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2022-10-10
Trump: negoziati subito tra russi e ucraini
Donald Trump (Ansa)
«Ora abbiamo una guerra tra Russia e Ucraina con potenzialmente centinaia di migliaia di morti. Dobbiamo iniziare immediatamente a negoziare per una fine pacifica della guerra in Ucraina o finiremo nella terza guerra mondiale, e non rimarrà più niente del nostro pianeta, perché persone stupide non comprendono la potenza nucleare». Così Donald Trump si è espresso sabato, durante un comizio in Nevada. Ora, prima che qualcuno cominci a dire che l’ex presidente Usa è un filorusso, vale la pena di fare qualche precisazione. Ad aprile, Trump definì la guerra in Ucraina un «genocidio». Inoltre, per quanto da presidente avesse avuto un rapporto personale cordiale con Vladimir Putin, non ha mai portato avanti una politica filorussa. Era dicembre 2019, quando inflisse sanzioni al Nord Stream 2: gasdotto caldeggiato invece da Mosca e Berlino. Sempre Trump aveva del resto criticato la Germania per la sua eccessiva dipendenza energetica dalla Russia.
Era invece maggio 2018 quando si sfilò dal controverso accordo sul nucleare iraniano: accordo appoggiato da Bruxelles e Mosca. Tra l’altro, andrebbe rammentato che è stato proprio Joe Biden a tentare di rilanciare l’intesa sul nucleare e a togliere le sanzioni al Nord Stream 2: tutto questo, senza ottenere alcuna contropartita concreta da Putin. Se c’è quindi qualcuno che è tacciabile di appeasement verso il leader russo (soprattutto tra aprile e luglio dell’anno scorso), quello è proprio Biden. Trump, di contro, ha costantemente lavorato, con Mike Pompeo, per un’efficace strategia di deterrenza verso gli avversari degli Usa. D’altronde, sarà un caso: ma Putin ha aggredito l’Ucraina sempre quando nello studio ovale sedevano presidenti dem (nel 2014, ai tempi di Barack Obama, e nel 2022 con Biden). Detto en passant: appena quattro giorni prima dell’invasione russa, Kamala Harris affermò che la strategia di deterrenza della Casa Bianca stava funzionando.
Tuttavia le parole pronunciate sabato da Trump sono rivolte anche alla politica interna. L’8 novembre si terranno le elezioni di metà mandato e, secondo i sondaggi, i repubblicani riprenderanno quasi certamente il controllo almeno della Camera. Ebbene, un grosso punto interrogativo riguarda proprio l’impatto della crisi ucraina sugli umori degli elettori. Secondo un recente sondaggio Ipsos, circa tre quarti degli americani sono favorevoli a mantenere il sostegno a Kiev. Larga parte del Partito repubblicano è di quest’idea. Le incognite sorgono tuttavia sotto due aspetti: gli impatti indiretti della crisi ucraina e le modalità di aiuto a Kiev.
Quanto agli impatti indiretti, il dossier principale è il caro energia: un nodo che si sta ripresentando dopo la recente decisione dell’Opec di tagliare la produzione di petrolio. Si tratta di un grattacapo che rischia di affossare Biden e i dem nelle settimane immediatamente precedenti al voto. Inoltre, il suddetto sondaggio Ipsos registra che il 58% degli americani teme uno scontro nucleare con Mosca. In secondo luogo, c’è la questione della modalità di aiuto agli ucraini. Sebbene gran parte dei repubblicani abbia votato a favore dei pacchetti di sostegno a Kiev, alcuni settori conservatori stanno lanciando allarmi. E non ci riferiamo solo alla minoranza isolazionista che considera trascurati i dossier di politica interna (come il controllo della frontiera a Sud). No: ci riferiamo anche a figure istituzionali. È per esempio il caso del presidente della Heritage Foundation, Kevin Roberts. «Heritage ha sostenuto e continua a sostenere un aiuto militare responsabile all’Ucraina. Ma la politica estera dovrebbe garantire ciò che è meglio per i contribuenti americani e fornire risultati, non solo gettare soldi su un problema, senza una strategia, senza un piano e senza un obiettivo finale», ha scritto in un recente editoriale. Heritage è il principale think tank conservatore americano e, oltre ad aver sempre espresso posizioni critiche verso il Cremlino, esercita storicamente una forte influenza sul Partito repubblicano. Lo stesso Pompeo, da sempre pro Ucraina, ha biasimato le parole di Biden sull’Armageddon, sostenendo di sperare che la Casa Bianca stia usando la «diplomazia silenziosa» per dissuadere Putin dall’uso di armi nucleari.
Tutto ciò non vuol quindi dire che, se i repubblicani riprenderanno il Congresso, l’Ucraina sarà abbandonata a sé stessa. Significa, semmai, che spingeranno probabilmente Biden a una spesa più attenta e a elaborare una strategia maggiormente coerente: una strategia che cerchi di ripristinare innanzitutto la deterrenza perduta. Un passo, questo, fondamentale se si vuole cercare di uscire dalla crisi, evitando uno scenario nucleare.
Stampa americana e Putin d’accordo: «C’è Kiev dietro l’attentato al ponte»
A quarantotto ore dall’attacco al ponte di Crimea sono ancora molte le domande su come si sono svolti realmente i fatti. È stato davvero un camion bomba? Oppure è stato lanciato un missile Mgm-140 (Atacms)? E chi è stato? Le parti si accusano reciprocamente: secondo Mykhailo Podolyak, consigliere del presidente ucraino Volodymyr Zelensky, quanto accaduto al ponte di Kerch sarebbe «una manifestazione del conflitto tra le forze di sicurezza russe, in particolare tra l’Fsb (i servizi di sicurezza interni) da un lato e il ministero della Difesa e lo Stato maggiore dall’altro».
I russi invece non hanno dubbi sul fatto che ad attaccare il ponte simbolo della annessione della Crimea alla Russia sia stata una squadra speciale dello Sbu, il servizio segreto di Kiev. Il presidente russo Vladimir Putin ha affermato che chi ha fatto esplodere il ponte di Crimea sono «i servizi speciali dell’Ucraina», che hanno commesso «un atto di terrorismo». Il New York Times ha riferito che un alto funzionario ucraino protetto dall’anonimato ha dichiarato: «L’intelligence ucraina ha partecipato all’esplosione». Le autorità russe, che nel frattempo hanno istituito una commissione d’inchiesta per far luce sui fatti, hanno anche ordinato ai sommozzatori della Marina militare «di esaminare l’entità dei danni causati dalla potente esplosione di un camion bomba».
I sub hanno iniziato a lavorare ieri mattina alle 6 (le 5 in Italia), mentre i risultati di un’indagine più dettagliata dei danni dovrebbe essere disponibile già nella giornata odierna. Dell’attacco ha parlato il governatore della Crimea insediato dal Cremlino, Sergei Aksyonov, che ha dichiarato: «Naturalmente si sono scatenate le emozioni e c’è un sano desiderio di vendetta. La situazione è gestibile: è spiacevole, ma non fatale». Una prima risposta russa è arrivata l’altra notte con i 12 attacchi contro Zaporizhzhia che hanno interessato una serie di aree residenziali: il bilancio provvisorio parla di almeno 17 morti (ci sono bambini) e 87 feriti.
Del bombardamento ha parlato il ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba che su Twitter ha chiesto nuove armi all’Occidente: «Abbiamo urgente bisogno di più moderni sistemi di difesa aerea e missilistica per salvare vite innocenti. Invito i partner ad accelerare le consegne». A lui ha risposto Aleksei Polishchuk, direttore del secondo dipartimento per la Csi al ministero degli Esteri russo, che alla Tass ha affermato: «Le consegne da parte dell’Occidente a Kiev di armi a lungo raggio o più potenti diventeranno una linea rossa per la Russia».
Di armi (quelle atomiche) ha parlato alla Abc il portavoce del Consiglio di sicurezza della Casa Bianca John Kirby che sulle recenti dichiarazioni del presidente Usa, Joe Biden, sul rischio di un Armageddon atomico ha detto: «I commenti riflettono l’elevatissima posta in gioco ma non sono basati su dati di intelligence recenti né su nuove indicazioni sul fatto che Putin abbia preso la decisione di usare armi nucleari. Non abbiamo alcuna indicazione che abbia preso questo genere di decisione, né abbiamo visto qualcosa che ci spinga a riconsiderare la nostra postura nucleare strategica nei nostri sforzi a difesa dei nostri interessi in campo di sicurezza nazionale».
Oggi si terrà una riunione del Consiglio di sicurezza russo (38 membri), presente anche il presidente Vladimir Putin. Di sicuro ci saranno il primo ministro, i presidenti delle due camere (Consiglio federale e Duma di stato), il capo dello staff di Putin, tre ministri (Difesa, Esteri e Interno), i direttori di Fsb, Svr, Guardia russa e il segretario del Consiglio. Si discuterà della guerra e di quanto accaduto sul ponte di Crimea; tuttavia, potrebbe essere anche l’occasione per annunciare nuovi cambiamenti all’interno dello Stato russo. Quali? Il canale Telegram della Compagnia militare privata Wagner, di proprietà dell’oligarca Yevgeny Prigozhin, fedelissimo di Putin, da giorni ha preso di mira il ministro della Difesa Sergeij Shoigu e il capo di Stato maggiore, Valerij Gerasimov, entrambi accusati pubblicamente dal leader ceceno Razman Kadyrov e dallo stesso Prigozhin di essere i responabili anche del tracollo avvenuto durante la controffensiva ucraina. Secondo quanto affermato, Shoigu e Gerasimov verrebbero sostituiti con il governatore di Tula Alexey Dyumin e il vice comandante in capo delle forze di terra, il tenente generale Alexander Matovnikov. In serata si è appreso, attraverso il governatore Serhiy Gaidai, che l’esercito ucraino ha riconquistato sette nuovi insediamenti nella regione orientale di Lugansk, proprio quella annessa alla Russia la scorsa settimana.
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«Persone stupide non comprendono la potenza nucleare»: appello a trattative urgenti dell’ex presidente, da sempre più anti Putin di Joe Biden. Anche i conservatori, in testa ai sondaggi, premono perché gli Stati Uniti riprendano il loro ruolo nella deterrenza bellica.Bombe su Zaporizhzhia come rappresaglia. A Mosca alcuni ministri sono a rischio.Lo speciale contiene due articoli.«Ora abbiamo una guerra tra Russia e Ucraina con potenzialmente centinaia di migliaia di morti. Dobbiamo iniziare immediatamente a negoziare per una fine pacifica della guerra in Ucraina o finiremo nella terza guerra mondiale, e non rimarrà più niente del nostro pianeta, perché persone stupide non comprendono la potenza nucleare». Così Donald Trump si è espresso sabato, durante un comizio in Nevada. Ora, prima che qualcuno cominci a dire che l’ex presidente Usa è un filorusso, vale la pena di fare qualche precisazione. Ad aprile, Trump definì la guerra in Ucraina un «genocidio». Inoltre, per quanto da presidente avesse avuto un rapporto personale cordiale con Vladimir Putin, non ha mai portato avanti una politica filorussa. Era dicembre 2019, quando inflisse sanzioni al Nord Stream 2: gasdotto caldeggiato invece da Mosca e Berlino. Sempre Trump aveva del resto criticato la Germania per la sua eccessiva dipendenza energetica dalla Russia. Era invece maggio 2018 quando si sfilò dal controverso accordo sul nucleare iraniano: accordo appoggiato da Bruxelles e Mosca. Tra l’altro, andrebbe rammentato che è stato proprio Joe Biden a tentare di rilanciare l’intesa sul nucleare e a togliere le sanzioni al Nord Stream 2: tutto questo, senza ottenere alcuna contropartita concreta da Putin. Se c’è quindi qualcuno che è tacciabile di appeasement verso il leader russo (soprattutto tra aprile e luglio dell’anno scorso), quello è proprio Biden. Trump, di contro, ha costantemente lavorato, con Mike Pompeo, per un’efficace strategia di deterrenza verso gli avversari degli Usa. D’altronde, sarà un caso: ma Putin ha aggredito l’Ucraina sempre quando nello studio ovale sedevano presidenti dem (nel 2014, ai tempi di Barack Obama, e nel 2022 con Biden). Detto en passant: appena quattro giorni prima dell’invasione russa, Kamala Harris affermò che la strategia di deterrenza della Casa Bianca stava funzionando. Tuttavia le parole pronunciate sabato da Trump sono rivolte anche alla politica interna. L’8 novembre si terranno le elezioni di metà mandato e, secondo i sondaggi, i repubblicani riprenderanno quasi certamente il controllo almeno della Camera. Ebbene, un grosso punto interrogativo riguarda proprio l’impatto della crisi ucraina sugli umori degli elettori. Secondo un recente sondaggio Ipsos, circa tre quarti degli americani sono favorevoli a mantenere il sostegno a Kiev. Larga parte del Partito repubblicano è di quest’idea. Le incognite sorgono tuttavia sotto due aspetti: gli impatti indiretti della crisi ucraina e le modalità di aiuto a Kiev.Quanto agli impatti indiretti, il dossier principale è il caro energia: un nodo che si sta ripresentando dopo la recente decisione dell’Opec di tagliare la produzione di petrolio. Si tratta di un grattacapo che rischia di affossare Biden e i dem nelle settimane immediatamente precedenti al voto. Inoltre, il suddetto sondaggio Ipsos registra che il 58% degli americani teme uno scontro nucleare con Mosca. In secondo luogo, c’è la questione della modalità di aiuto agli ucraini. Sebbene gran parte dei repubblicani abbia votato a favore dei pacchetti di sostegno a Kiev, alcuni settori conservatori stanno lanciando allarmi. E non ci riferiamo solo alla minoranza isolazionista che considera trascurati i dossier di politica interna (come il controllo della frontiera a Sud). No: ci riferiamo anche a figure istituzionali. È per esempio il caso del presidente della Heritage Foundation, Kevin Roberts. «Heritage ha sostenuto e continua a sostenere un aiuto militare responsabile all’Ucraina. Ma la politica estera dovrebbe garantire ciò che è meglio per i contribuenti americani e fornire risultati, non solo gettare soldi su un problema, senza una strategia, senza un piano e senza un obiettivo finale», ha scritto in un recente editoriale. Heritage è il principale think tank conservatore americano e, oltre ad aver sempre espresso posizioni critiche verso il Cremlino, esercita storicamente una forte influenza sul Partito repubblicano. Lo stesso Pompeo, da sempre pro Ucraina, ha biasimato le parole di Biden sull’Armageddon, sostenendo di sperare che la Casa Bianca stia usando la «diplomazia silenziosa» per dissuadere Putin dall’uso di armi nucleari. Tutto ciò non vuol quindi dire che, se i repubblicani riprenderanno il Congresso, l’Ucraina sarà abbandonata a sé stessa. Significa, semmai, che spingeranno probabilmente Biden a una spesa più attenta e a elaborare una strategia maggiormente coerente: una strategia che cerchi di ripristinare innanzitutto la deterrenza perduta. Un passo, questo, fondamentale se si vuole cercare di uscire dalla crisi, evitando uno scenario nucleare.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/trump-negoziati-subito-russi-ucraini-2658417020.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="stampa-americana-e-putin-daccordo-ce-kiev-dietro-lattentato-al-ponte" data-post-id="2658417020" data-published-at="1665351083" data-use-pagination="False"> Stampa americana e Putin d’accordo: «C’è Kiev dietro l’attentato al ponte» A quarantotto ore dall’attacco al ponte di Crimea sono ancora molte le domande su come si sono svolti realmente i fatti. È stato davvero un camion bomba? Oppure è stato lanciato un missile Mgm-140 (Atacms)? E chi è stato? Le parti si accusano reciprocamente: secondo Mykhailo Podolyak, consigliere del presidente ucraino Volodymyr Zelensky, quanto accaduto al ponte di Kerch sarebbe «una manifestazione del conflitto tra le forze di sicurezza russe, in particolare tra l’Fsb (i servizi di sicurezza interni) da un lato e il ministero della Difesa e lo Stato maggiore dall’altro». I russi invece non hanno dubbi sul fatto che ad attaccare il ponte simbolo della annessione della Crimea alla Russia sia stata una squadra speciale dello Sbu, il servizio segreto di Kiev. Il presidente russo Vladimir Putin ha affermato che chi ha fatto esplodere il ponte di Crimea sono «i servizi speciali dell’Ucraina», che hanno commesso «un atto di terrorismo». Il New York Times ha riferito che un alto funzionario ucraino protetto dall’anonimato ha dichiarato: «L’intelligence ucraina ha partecipato all’esplosione». Le autorità russe, che nel frattempo hanno istituito una commissione d’inchiesta per far luce sui fatti, hanno anche ordinato ai sommozzatori della Marina militare «di esaminare l’entità dei danni causati dalla potente esplosione di un camion bomba». I sub hanno iniziato a lavorare ieri mattina alle 6 (le 5 in Italia), mentre i risultati di un’indagine più dettagliata dei danni dovrebbe essere disponibile già nella giornata odierna. Dell’attacco ha parlato il governatore della Crimea insediato dal Cremlino, Sergei Aksyonov, che ha dichiarato: «Naturalmente si sono scatenate le emozioni e c’è un sano desiderio di vendetta. La situazione è gestibile: è spiacevole, ma non fatale». Una prima risposta russa è arrivata l’altra notte con i 12 attacchi contro Zaporizhzhia che hanno interessato una serie di aree residenziali: il bilancio provvisorio parla di almeno 17 morti (ci sono bambini) e 87 feriti. Del bombardamento ha parlato il ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba che su Twitter ha chiesto nuove armi all’Occidente: «Abbiamo urgente bisogno di più moderni sistemi di difesa aerea e missilistica per salvare vite innocenti. Invito i partner ad accelerare le consegne». A lui ha risposto Aleksei Polishchuk, direttore del secondo dipartimento per la Csi al ministero degli Esteri russo, che alla Tass ha affermato: «Le consegne da parte dell’Occidente a Kiev di armi a lungo raggio o più potenti diventeranno una linea rossa per la Russia». Di armi (quelle atomiche) ha parlato alla Abc il portavoce del Consiglio di sicurezza della Casa Bianca John Kirby che sulle recenti dichiarazioni del presidente Usa, Joe Biden, sul rischio di un Armageddon atomico ha detto: «I commenti riflettono l’elevatissima posta in gioco ma non sono basati su dati di intelligence recenti né su nuove indicazioni sul fatto che Putin abbia preso la decisione di usare armi nucleari. Non abbiamo alcuna indicazione che abbia preso questo genere di decisione, né abbiamo visto qualcosa che ci spinga a riconsiderare la nostra postura nucleare strategica nei nostri sforzi a difesa dei nostri interessi in campo di sicurezza nazionale». Oggi si terrà una riunione del Consiglio di sicurezza russo (38 membri), presente anche il presidente Vladimir Putin. Di sicuro ci saranno il primo ministro, i presidenti delle due camere (Consiglio federale e Duma di stato), il capo dello staff di Putin, tre ministri (Difesa, Esteri e Interno), i direttori di Fsb, Svr, Guardia russa e il segretario del Consiglio. Si discuterà della guerra e di quanto accaduto sul ponte di Crimea; tuttavia, potrebbe essere anche l’occasione per annunciare nuovi cambiamenti all’interno dello Stato russo. Quali? Il canale Telegram della Compagnia militare privata Wagner, di proprietà dell’oligarca Yevgeny Prigozhin, fedelissimo di Putin, da giorni ha preso di mira il ministro della Difesa Sergeij Shoigu e il capo di Stato maggiore, Valerij Gerasimov, entrambi accusati pubblicamente dal leader ceceno Razman Kadyrov e dallo stesso Prigozhin di essere i responabili anche del tracollo avvenuto durante la controffensiva ucraina. Secondo quanto affermato, Shoigu e Gerasimov verrebbero sostituiti con il governatore di Tula Alexey Dyumin e il vice comandante in capo delle forze di terra, il tenente generale Alexander Matovnikov. In serata si è appreso, attraverso il governatore Serhiy Gaidai, che l’esercito ucraino ha riconquistato sette nuovi insediamenti nella regione orientale di Lugansk, proprio quella annessa alla Russia la scorsa settimana.
Da sinistra: Bruno Migale, Ezio Simonelli, Vittorio Pisani, Luigi De Siervo, Diego Parente e Maurizio Improta
Questa mattina la Lega Serie A ha ricevuto il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, insieme ad altri vertici della Polizia, per un incontro dedicato alla sicurezza negli stadi e alla gestione dell’ordine pubblico. Obiettivo comune: sviluppare strumenti e iniziative per un calcio più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
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Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
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Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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