2025-07-19
Trump fa l’offeso con la base Maga ma chiede di rilasciare i file di Epstein
Donald Trump (Getty Images)
Il «Wall Street Journal» rivela una presunta lettera oscena del tycoon indirizzata al finanziere. Il presidente la derubrica a fake: «Faccio causa al giornale». Poi se la prende coi suoi: «Non voglio più il vostro sostegno».Per Donald Trump un nuovo record è dietro l’angolo: diventare il primo «populista» che odia il suo popolo. La fogna a orologeria dello scandalo Epstein continua a perseguitarlo, e ad agitarsi più di tutti sono i suoi (ex?) elettori di Maga (Make America great again), che chiedono trasparenza assoluta. Il presidente da un lato sostiene che darà presto ordine al procuratore Pam Bondi di rendere pubbliche tutte le carte, compresa la fantomatica lista dei clienti delle prostitute procacciate da Jeffrey Epstein, ma dall’altro attacca la base repubblicana. «Siete supporter del passato, non voglio più il vostro sostegno», ha scritto furibondo sui social. La carta migliore in mano a Trump, che di Epstein è stato amicone e che al fascino femminile è notoriamente sempre stato sensibile, non ha a che fare con i troppi segreti di una storia che ha visto il suo protagonista morire in carcere, ufficialmente per suicidio. È semplicemente una considerazione logica: «Se nel fascicolo su Epstein ci fosse stata una “pistola fumante”, perché i democratici, che hanno controllato i “dossier” per quattro anni, non l’hanno usata?». Trump, dopo aver tirato indirettamente in ballo Joe Biden, si risponde da solo: «Perché non avevano nulla!». L’altro asso calato dal presidente Usa è invece una carta un po’ meno credibile, più che altro perché l’ha giocato già più volte senza risultati concreti. «A causa dell’assurda pubblicità data a Jeffrey Epstein», sostiene sulla piattaforma Truth , «ho chiesto alla procuratrice generale Pam Bondi di produrre qualsiasi testimonianza pertinente del gran giurì, previa approvazione della Corte. Questa truffa, perpetuata dai democratici, dovrebbe finire, subito!». Bondi ha immediatamente raccolto l’appello del capo della Casa Bianca e da X ha fatto sapere che il Dipartimento di Giustizia è pronto a chiedere alla corte di desecretare tutte le trascrizioni della giuria del processo Epstein. Il problema è che i giornali non mollano. Anche quelli conservatori, o comunque posseduti da grandi amici di Trump come Rupert Murdoch, che con il suo Wall Street Journal si beccherà una causa dall’inquilino della Casa Bianca. Colpa di una ricostruzione dello scandalo in cui si parla di una lettera che Trump avrebbe mandato a Epstein per il suo cinquantesimo compleanno. Farebbe parte di una specie di album rilegato con altre lettere e biglietti di augurio, spediti a Epstein e assemblato nel 2006. Nella missiva attribuita all’attuale presidente ci sarebbe un disegno volgarotto di donna e una frase finale che sembra fatta per innescare un incendio: «Buon compleanno e che ogni giorno possa essere un altro meraviglioso segreto». Giovedì, quando è uscito l’articolo, la reazione di Trump è stata un crescendo di rabbia. Il presidente ha immediatamente affermato che la lettera è falsa, attribuendo la fabbricazione di questa «bufala» ai democratici. Allo stesso Journal ha detto: «Non ho mai fatto un disegno in vita mia. Non disegno donne […] Non è il mio linguaggio. Non sono le mie parole». Dopo di che, l’uomo che non sapeva disegnare ha annunciato una causa miliardaria contro il quotidiano. Nel caos, non poteva mancare all’appello l’amico (a giorni alterni) Elon Musk, che ha difeso The Donald: «Il contenuto della lettera non sembra essere qualcosa che Trump direbbe». L’ex consigliere del presidente, però, quando litigò pubblicamente con lui non si fece mancare un’allusione pesante sullo scandalo. Era il 7 giugno, e in un post poi rimosso scrisse che il nome di Trump figurava nei documenti su Epstein e la moglie Ghislaine Maxwell. Le accuse di abusi sessuali su varie ragazze, tra le quali alcune minorenni, tutte da «offrire» a miliardari e uomini d’affari, sono diventate di dominio pubblico nel 2006, nel suo primo caso giudiziario finito con un patteggiamento. Poi fu di nuovo arrestato nel 2019, con accuse ancora più pesanti. Quando esplose lo scandalo, Trump fu caloroso e solidale nei confronti di Epstein, dicendo che lo conosceva da quando aveva 15 anni e che più che altro era «uno che si gode la vita». Ma quando trovarono l’amico Jeff senza vita, cambiò registro, chiese una «indagine esaustiva» e insinuò più volte che in quel sex gate potesse essere coinvolto l’odiato Bill Clinton.Da settimane, il demone della politicizzazione del caso Epstein sembra però fuori controllo. I repubblicani, Trump in testa, lo hanno usato contro i democratici, ma ora che il presidente parla diffusamente di «bufale», i Maga non rientrano nei ranghi e chiedono la totale disclosure degli Epstein file. Un politico di razza non li avrebbe affrontati di petto, perché gli elettori vanno sempre trattati bene, ma Trump è un uomo d’affari e ha reagito come se dei clienti lo avessero tradito. Così, pur promettendo di adoperarsi per una maggior trasparenza, ha attaccato i suoi fan più focosi, licenziandoli in tronco.Il problema è che in campagna elettorale aveva promesso che avrebbe fatto aprire all’Fbi tutti i cassetti sulla misteriosa morte di Epstein e sugli ospiti di quei festini. Invece, già prima di Natale, Trump aveva frenato: «Non è facile [...] si rischia di giocare con la vita di persone se ci sono cose false lì dentro, e quel mondo è pieno di cose false… Comunque, sì, i file li renderei pubblici». E a febbraio Pam Bondi garantiva: «Le carte sono sulla mia scrivania e non c’è nessuna lista».