dei volenterosi a Parigi si è chiuso con un nulla di fatto, l’iniziativa diplomatica torna nelle mani del fronte anglosassone. A Londra si riaprirà il tavolo dei negoziati: nell’agenda del vertice a cui parteciperanno rappresentanti di Kiev, Washington, Parigi e Londra stessa, si discuterà della possibilità di raggiungere in tempi brevi un cessate il fuoco immediato e duraturo. Anche la Cina ha fatto sapere di considerare «positivi» gli sforzi in corso per un cessate il fuoco. «Siamo pronti a procedere nel modo più costruttivo possibile», ha scritto Volodymyr Zelensky su X. «Al cessate il fuoco si risponde con un cessate il fuoco, agli attacchi con la difesa». La linea ucraina non cambia, ma il clima sì: gli Stati Uniti, oltre ad aver lasciato intendere che un’intesa è vicina, hanno avuto colloqui riservati in cui, secondo quanto riportato dal Wall Street Journal, avrebbero proposto a Kiev un pacchetto articolato che include lo stop all’ingresso nella Nato e l’accettazione dell’annessione russa della Crimea. Ipotesi che per ora restano politicamente impraticabili per Zelensky, ma che confermano quanto il pressing americano stia aumentando.
«L’Ucraina non discute la questione dell’integrità territoriale con i suoi partner nei negoziati per la fine della guerra. Questo è contrario alla Costituzione» ha affermato il consigliere del capo dell’Ufficio presidenziale, Serhiy Leshchenko, «Tutti i negoziatori che partecipano alle riunioni in Arabia Saudita o in Francia dicono chiaramente che la questione dell’integrità territoriale dell’Ucraina non viene discussa affatto». Il Cremlino ha fatto sapere di aver ricevuto «segnali positivi» da parte americana proprio su questo fronte.
«Una adesione dell’Ucraina alla Nato resta una minaccia diretta alla Federazione russa», ha ribadito il portavoce Dmitry Peskov, «Washington ci ha assicurato a vari livelli che l’adesione dell’Ucraina alla Nato è fuori questione. Questo ci soddisfa e coincide con la nostra posizione». Vladimir Putin, dopo aver detto durante un incontro con i capi delle municipalità a Mosca che «nessuno dubita della vittoria russa», ha fatto sapere che valuterà la proposta di una tregua di 30 giorni per evitare attacchi a obiettivi civili. «Bisogna trovare un modo per impedire che vengano colpiti i civili», ha dichiarato. Poi ha aggiunto che «Kiev continua a usare le infrastrutture civili per scopi militari». Dichiarazioni ambigue, come il comunicato russo che ha rivendicato l’attacco di sabato a Sumy che ha causato 35 vittime civili, sostenendo che si stesse celebrando «una cerimonia per militari ucraini coinvolti nei crimini nella regione di Kursk», definendo quindi l’attacco «una meritata punizione».
Nel frattempo il capo del Cremlino, stando a quanto scritto ieri dall’agenzia Tass, ha firmato la legge sulla ratifica dell’accordo sul partenariato strategico globale con l’Iran che era stato siglato lo scorso gennaio in occasione della visita del presidente iraniano Masoud Pezeshkian a Mosca. L’accordo va a definire il quadro giuridico per l’ulteriore sviluppo della cooperazione tra i due Paesi in una prospettiva a lungo termine in settori strategici che riguardano la difesa, la lotta al terrorismo, l’energia, la finanza, i trasporti, l’industria, l’agricoltura, la scienza, la cultura e le tecnologie.
Un’altra chat mette nei guai Hegseth
«Secondo alcune persone a conoscenza dei fatti, il segretario alla Difesa degli Stati Uniti, Pete Hegseth avrebbe inviato informazioni sensibili sugli attacchi in Yemen in una chat crittografata che includeva la moglie e il fratello». A dare la notizia è il New York Times.
Hegseth ha condiviso informazioni dettagliate su imminenti attacchi rivolti contro obiettivi Huthi il 15 marzo in una chat privata sull’app di messaggistica crittografata Signal, che includeva sua moglie, ex produttrice di Fox News, Jennifer Cunningham Hegseth, suo fratello, Phil Hegseth, il suo avvocato personale, Tim Parlatore e una decina di persone della sua cerchia personale e professionale. Fatti che il presidente americano Donald Trump ha bollato come «fake news» messe in giro da «impiegati insoddisfatti». «Hegseth sta facendo un grande lavoro. Chiedete agli Huthi», ha dichiarato ieri.
Eppure, alcuni tra i soggetti a conoscenza di questa chat hanno riferito, secondo il quotidiano newyorkese, che le informazioni condivise da Hegseth nella chat comprendevano gli orari di volo dei caccia destinati a colpire gli Huthi in Yemen. «In pratica», scrivono i giornalisti Greg Jaffe, Eric Schmitt e Maggie Haberman, «gli stessi piani d’attacco che aveva condiviso, sempre quel giorno, in un’altra chat su Signal nella quale era stato erroneamente incluso il caporedattore dell’Atlantic, Jeffrey Goldberg».
La moglie di Hegseth, Jennifer, non è una dipendente del Pentagono, sede del dipartimento della Difesa, ma ha viaggiato con lui all’estero e non sono mancate le critiche nei suoi confronti per aver preso parte a incontri riservati con leader stranieri.
Il fratello, Phil, e Tim Parlatore, invece, lavorano entrambi al Pentagono, ma, secondo il giornale, «non è ancora chiaro perché i due avrebbero avuto bisogno di conoscere i dettagli di imminenti attacchi militari contro gli Huthi in Yemen».
«L’esistenza di una seconda chat su Signal in cui Hegseth ha condiviso informazioni militari altamente riservate e che finora non era stata riportata rappresenta l’ultimo sviluppo di una serie di eventi che stanno mettendo sotto esame la sua gestione della Difesa e il suo giudizio». E, stando all’analisi del Times, «a differenza della chat in cui fu erroneamente incluso l’Atlantic, quella appena rivelata era stata creata da Hegseth stesso. Includeva sua moglie e gente a lui professionalmente legata ed era stata avviata a gennaio, prima della sua conferma come segretario alla Difesa». Pare, inoltre, che il capo del Pentagono accedesse alla chat tramite il suo telefono personale, non quello governativo.
Invece, la chat rivelata dall’Atlantic a marzo era stata creata dal consigliere per la Sicurezza nazionale del presidente Donald Trump, Mike Waltz, per consentire il coordinamento tra i principali funzionari della Sicurezza nazionale dell’esecutivo, come il vicepresidente J.D. Vance, il direttore dell’intelligence nazionale, Tulsi Gabbard, e Hegseth stesso, in vista degli attacchi statunitensi.
La prima volta Waltz si era assunto la responsabilità di aver incluso per errore nella chat il reporter dell’Atlantic, Goldberg. L’aveva chiamata «Huthi Pc small group» per riflettere la presenza di membri delle alte sfere dell’amministrazione, che si riunisce per discutere le questioni di sicurezza nazionale più delicate.
Il mantenimento nella chat della moglie, del fratello e dell’avvocato di Hegseth, «nessuno dei quali sembra avere motivo per essere informato su dettagli operativi di un’azione militare in corso», commenta il giornale, «solleva interrogativi sul rispetto dei protocolli di sicurezza da parte di Hegseth».
Elena Lucchini è assessore alla Famiglia, solidarietà sociale, disabilità e pari opportunità della giunta regionale lombarda. Nel giugno scorso è stato sottoscritto un protocollo d’intesa tra la Regione e le sue università per favorire lo scambio intergenerazionale fra giovani e anziani, mettendo a disposizione degli atenei 1,2 milioni di euro, finanziando progetti sperimentali che coinvolgono studenti fino ai 25 anni e persone oltre i 65 in una sorta di patto di aiuto reciproco. E così, avviato il nuovo anno accademico, parte a Pavia (e altre città seguono), il progetto «Co-housing e caring tra generazioni».
Qual è stata l’ispirazione che ha portato alla creazione del progetto di coabitazione tra generazioni?
«Rispondo partendo dalla mia personale esperienza. Ho avuto la fortuna di crescere a stretto contatti con i nonni e negli anni ho compreso il valore che questa cosa: le generazioni più anziane sono un tesoro di conoscenze, di memorie e di tradizioni che va preservato. Per questo motivo l’assessorato alla Famiglia di Regione Lombardia ha valutato la possibilità di offrire agli studenti universitari un’occasione in più, anche per far fronte a due tematiche: il sostegno a una popolazione che, lo dicono i dati, cresce in età anagrafica e la risposta al crescente bisogno di alloggi a prezzi accessibili per gli studenti universitari, spesso fuori sede».
Il progetto pavese prevede un contributo di 400.000 euro per coprire i costi di affitto e borse di studio. Quanti studenti e anziani potranno beneficiare di questa iniziativa nella fase sperimentale?
«Nella fase iniziale i fondi permetteranno di sostenere un numero limitato di studenti, inizialmente previsto in alcune decine di giovani, per i quali la copertura del canone d’affitto e delle borse di studio sarà un aiuto tangibile. Allo stesso modo, gli anziani che decideranno di partecipare beneficeranno della compagnia e dei servizi offerti dai giovani ospiti. Questo progetto è pensato come un programma pilota, e speriamo che il successo iniziale apra la strada a un’espansione su più larga scala».
Come verranno selezionati anziani e studenti che parteciperanno al progetto? Esistono criteri particolari?
«Esistono e la selezione è mirata per assicurare un’esperienza positiva per entrambe le parti. Le persone sopra i 65 anni verranno scelti valutando la possibilità di condividere il proprio spazio abitativo, mentre i ragazzi saranno selezionati, oltreché sul dato economico, anche sulla base della loro disponibilità a offrire servizi di base».
Per esempio?
«Dare una mano nelle cose più semplici, come l’utilizzo delle risorse informatiche o l’accompagnamento per le pratiche amministrative o sanitarie. L’idea che sta alla base del progetto è lo scambio reciproco di conoscenze e competenze. Un giovane può aiutare il suo ospite prenotando una visita online, o pagando una bolletta in posta. Ma l’intento è che si creino legami, tali per cui poi ci sia la voglia di passare del tempo insieme per visitare una mostra o per andare a un concerto».
Quali sono le aspettative riguardo all’espansione del progetto?
«La nostra speranza è di vedere la coabitazione espandersi rapidamente anche al di là i confini regionali. Oltre a Pavia, ne abbiamo già in programma l’attivazione in collaborazione con le università degli studi di Milano e di Bergamo. Crediamo che il successo di questa prima fase pilota sarà una spinta per coinvolgere altri atenei e contesti urbani. L’idea è che ogni città possa adattare il modello alle proprie caratteristiche e risorse, promuovendo una rete di “patto intergenerazionale”».
Sembra che il progetto abbia avuto un riscontro positivo.
«È così. Finora la risposta è stata molto incoraggiante, soprattutto da parte degli studenti dell’ateneo pavese, dove questa iniziativa ha avuto origine. E anche tra gli over 65, nonostante alcune incertezze iniziali dovute soprattutto alla novità dell’iniziativa, molti hanno accolto con curiosità l’idea di avere uno studente come coinquilino. Del resto, c’è sempre il problema della tutela e della sicurezza, ma come dicevo ci sono criteri di selezione solidi, pensati appositamente».
- Il capo del sindacato Coisp Domenico Pianese: «Inaccettabile il racconto di certi media che parlano di “persona inerme uccisa a sangue freddo”».
- Il capogruppo della Lega al Senato Massimiliano Romeo: «Con l’emendamento la cifra salirà a 10.000 euro».
Lo speciale contiene due articoli.
«Abbiamo appreso con favore che il governo farà una protesta formale nei confronti dell’organo Ue che ha diffuso una relazione, sul presunto razzismo delle forze dell’ordine senza coinvolgere nazioni e interlocutori dei Paesi interessati», afferma Domenico Pianese, segretario generale del sindacato di Polizia Coisp all’indomani della diffusione del dossier dell’Ecri che parla del rischio di «profilazione razziale».
Voi farete qualcosa?
«Noi abbiamo chiesto con forza un confronto con questo organismo per capire dove hanno preso e che origine hanno i dati che hanno inserito nel rapporto e che ricadono su tutta la comunità, Si tratta di accuse totalmente infondate e oltraggiose prive di qualsiasi riscontro oggettivo, un insulto non solo verso chi ogni giorno rischia la vita per la sicurezza dei cittadini, ma anche verso il nostro sistema di sicurezza, che è riconosciuto a livello europeo come esempio di efficienza e rispetto delle leggi. La democrazia della polizia italiana è fuori discussione, non ha pari in molti altri Paese».
Un rapporto simile influisce sull’opinione pubblica?
«Influisce in modo negativo in un momento di divisioni, di scontro politico e sociale, tra guerre, movimenti pro Pal e sicurezza. Introdurre anche un elemento infondato e fuori luogo crea un alibi per chi da sempre lancia attacchi alle forze di polizia, negli ultimi anni sempre più vittime di aggressioni, dando una percezione negativa dell’ordine pubblico».
Razzismo e manganello facile, le ultime accuse ai poliziotti, che succede?
«Dopo 35 anni di attività su strada, dico che nel corso degli anni è cambiato l’atteggiamento della magistratura nei confronti della polizia, c’è un vero distanziamento tra le due istituzioni. Poi c’è stato un allontanamento della politica in generale dai temi della sicurezza, vissuti come un costo su cui fare macelleria sociale. Dal 2001 fino al 2014 abbiamo subito tagli per 4 miliardi mai recuperati».
E oggi?
«Solo il governo Meloni, e lo dico da sindacato indipendente, sta mettendo risorse che finora sembravano superflue o inutili. Basti pensare alla legge Madia, con il governo Renzi, che tagliò gli organici di tutte le forze di polizia, un taglio di organico drammatico che paghiamo ancora oggi».
Poi ci sono i casi di Pisa e Verona con gli agenti indagati.
«Casi che dimostrano la difficoltà dei nostri uomini a operare quotidianamente. Su Verona abbiamo assistito alle ricostruzioni infondate e fuorvianti, con il poliziotto che uccide a sangue freddo una persona inerme... I giornali e i politici che sostengono questa tesi inaccettabile, non fanno cenno al poliziotto che mette a rischio la sua incolumità per tutelare la sicurezza dei cittadini. Su Pisa i nostri poliziotti sono indagati per aver fatto una carica di alleggerimento che si fa normalmente perché rientra nell’ordinaria gestione delle manifestazioni. A questo punto ci dicano come dobbiamo gestire l’ordine pubblico, come dobbiamo affrontare l’attività predatoria...».
Siete preoccupati?
«C’è una preoccupazione diffusa per gli attacchi continui che subiamo da alcuni media e da politici quando ci accusano di aver cambiato atteggiamento, di fare interventi più fisici... Noi facciamo il possibile per tutelare la sicurezza dei cittadini. Le nostre modalità sono le stesse da decenni, non da un anno, Poi che nelle ultime tre manifestazioni ci sono stati 38 poliziotti feriti, uno addirittura con la frattura del bacino, non ne parla nessuno, come delle tre bottiglie incendiarie lanciate sotto le auto nella manifestazione di Roma. Soltanto la prontezza dei colleghi ha evitato conseguenze più gravi. Altro che pacifisti».
E chi tutela il poliziotto indagato?
«Nessuno. Intanto viene trasferito dal suo ufficio di competenza e passa da attività operativa ad amministrativa, ma il problema più grande è che il collega si deve pagare avvocato, medici legali, tutto con il proprio stipendio, direi esiguo stipendio, mettendo quindi in crisi non solo la vita ma l’intera famiglia. Paghiamo un prezzo elevato in modo incolpevole perché facciamo il nostro dovere».
Quindi l’emendamento sulla tutela legale vi aiuterà?
«L’emendamento, nel pacchetto Sicurezza, è all’esame del Senato ed è stato fortemente voluto da noi e per la quale ringraziamo la maggioranza, il ministro Matteo Piantedosi e il vice Nicola Molteni. La norma introduce l’anticipo delle spese legali e lo porta a 10.000 euro per ogni fase di giudizio. Un vero sostegno e una svolta che davvero tutelerebbe non solo il poliziotto ma la famiglia incolpevole che paga le conseguenze. Nel pacchetto però ci sono anche le norme per intervenire e aiutare i cittadini, nelle truffe agli anziani come nelle occupazioni, oltre all’aumento di pene per chi minaccia e aggredisce i poliziotti».
La divisa di poliziotto ha ancora il suo appeal?
«No, c’è una crisi vocazionale enorme e per alcuni versi preoccupante. C’è il clima avverso, ma anche il trattamento economico, 1.500 euro al mese, non invoglia tanto. Le ore di straordinario del 2023 ancora non sono state pagate. Ma noi facciamo tutto quello che è possibile fare per assicurare la sicurezza dei cittadini, per controllare il territorio, e quando ci sono clandestini minorenni non accompagnati che non hanno da mangiare o dove dormire, vengono nei nostri commissariati, per carenza di strutture nei Comuni, e sono i poliziotti che con i loro soldi comprano il cibo... Per questo l’accusa di razzismo è una ferita per 100.000 uomini e donne in divisa».
Scudo legale per le forze dell’ordine. La Lega: «Raddoppiamo l’importo»
Tutela sì o tutela no? Esiste un fondo a copertura delle spese legali a cui gli ufficiali o gli agenti delle forze dell’ordine possano accedere qualora siano sottoposti a procedimenti giudiziari per azioni che abbiano commesso durante lo svolgimento del loro pubblico esercizio? La domanda sorge spontanea, soprattutto a seguito di quanto è accaduto a Verona domenica scorsa. Tutto era iniziato all’alba, quando la stazione di Porta Nuova è stata teatro di uno scontro tra la polizia e Moussa Diarra, maliano di 26 anni. Il giovane, già noto alle forze dell’ordine per reati di droga, era in stato di alterazione quando, dopo aver danneggiato alcune vetrine dei negozi nella stazione, aveva aggredito una pattuglia della polizia municipale armato di un coltello. Poche ore più tardi, dopo essersi allontanato frettolosamente, il giovane era stato nuovamente avvistato in zona e intercettato da una pattuglia della polizia ferroviaria. Alla vista degli agenti, Diarra aveva estratto di nuovo il coltello e si era scagliato contro di loro. In risposta all’aggressione, uno dei poliziotti aveva aperto il fuoco, sparando tre colpi, uno dei quali fatale. Malgrado i tentativi di soccorso da parte dello stesso agente, che aveva praticato il massaggio cardiaco nell’attesa dell’ambulanza, Diarra è deceduto sul posto.Il vicepremier Matteo Salvini ha commentato l’accaduto con un duro messaggio sui social: «Con tutto il rispetto, non ci mancherà. Grazie ai poliziotti per aver fatto il loro dovere». Le parole del ministro avevano provocato la reazione di esponenti del Partito democratico, come il senatore Franco Mirabelli, che ha definito vergognoso «festeggiare per la scomparsa di un uomo». Nel frattempo, l’agente coinvolto è stato iscritto nel registro degli indagati per «eccesso colposo di legittima difesa». Secondo la Procura, si tratta di un atto dovuto, necessario per chiarire se vi sia stato un uso eccessivo della forza. Dalle prime ricostruzioni emerge che l’agente, dopo aver esploso i colpi, ha cercato in tutti i modi di prestare soccorso a Diarra, «segno di un profondo senso di umanità», come sottolineato dal sindacato Siulp.E qui torniamo al punto di partenza? Chi paga la tutela legale di un agente di polizia che nel compimento del suo dovere ha ucciso un uomo che lo stava attaccando, una vicenda che produrrà inevitabilmente un lungo processo? Massimiliano Romeo, capogruppo della Lega al Senato, spiega alla Verità come stanno le cose. «Nella legge di bilancio del 2021», spiega Romeo, «avevamo autorizzato la spesa di oltre 10 milioni di euro da destinare alla stipula di apposite polizze assicurative per la tutela legale e la copertura delle responsabilità a favore del personale delle forze armate, di polizia e dei vigili del fuoco proprio per eventi dannosi, non dolosi, causati a terzi nello svolgimento del proprio servizio. Nell’ambito del disegno di legge Sicurezza, come Lega abbiamo introdotto un emendamento già approvato alla Camera e ora al vaglio del Senato, che raddoppia l’importo massimo a disposizione degli agenti per affrontare le spese legali, che passa da 5.000 a 10.000 euro per ciascun grado di giudizio, non solo per i tre gradi di giudizio, compresa la fase istruttoria e preliminare. Si tratta di una copertura legale la cui cifra deve essere restituita allo Stato qualora l’agente venga poi condannato in via definitiva». Romeo ha poi concluso: «Come Lega siamo sempre stati vicini al personale delle forze di polizia e abbiamo ritenuto necessario prevedere una loro tutela legale perché conosciamo bene le difficoltà in cui operano gli agenti, sotto continue minacce da parte di criminali e provocazioni da parte di teppisti. Non solo: sempre nel ddl abbiamo previsto la possibilità di inserire le bodycam sulle divise, in modo tale da poter verificare le dinamiche degli eventi. Un’innovazione che va a tutela di tutti».





