True
2022-10-10
Trump: negoziati subito tra russi e ucraini
Donald Trump (Ansa)
«Ora abbiamo una guerra tra Russia e Ucraina con potenzialmente centinaia di migliaia di morti. Dobbiamo iniziare immediatamente a negoziare per una fine pacifica della guerra in Ucraina o finiremo nella terza guerra mondiale, e non rimarrà più niente del nostro pianeta, perché persone stupide non comprendono la potenza nucleare». Così Donald Trump si è espresso sabato, durante un comizio in Nevada. Ora, prima che qualcuno cominci a dire che l’ex presidente Usa è un filorusso, vale la pena di fare qualche precisazione. Ad aprile, Trump definì la guerra in Ucraina un «genocidio». Inoltre, per quanto da presidente avesse avuto un rapporto personale cordiale con Vladimir Putin, non ha mai portato avanti una politica filorussa. Era dicembre 2019, quando inflisse sanzioni al Nord Stream 2: gasdotto caldeggiato invece da Mosca e Berlino. Sempre Trump aveva del resto criticato la Germania per la sua eccessiva dipendenza energetica dalla Russia.
Era invece maggio 2018 quando si sfilò dal controverso accordo sul nucleare iraniano: accordo appoggiato da Bruxelles e Mosca. Tra l’altro, andrebbe rammentato che è stato proprio Joe Biden a tentare di rilanciare l’intesa sul nucleare e a togliere le sanzioni al Nord Stream 2: tutto questo, senza ottenere alcuna contropartita concreta da Putin. Se c’è quindi qualcuno che è tacciabile di appeasement verso il leader russo (soprattutto tra aprile e luglio dell’anno scorso), quello è proprio Biden. Trump, di contro, ha costantemente lavorato, con Mike Pompeo, per un’efficace strategia di deterrenza verso gli avversari degli Usa. D’altronde, sarà un caso: ma Putin ha aggredito l’Ucraina sempre quando nello studio ovale sedevano presidenti dem (nel 2014, ai tempi di Barack Obama, e nel 2022 con Biden). Detto en passant: appena quattro giorni prima dell’invasione russa, Kamala Harris affermò che la strategia di deterrenza della Casa Bianca stava funzionando.
Tuttavia le parole pronunciate sabato da Trump sono rivolte anche alla politica interna. L’8 novembre si terranno le elezioni di metà mandato e, secondo i sondaggi, i repubblicani riprenderanno quasi certamente il controllo almeno della Camera. Ebbene, un grosso punto interrogativo riguarda proprio l’impatto della crisi ucraina sugli umori degli elettori. Secondo un recente sondaggio Ipsos, circa tre quarti degli americani sono favorevoli a mantenere il sostegno a Kiev. Larga parte del Partito repubblicano è di quest’idea. Le incognite sorgono tuttavia sotto due aspetti: gli impatti indiretti della crisi ucraina e le modalità di aiuto a Kiev.
Quanto agli impatti indiretti, il dossier principale è il caro energia: un nodo che si sta ripresentando dopo la recente decisione dell’Opec di tagliare la produzione di petrolio. Si tratta di un grattacapo che rischia di affossare Biden e i dem nelle settimane immediatamente precedenti al voto. Inoltre, il suddetto sondaggio Ipsos registra che il 58% degli americani teme uno scontro nucleare con Mosca. In secondo luogo, c’è la questione della modalità di aiuto agli ucraini. Sebbene gran parte dei repubblicani abbia votato a favore dei pacchetti di sostegno a Kiev, alcuni settori conservatori stanno lanciando allarmi. E non ci riferiamo solo alla minoranza isolazionista che considera trascurati i dossier di politica interna (come il controllo della frontiera a Sud). No: ci riferiamo anche a figure istituzionali. È per esempio il caso del presidente della Heritage Foundation, Kevin Roberts. «Heritage ha sostenuto e continua a sostenere un aiuto militare responsabile all’Ucraina. Ma la politica estera dovrebbe garantire ciò che è meglio per i contribuenti americani e fornire risultati, non solo gettare soldi su un problema, senza una strategia, senza un piano e senza un obiettivo finale», ha scritto in un recente editoriale. Heritage è il principale think tank conservatore americano e, oltre ad aver sempre espresso posizioni critiche verso il Cremlino, esercita storicamente una forte influenza sul Partito repubblicano. Lo stesso Pompeo, da sempre pro Ucraina, ha biasimato le parole di Biden sull’Armageddon, sostenendo di sperare che la Casa Bianca stia usando la «diplomazia silenziosa» per dissuadere Putin dall’uso di armi nucleari.
Tutto ciò non vuol quindi dire che, se i repubblicani riprenderanno il Congresso, l’Ucraina sarà abbandonata a sé stessa. Significa, semmai, che spingeranno probabilmente Biden a una spesa più attenta e a elaborare una strategia maggiormente coerente: una strategia che cerchi di ripristinare innanzitutto la deterrenza perduta. Un passo, questo, fondamentale se si vuole cercare di uscire dalla crisi, evitando uno scenario nucleare.
Stampa americana e Putin d’accordo: «C’è Kiev dietro l’attentato al ponte»
A quarantotto ore dall’attacco al ponte di Crimea sono ancora molte le domande su come si sono svolti realmente i fatti. È stato davvero un camion bomba? Oppure è stato lanciato un missile Mgm-140 (Atacms)? E chi è stato? Le parti si accusano reciprocamente: secondo Mykhailo Podolyak, consigliere del presidente ucraino Volodymyr Zelensky, quanto accaduto al ponte di Kerch sarebbe «una manifestazione del conflitto tra le forze di sicurezza russe, in particolare tra l’Fsb (i servizi di sicurezza interni) da un lato e il ministero della Difesa e lo Stato maggiore dall’altro».
I russi invece non hanno dubbi sul fatto che ad attaccare il ponte simbolo della annessione della Crimea alla Russia sia stata una squadra speciale dello Sbu, il servizio segreto di Kiev. Il presidente russo Vladimir Putin ha affermato che chi ha fatto esplodere il ponte di Crimea sono «i servizi speciali dell’Ucraina», che hanno commesso «un atto di terrorismo». Il New York Times ha riferito che un alto funzionario ucraino protetto dall’anonimato ha dichiarato: «L’intelligence ucraina ha partecipato all’esplosione». Le autorità russe, che nel frattempo hanno istituito una commissione d’inchiesta per far luce sui fatti, hanno anche ordinato ai sommozzatori della Marina militare «di esaminare l’entità dei danni causati dalla potente esplosione di un camion bomba».
I sub hanno iniziato a lavorare ieri mattina alle 6 (le 5 in Italia), mentre i risultati di un’indagine più dettagliata dei danni dovrebbe essere disponibile già nella giornata odierna. Dell’attacco ha parlato il governatore della Crimea insediato dal Cremlino, Sergei Aksyonov, che ha dichiarato: «Naturalmente si sono scatenate le emozioni e c’è un sano desiderio di vendetta. La situazione è gestibile: è spiacevole, ma non fatale». Una prima risposta russa è arrivata l’altra notte con i 12 attacchi contro Zaporizhzhia che hanno interessato una serie di aree residenziali: il bilancio provvisorio parla di almeno 17 morti (ci sono bambini) e 87 feriti.
Del bombardamento ha parlato il ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba che su Twitter ha chiesto nuove armi all’Occidente: «Abbiamo urgente bisogno di più moderni sistemi di difesa aerea e missilistica per salvare vite innocenti. Invito i partner ad accelerare le consegne». A lui ha risposto Aleksei Polishchuk, direttore del secondo dipartimento per la Csi al ministero degli Esteri russo, che alla Tass ha affermato: «Le consegne da parte dell’Occidente a Kiev di armi a lungo raggio o più potenti diventeranno una linea rossa per la Russia».
Di armi (quelle atomiche) ha parlato alla Abc il portavoce del Consiglio di sicurezza della Casa Bianca John Kirby che sulle recenti dichiarazioni del presidente Usa, Joe Biden, sul rischio di un Armageddon atomico ha detto: «I commenti riflettono l’elevatissima posta in gioco ma non sono basati su dati di intelligence recenti né su nuove indicazioni sul fatto che Putin abbia preso la decisione di usare armi nucleari. Non abbiamo alcuna indicazione che abbia preso questo genere di decisione, né abbiamo visto qualcosa che ci spinga a riconsiderare la nostra postura nucleare strategica nei nostri sforzi a difesa dei nostri interessi in campo di sicurezza nazionale».
Oggi si terrà una riunione del Consiglio di sicurezza russo (38 membri), presente anche il presidente Vladimir Putin. Di sicuro ci saranno il primo ministro, i presidenti delle due camere (Consiglio federale e Duma di stato), il capo dello staff di Putin, tre ministri (Difesa, Esteri e Interno), i direttori di Fsb, Svr, Guardia russa e il segretario del Consiglio. Si discuterà della guerra e di quanto accaduto sul ponte di Crimea; tuttavia, potrebbe essere anche l’occasione per annunciare nuovi cambiamenti all’interno dello Stato russo. Quali? Il canale Telegram della Compagnia militare privata Wagner, di proprietà dell’oligarca Yevgeny Prigozhin, fedelissimo di Putin, da giorni ha preso di mira il ministro della Difesa Sergeij Shoigu e il capo di Stato maggiore, Valerij Gerasimov, entrambi accusati pubblicamente dal leader ceceno Razman Kadyrov e dallo stesso Prigozhin di essere i responabili anche del tracollo avvenuto durante la controffensiva ucraina. Secondo quanto affermato, Shoigu e Gerasimov verrebbero sostituiti con il governatore di Tula Alexey Dyumin e il vice comandante in capo delle forze di terra, il tenente generale Alexander Matovnikov. In serata si è appreso, attraverso il governatore Serhiy Gaidai, che l’esercito ucraino ha riconquistato sette nuovi insediamenti nella regione orientale di Lugansk, proprio quella annessa alla Russia la scorsa settimana.
Continua a leggereRiduci
«Persone stupide non comprendono la potenza nucleare»: appello a trattative urgenti dell’ex presidente, da sempre più anti Putin di Joe Biden. Anche i conservatori, in testa ai sondaggi, premono perché gli Stati Uniti riprendano il loro ruolo nella deterrenza bellica.Bombe su Zaporizhzhia come rappresaglia. A Mosca alcuni ministri sono a rischio.Lo speciale contiene due articoli.«Ora abbiamo una guerra tra Russia e Ucraina con potenzialmente centinaia di migliaia di morti. Dobbiamo iniziare immediatamente a negoziare per una fine pacifica della guerra in Ucraina o finiremo nella terza guerra mondiale, e non rimarrà più niente del nostro pianeta, perché persone stupide non comprendono la potenza nucleare». Così Donald Trump si è espresso sabato, durante un comizio in Nevada. Ora, prima che qualcuno cominci a dire che l’ex presidente Usa è un filorusso, vale la pena di fare qualche precisazione. Ad aprile, Trump definì la guerra in Ucraina un «genocidio». Inoltre, per quanto da presidente avesse avuto un rapporto personale cordiale con Vladimir Putin, non ha mai portato avanti una politica filorussa. Era dicembre 2019, quando inflisse sanzioni al Nord Stream 2: gasdotto caldeggiato invece da Mosca e Berlino. Sempre Trump aveva del resto criticato la Germania per la sua eccessiva dipendenza energetica dalla Russia. Era invece maggio 2018 quando si sfilò dal controverso accordo sul nucleare iraniano: accordo appoggiato da Bruxelles e Mosca. Tra l’altro, andrebbe rammentato che è stato proprio Joe Biden a tentare di rilanciare l’intesa sul nucleare e a togliere le sanzioni al Nord Stream 2: tutto questo, senza ottenere alcuna contropartita concreta da Putin. Se c’è quindi qualcuno che è tacciabile di appeasement verso il leader russo (soprattutto tra aprile e luglio dell’anno scorso), quello è proprio Biden. Trump, di contro, ha costantemente lavorato, con Mike Pompeo, per un’efficace strategia di deterrenza verso gli avversari degli Usa. D’altronde, sarà un caso: ma Putin ha aggredito l’Ucraina sempre quando nello studio ovale sedevano presidenti dem (nel 2014, ai tempi di Barack Obama, e nel 2022 con Biden). Detto en passant: appena quattro giorni prima dell’invasione russa, Kamala Harris affermò che la strategia di deterrenza della Casa Bianca stava funzionando. Tuttavia le parole pronunciate sabato da Trump sono rivolte anche alla politica interna. L’8 novembre si terranno le elezioni di metà mandato e, secondo i sondaggi, i repubblicani riprenderanno quasi certamente il controllo almeno della Camera. Ebbene, un grosso punto interrogativo riguarda proprio l’impatto della crisi ucraina sugli umori degli elettori. Secondo un recente sondaggio Ipsos, circa tre quarti degli americani sono favorevoli a mantenere il sostegno a Kiev. Larga parte del Partito repubblicano è di quest’idea. Le incognite sorgono tuttavia sotto due aspetti: gli impatti indiretti della crisi ucraina e le modalità di aiuto a Kiev.Quanto agli impatti indiretti, il dossier principale è il caro energia: un nodo che si sta ripresentando dopo la recente decisione dell’Opec di tagliare la produzione di petrolio. Si tratta di un grattacapo che rischia di affossare Biden e i dem nelle settimane immediatamente precedenti al voto. Inoltre, il suddetto sondaggio Ipsos registra che il 58% degli americani teme uno scontro nucleare con Mosca. In secondo luogo, c’è la questione della modalità di aiuto agli ucraini. Sebbene gran parte dei repubblicani abbia votato a favore dei pacchetti di sostegno a Kiev, alcuni settori conservatori stanno lanciando allarmi. E non ci riferiamo solo alla minoranza isolazionista che considera trascurati i dossier di politica interna (come il controllo della frontiera a Sud). No: ci riferiamo anche a figure istituzionali. È per esempio il caso del presidente della Heritage Foundation, Kevin Roberts. «Heritage ha sostenuto e continua a sostenere un aiuto militare responsabile all’Ucraina. Ma la politica estera dovrebbe garantire ciò che è meglio per i contribuenti americani e fornire risultati, non solo gettare soldi su un problema, senza una strategia, senza un piano e senza un obiettivo finale», ha scritto in un recente editoriale. Heritage è il principale think tank conservatore americano e, oltre ad aver sempre espresso posizioni critiche verso il Cremlino, esercita storicamente una forte influenza sul Partito repubblicano. Lo stesso Pompeo, da sempre pro Ucraina, ha biasimato le parole di Biden sull’Armageddon, sostenendo di sperare che la Casa Bianca stia usando la «diplomazia silenziosa» per dissuadere Putin dall’uso di armi nucleari. Tutto ciò non vuol quindi dire che, se i repubblicani riprenderanno il Congresso, l’Ucraina sarà abbandonata a sé stessa. Significa, semmai, che spingeranno probabilmente Biden a una spesa più attenta e a elaborare una strategia maggiormente coerente: una strategia che cerchi di ripristinare innanzitutto la deterrenza perduta. Un passo, questo, fondamentale se si vuole cercare di uscire dalla crisi, evitando uno scenario nucleare.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/trump-negoziati-subito-russi-ucraini-2658417020.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="stampa-americana-e-putin-daccordo-ce-kiev-dietro-lattentato-al-ponte" data-post-id="2658417020" data-published-at="1665351083" data-use-pagination="False"> Stampa americana e Putin d’accordo: «C’è Kiev dietro l’attentato al ponte» A quarantotto ore dall’attacco al ponte di Crimea sono ancora molte le domande su come si sono svolti realmente i fatti. È stato davvero un camion bomba? Oppure è stato lanciato un missile Mgm-140 (Atacms)? E chi è stato? Le parti si accusano reciprocamente: secondo Mykhailo Podolyak, consigliere del presidente ucraino Volodymyr Zelensky, quanto accaduto al ponte di Kerch sarebbe «una manifestazione del conflitto tra le forze di sicurezza russe, in particolare tra l’Fsb (i servizi di sicurezza interni) da un lato e il ministero della Difesa e lo Stato maggiore dall’altro». I russi invece non hanno dubbi sul fatto che ad attaccare il ponte simbolo della annessione della Crimea alla Russia sia stata una squadra speciale dello Sbu, il servizio segreto di Kiev. Il presidente russo Vladimir Putin ha affermato che chi ha fatto esplodere il ponte di Crimea sono «i servizi speciali dell’Ucraina», che hanno commesso «un atto di terrorismo». Il New York Times ha riferito che un alto funzionario ucraino protetto dall’anonimato ha dichiarato: «L’intelligence ucraina ha partecipato all’esplosione». Le autorità russe, che nel frattempo hanno istituito una commissione d’inchiesta per far luce sui fatti, hanno anche ordinato ai sommozzatori della Marina militare «di esaminare l’entità dei danni causati dalla potente esplosione di un camion bomba». I sub hanno iniziato a lavorare ieri mattina alle 6 (le 5 in Italia), mentre i risultati di un’indagine più dettagliata dei danni dovrebbe essere disponibile già nella giornata odierna. Dell’attacco ha parlato il governatore della Crimea insediato dal Cremlino, Sergei Aksyonov, che ha dichiarato: «Naturalmente si sono scatenate le emozioni e c’è un sano desiderio di vendetta. La situazione è gestibile: è spiacevole, ma non fatale». Una prima risposta russa è arrivata l’altra notte con i 12 attacchi contro Zaporizhzhia che hanno interessato una serie di aree residenziali: il bilancio provvisorio parla di almeno 17 morti (ci sono bambini) e 87 feriti. Del bombardamento ha parlato il ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba che su Twitter ha chiesto nuove armi all’Occidente: «Abbiamo urgente bisogno di più moderni sistemi di difesa aerea e missilistica per salvare vite innocenti. Invito i partner ad accelerare le consegne». A lui ha risposto Aleksei Polishchuk, direttore del secondo dipartimento per la Csi al ministero degli Esteri russo, che alla Tass ha affermato: «Le consegne da parte dell’Occidente a Kiev di armi a lungo raggio o più potenti diventeranno una linea rossa per la Russia». Di armi (quelle atomiche) ha parlato alla Abc il portavoce del Consiglio di sicurezza della Casa Bianca John Kirby che sulle recenti dichiarazioni del presidente Usa, Joe Biden, sul rischio di un Armageddon atomico ha detto: «I commenti riflettono l’elevatissima posta in gioco ma non sono basati su dati di intelligence recenti né su nuove indicazioni sul fatto che Putin abbia preso la decisione di usare armi nucleari. Non abbiamo alcuna indicazione che abbia preso questo genere di decisione, né abbiamo visto qualcosa che ci spinga a riconsiderare la nostra postura nucleare strategica nei nostri sforzi a difesa dei nostri interessi in campo di sicurezza nazionale». Oggi si terrà una riunione del Consiglio di sicurezza russo (38 membri), presente anche il presidente Vladimir Putin. Di sicuro ci saranno il primo ministro, i presidenti delle due camere (Consiglio federale e Duma di stato), il capo dello staff di Putin, tre ministri (Difesa, Esteri e Interno), i direttori di Fsb, Svr, Guardia russa e il segretario del Consiglio. Si discuterà della guerra e di quanto accaduto sul ponte di Crimea; tuttavia, potrebbe essere anche l’occasione per annunciare nuovi cambiamenti all’interno dello Stato russo. Quali? Il canale Telegram della Compagnia militare privata Wagner, di proprietà dell’oligarca Yevgeny Prigozhin, fedelissimo di Putin, da giorni ha preso di mira il ministro della Difesa Sergeij Shoigu e il capo di Stato maggiore, Valerij Gerasimov, entrambi accusati pubblicamente dal leader ceceno Razman Kadyrov e dallo stesso Prigozhin di essere i responabili anche del tracollo avvenuto durante la controffensiva ucraina. Secondo quanto affermato, Shoigu e Gerasimov verrebbero sostituiti con il governatore di Tula Alexey Dyumin e il vice comandante in capo delle forze di terra, il tenente generale Alexander Matovnikov. In serata si è appreso, attraverso il governatore Serhiy Gaidai, che l’esercito ucraino ha riconquistato sette nuovi insediamenti nella regione orientale di Lugansk, proprio quella annessa alla Russia la scorsa settimana.
iStock
La reazione di tanti è però ambigua, come è nella natura degli italiani, scaltri e navigati, e di chi ha uso di mondo. Bello in via di principio ma in pratica come si fa? Tecnicamente si può davvero lasciare loro lo smartphone ma col «parental control» che inibisce alcuni social, o ci saranno sotterfugi, scappatoie, nasceranno simil-social selvatici e dunque ancora più pericolosi, e saremo punto e daccapo? Giusto il provvedimento, bravi gli australiani ma come li tieni poi i ragazzi e le loro reazioni? E se poi scappa il suicidio, l’atto disperato, o il parricidio, il matricidio, del ragazzo imbestialito e privato del suo super-Io in display; se i ragazzi che sono fragili vengono traumatizzati dal divieto, i governi, le autorità non cominceranno a fare retromarcia, a inventarsi improbabili soluzioni graduali, a cominciare coi primi distinguo che poi vanificano il provvedimento? E poi, botta finale: è facile concepire queste norme restrittive quando non si hanno ragazzini in casa, o pretendere di educare gli educatori quando si è ben lontani da quelle gabbie feroci che sono le aule scolastiche! Provate a mettervi nei nostri panni prima di fare i Catoni da remoto!
Avete ragione su tutto, ma alla fine se volete tentare di guidare un po’ il futuro, se volete aiutare davvero i ragazzi, se volete dare e non solo subire la direzione del mondo, dovete provare a non assecondarli, a non rifugiarvi dietro il comodo fatalismo dei processi irreversibili, e dunque il fatalismo dei sì, perché sono assai più facili dei no. Ma qualcosa bisogna fare per impedire l’istupidimento in tenera età e in via di formazione degli uomini di domani. Abbiamo una responsabilità civile e sociale, morale e culturale, abbiamo dei doveri, non possiamo rassegnarci al feticcio del fatto compiuto. Abbiamo criticato per anni il pigro conformismo delle società arcaiche che ripetevano i luoghi comuni e le pratiche di vita semplicemente perché «si è fatto sempre così». E ora dovremmo adottare il conformismo altrettanto pigro, e spesso nocivo, delle società moderne e postmoderne con la scusa che «lo fanno tutti oggi, e non si può tornare indietro». Di questa decisione australiana io condivido lo spirito e la legge; ho solo un’inevitabile allergia per i divieti, ma in questi casi va superata, e un’altrettanto comprensibile diffidenza sull’efficacia e la durata del provvedimento, perché anche in Australia, perfino in Australia, si troveranno alla fine i modi per aggirare il divieto o per sostituire gli accessi con altri. Figuratevi da noi, a Furbilandia. Ma sono due perplessità ineliminabili che non rendono vano il provvedimento che resta invece necessario; semmai andrebbe solo perfezionato.
Il problema è la dipendenza dai social, e la trasformazione degli accessi in eccessi: troppe ore sui social, e questo vale anche per gli adulti e per i vecchi, un po’ come già succedeva con la televisione sempre accesa ma con un grado virale di attenzione e di interattività che rende lo smartphone più nocivo del già noto istupidimento da overdose televisiva.
Si perde la realtà, la vita vera, le relazioni e le amicizie, le esperienze della vita, l’esercizio dell’intelligenza applicata ai fatti e ai rapporti umani, si sterilizzano i sentimenti, si favorisce l’allergia alle letture e alle altre forme socio-culturali. È un mondo piccolo, assai più piccolo di quello descritto così vivacemente da Giovannino Guareschi, che era però pieno di umanità, di natura, di forti passioni e di un rapporto duro e verace con la vita, senza mediazioni e fughe; ma anche con il Padreterno e con i misteri della fede. Quel mondo iscatolato in una teca di vetro di nove per sedici centimetri è davvero piccolo anche se ha l’apparenza di portarti in giro per il mondo, e in tutti i tempi. Sono ipnotizzati dallo Strumento, che diventa il tabernacolo e la fonte di ogni luce e di ogni sapere, di ogni relazione e di ogni rivelazione; bisogna spezzare l’incantesimo, bisogna riprendere a vivere e bisogna saper farne a meno, per alcune ore del giorno.
La stupida Europa che bandisce culti, culture e coltivazioni per imporre norme, algoritmi ed espianti, dovrebbe per una volta esercitarsi in una direttiva veramente educativa: impegnarsi a far passare la legge australiana anche da noi, magari più circostanziata e contestualizzata. L’Europa può farlo, perché non risponde a nessun demos sovrano, a nessuna elezione; i governi nazionali temono troppo l’impopolarità, le opposizioni e la ritorsione dei ragazzi e dei loro famigliari in loro soccorso o perché li preferiscono ipnotizzati sul video così non richiedono attenzioni e premure e non fanno danni. Invece bisogna pur giocare la partita con la tecnologia, favorendo ciò che giova e scoraggiando ciò che nuoce, con occhio limpido e mente lucida, senza terrore e senza euforia.
Mi auguro anzi che qualcuno in grado di mutare i destini dei popoli, possa concepire una visione strategica complessiva in cui saper dosare in via preliminare libertà e limiti, benefici e sacrifici, piaceri e doveri, che poi ciascuno strada facendo gestirà per conto suo. E se qualcuno dirà che questo è un compito da Stato etico, risponderemo che l’assenza di limiti e di interesse per il bene comune, rende gli Stati inutili o dannosi, perché al servizio dei guastatori e dei peggiori o vigliaccamente neutri rispetto a ciò che fa bene e ciò che fa male. È difficile trovare un punto di equilibrio tra diritti e doveri, tra libertà e responsabilità, ma se gli Stati si arrendono a priori, si rivelano solo inutili e ingombranti carcasse. Per evitare lo Stato etico fondano lo Stato ebete, facile preda dei peggiori.
Continua a leggereRiduci
Ecco #DimmiLaVerità dell'11 dicembre 2025. Con il nostro Fabio Amendolara commentiamo gli ultimi sviluppi del caso Garlasco.
L'amministratore delegato di SIMEST Regina Corradini D’Arienzo (Imagoeconomica)
SIMEST e la Indian Chamber of Commerce hanno firmato un Memorandum of Understanding per favorire progetti congiunti, scambio di informazioni e nuovi investimenti tra imprese italiane e indiane. L'ad di Simest Regina Corradini D’Arienzo: «Mercato chiave per il Made in Italy, rafforziamo il supporto alle aziende».
Nel quadro del Business Forum Italia-India, in corso a Mumbai, SIMEST e Indian Chamber of Commerce (ICC) hanno firmato un Memorandum of Understanding per consolidare la cooperazione economica tra i due Paesi e facilitare nuove opportunità di investimento bilaterale. La firma è avvenuta alla presenza del ministro degli Esteri Antonio Tajani e del ministro indiano del Commercio e dell’Industria Piyush Goyal.
A sottoscrivere l’accordo sono stati l’amministratore delegato di SIMEST, Regina Corradini D’Arienzo, e il direttore generale della ICC, Rajeev Singh. L’intesa punta a mettere in rete le imprese italiane e indiane, sviluppare iniziative comuni e favorire l’accesso ai rispettivi mercati. Tra gli obiettivi: promuovere progetti congiunti, sostenere gli investimenti delle aziende di entrambi i Paesi anche grazie agli strumenti finanziari messi a disposizione da SIMEST, facilitare lo scambio di informazioni e creare un network stabile tra le comunità imprenditoriali.
«L’accordo conferma la volontà di SIMEST di supportare gli investimenti delle imprese italiane in un mercato chiave come quello indiano, sostenendole con strumenti finanziari e know-how dedicato», ha dichiarato Corradini D’Arienzo. L’ad ha ricordato che l’India è tra i Paesi prioritari del Piano d’Azione per l’export della Farnesina e che nel 2025 SIMEST ha aperto un ufficio a Delhi e attivato una misura dedicata per favorire gli investimenti italiani nel Paese. Un tassello, ha aggiunto, che rientra nell’azione coordinata del «Sistema Italia» guidato dalla Farnesina insieme a CDP, ICE e SACE.
SIMEST, società del Gruppo CDP, sostiene la crescita internazionale delle imprese italiane – in particolare le PMI – lungo tutto il ciclo di espansione all’estero, attraverso export credit, finanziamenti agevolati, partecipazioni al capitale e investimenti in equity.
Continua a leggereRiduci