2025-06-20
Elkann affossa Trump sui suoi giornali. Ma alla Casa Bianca diventa «zerbino»
Donald Trump e John Elkann alla Casa Bianca (Getty Images)
La surreale presenza della Juventus nello Studio Ovale mentre il tycoon parla del conflitto in Medio Oriente. Quarantasette morto che parla. Guardando la foto ricordo Paolo Zampolli avrà rischiato l’infarto. Studio Ovale, il suo amico Donald Trump al centro, dietro la Juventus schierata ad anfiteatro e a fianco John Elkann con una maglia bianconera da regalare al presidente americano. Numero 47. Qui «my Paolo», imprenditore italianissimo investito dalla Casa Bianca del ruolo di esperto in affari italiani ha avuto un sussulto perché alla smorfia il 47 significa «il morto che parla tornato dall’aldilà per dare i numeri del Lotto». Trovata troppo originale per Jaki con sorriso da paresi facciale; in realtà The Donald è il 47° presidente, tutto è rigorosamente aritmetico. Ma il doppio senso rimane.Nell’incontro a sorpresa fra due poteri forti (quello trumpiano e quello juventino) sono numerosi i momenti surreali. Sembra di essere dentro un meme studiato dall’Intelligenza Artificiale. Il tycoon, in cravatta giallo limone intonata con la fetta di polenta in testa, sa zero di calcio ma cento di comunicazione e i 16 minuti dedicati alla Coppa del Mondo di club sono puro teatro. Il tutto organizzato dal presidente Fifa Gianni Infantino (interista dichiarato) per lanciare il torneo anche nella capitale, all’ombra della White House. Se quei muri potessero parlare. Nello Studio Ovale tutto è cambiato; con John Kennedy e Bill Clinton era un boudoir, con Joe Biden una Rsa mascherata. Nell’era Trump è diventato un impianto sportivo polifunzionale. Dopo aver ospitato un incontro di lotta libera (con Volodymyr Zelensky) e uno di boxe (con Elon Musk), non poteva mancare la partita di pallone. Un buon allenamento per l’esordio juventino nel mondiale, cinque gol agli arabi emiratini dell’Al Ain, forse la squadra più scarsa del lotto anche se Trump la presenta così: «Gli arabi spendono tanti soldi, quindi saranno forti».Il presidente ha altro per la testa, i giornalisti presenti alla conferenza stampa anche. Piovono quesiti sull’attacco di Israele, sull’atomica dell’Iran, sul rischio di un conflitto mondiale. I giocatori bianconeri, impettiti come corazzieri alle spalle di Trump, non muovono un muscolo. Federico Gatti fissa la nuca repubblicana più importante del mondo con un certo imbarazzo e Giorgio Chiellini lancia sguardi persi al ritratto di Ronald Reagan sulla parete di fronte. Trump spara una domanda a bruciapelo: «Dove sono i due grandi calciatori americani fra voi?». Timothy Weah e Weston McKennie si presentano, lui stringe loro la mano e aggiunge «spero che sarete i migliori in campo».The Donald ha parole di miele per Elkann (l’accordo con Chrysler inventato da Sergio Marchionne è ancora vivo) e lo definisce «un fantastico uomo d’affari. Penso che sia proprietario da tanto tempo, il più longevo di ogni squadra sportiva. Ha fatto un ottimo lavoro nell’industria automotive, arriva da una dinastia di vincenti». Una sviolinata sufficiente a mandare ai matti Carlo Calenda, che su Facebook fa la recensione: «Elkann con il sorriso da clown e la magliettina su misura offerta a Trump mentre lui parla di bombardamenti e altre amenità. Un incontro direi umiliante per l’Italia. Troverete su La Stampa e su Repubblica che quotidianamente attaccano Trump un duro monito per Elkann? Magari domani…». La domanda è retorica; chi nei decenni d’oro dell’Avvocato Agnelli non ha mai trovato una parola negativa neppure per l’Arna o la Duna non si stupisce di sicuro. La stilettata arriva ai quotidiani più woke d’Italia, colpiti nel cuore di panna arcobaleno. Avviene quando Trump chiede ai giocatori: «Fareste giocare le donne nella vostra squadra?». Dusan Vlahovic fischietta, McKennie si inabissa. È il nuovo dg Damien Comolli a togliere tutti d’impaccio: «Abbiamo la nostra squadra femminile che è molto forte». Ma il presidente fa pressing alto meglio del Barcellona e insiste: «Certo. Ma immagino che non le fareste giocare insieme con voi. Ragazzi, ditemi cosa ne pensate». I volti assumono l’espressione digito-interrogativa di uno studente della maturità al quale viene domandato di spiegare la diatriba stoico-cinica. Trump chiude il sipario: «Vabbè, vedo che siete diplomatici».La questione transgender in America è ancora sul tavolo, la ferita non è chiusa e il ricordo dei soprusi di atleti maschi come Lia Thomas a falsare gare di nuoto femminili con il 42 pinnato di piede è umiliante per il sistema sportivo. Come dovrebbe esserlo la vicenda di Imane Khelif, la superpugile dal sesso misterioso che prese a cazzotti le ragazze alle Olimpiadi di Parigi. Ma in Europa l’ipocrisia Lgbtq+ è ancora orgogliosamente in auge.Ai giornalisti, della Coppa del Mondo di calcio non interessa un fico. Ci sono cittadini americani da evacuare da Israele? Pensa che il regime iraniano possa cadere? Se il regime crolla, ha un’idea del dopo? «Ho un piano per tutto», risponde il presidente. Igor Tudor lo guarda, magari ce l’avesse anche lui. Si torna ai bombardamenti, e i missili non sono quelli di Manuel Locatelli su punizione. Trump parla anche di clandestini al confine. «Le persone devono entrare legalmente come quelle che stanno dietro di me. Devono dire che amano il nostro paese, sennò non le vogliamo». Ora la Juventus non è un ospite, è un fondale. Il presidente fa l’ultima battuta ai bianconeri: «Noi abbiamo gli aerei invisibili, a voi piacerebbe essere invisibili e non perdere mai». L’augurio è double-face come il 47 della maglietta. Fuori Belgrado, durante la guerra dei Balcani, un gruppo di ragazzi serbi danzava attorno a uno Stealth abbattuto mostrando lo striscione: «Era un caccia invisibile, scusate». Nel calcio si chiama autogol.
La battaglia sul campo, i casi di corruzione e il futuro di un conflitto senza fine. Con la partecipazione del generale Antonio Li Gobbi.
Giorgia Meloni e Sergio Mattarella (Ansa)
Francesco Saverio Garofani (Imagoeconomica)