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2020-10-06
Trump dimesso: «Sono ringiovanito». La campagna elettorale si riapre
Donald Trump (Tia Dufour/The White House/ Getty Images)
Donald Trump è stato dimesso ieri dall'ospedale. A riferirlo, lui stesso con un tweet. «Oggi alle 18:30 lascerò il grande Walter Reed Medical Center. Mi sento davvero bene! Non abbiate paura di Covid. Non lasciate che domini la vostra vita. Abbiamo sviluppato, sotto l'amministrazione Trump, alcuni farmaci e conoscenze davvero eccezionali. Mi sento meglio di 20 anni fa!». Un cauto ottimismo era del resto già stato espresso, alcune ore prima, dal capo dello staff della Casa Bianca, Mark Meadows, che aveva pronunciato parole di speranza. «Ho parlato con il presidente questa mattina», aveva detto. «Ha continuato a migliorare durante la notte ed è pronto per tornare a un normale programma di lavoro».
Nel frattempo, polemiche non sono mancate a causa del fatto che, domenica scorsa, Trump sia uscito temporaneamente dall'ospedale – in automobile e indossando una mascherina – per salutare alcuni sostenitori che si erano riuniti davanti al Walter Reed Medical Center. In particolare, le critiche si sono concentrate sui rischi sanitari che potrebbero aver corso gli agenti della sicurezza che hanno accompagnato il presidente nel suo breve giro automobilistico. Interpellato sulla questione, il dottor Anthony Fauci ha rifiutato ieri di commentare. Secondo quanto riferito dal sito Axios, il presidente sarebbe stato curato con Desametasone e Remdesivir: soprattutto l'utilizzo del primo – suggerisce la testata americana – potrebbe lasciar intendere che la situazione sanitaria dell'inquilino della Casa Bianca sia stata seriamente a rischio. Lo stesso Wall Street Journal ieri ha ipotizzato che potrebbero ancora esserci delle problematiche in corso.
Tuttavia che le condizioni di salute di Trump fossero migliorate è testimoniato dalla raffica di tweet elettorali che ha postato nella giornata di ieri («Legge e ordine! Votate»; «Il più forte esercito di sempre! Votate»; «Libertà religiosa! Votate»). Un atteggiamento ben diverso dal silenzio social di venerdì scorso, poche ore dopo aver contratto il coronavirus. L'inquilino della Casa Bianca ha anche pubblicato un video su Twitter, in cui, rivolgendosi ai propri sostenitori, ha detto di «aver imparato molto dal Covid». Notizie incoraggianti anche per la first lady, Melania Trump, che ieri ha dichiarato di sentirsi bene e di proseguire la convalescenza dalla Casa Bianca.
Resta per il momento ancora in forse il dibattito televisivo del 15 ottobre a Miami, che dovrebbe vedere nuovamente confrontarsi sul palco il presidente e il suo sfidante democratico, Joe Biden. Quest'ultimo ha confermato ieri la propria disponibilità a partecipare, purché – ha precisato – i medici diano parere favorevole in termini di sicurezza sanitaria. Dibattito meno in forse dovrebbe invece essere quello previsto per domani sera a Salt Lake City tra Mike Pence e Kamala Harris. L'attuale vicepresidente americano è risultato ieri negativo al tampone, mentre – da quanto si apprende – gli organizzatori del confronto televisivo avrebbero introdotto norme di distanziamento ancor più rigide di quelle stabilite in precedenza. Pence deve comunque stare particolarmente attento alla propria salute, dal momento che – finché Trump non sarà del tutto fuori pericolo – resta sul tavolo l'ipotesi di un trasferimento temporaneo dei poteri presidenziali (secondo quanto prescrive il XXV Emendamento). Del resto, che ci sia una certa preoccupazione su questo fronte è testimoniato anche dalle parole, pronunciate ieri, dal segretario di Stato americano, Mike Pompeo, secondo cui gli Stati Uniti sono «completamente preparati» contro eventuali «attori canaglia» che volessero agire durante la malattia di Trump.
Nel frattempo Biden sta proseguendo la campagna elettorale in Florida e Arizona, mentre resta nettamente in testa ai sondaggi, con una rilevazione Nbc/Wsj che lo dà 14 punti avanti a livello nazionale. Va tuttavia sottolineato che questo sondaggio sia antecedente alla notizia del contagio di Trump. E non è quindi ancora esattamente chiaro quale impatto la malattia del presidente avrà in termini di consensi elettorali. Secondo i critici, questo elemento affosserà Trump, reo – a loro dire – di aver gestito pessimamente l'emergenza sanitaria. Eppure non è escluso che possa passare anche un altro messaggio tra gli elettori americani: valutare positivamente, cioè, un presidente che – pur tra errori e mancanze – si è esposto, ci ha messo la faccia e che, anche per questo, si è alla fine infettato. Non è, in altre parole, del tutto escludibile un «effetto empatia», in grado di far leva soprattutto sul fatto che Biden – dall'altra parte – se ne sia stato per mesi rinchiuso in un seminterrato del Delaware. Quindi, prima di affidarci alle percentuali bulgare dei sondaggi, andiamoci piano. Perché questa «sorpresa di ottobre» potrebbe rivelarsi un'incognita scivolosa. Soprattutto per Joe Biden.
Giudice Barrett, nomina in bilico
Il Covid potrebbe far slittare la ratifica della nomina di Amy Coney Barrett alla Corte Suprema. Negli ultimi giorni, sono tre i senatori repubblicani risultati positivi al coronavirus: Ron Johnson, Mike Lee e Thom Tillis.
E proprio il processo di conferma della giudice –attualmente negativa al tampone– potrebbe adesso risentire delle conseguenze. Non dimentichiamo infatti che, in base a quanto prescrive la Costituzione, i componenti della Corte suprema siano nominati dal presidente previa approvazione del Senato. Un Senato che, pur essendo attualmente a maggioranza repubblicana, rischia adesso di non avere i numeri per approvare la ratifica. L'elefantino detiene infatti 53 seggi. E – oltre alla positività di Johnson, Lee e Tillis – due senatrici repubblicane, Susan Collins e Lisa Murkowski, avevano già fatto sapere di non essere intenzionate a sostenere la ratifica della Barrett prima del 3 novembre: giorno in cui si voterà per la Casa Bianca e per rinnovare un terzo del Senato.
Alla luce di tutto questo, i democratici – che non hanno mai digerito la Barrett per le sue posizioni critiche dell'aborto – hanno chiesto di ritardare il processo di approvazione. Per il momento, i lavori in plenaria della camera alta sono stati di fatto sospesi fino al 19 ottobre. La commissione Giustizia del Senato dovrebbe ciononostante riunirsi il 12 di questo mese, per avviare le audizioni della giudice. Il problema risiede nel fatto che tre giorni dopo – il 15– sia previsto il primo voto per ratificare la nomina. Ora, la commissione Giustizia ha 10 senatori democratici e 12 repubblicani: di questi ultimi, due (Tillis e Lee) risultano attualmente infettati. Come sottolineato dalla Cnn, il presidente della commissione, Lindsey Graham, ha estrema necessità che almeno uno dei due sia presente, per avere un quorum in grado di blindare la nomina della Barrett.
Insomma il rischio è che la ratifica possa slittare a dopo le elezioni del 3 novembre: esattamente quanto auspicato dal Partito democratico. Tra l'altro, nel caso in cui i tre senatori infetti non dovessero riprendersi rapidamente, alcuni rischi si configurerebbero anche in riferimento al voto in plenaria: soprattutto alla luce del fatto che anche alcuni senatori repubblicani attualmente sani risultino comunque dei «sorvegliati speciali» (è per esempio il caso di Chuck Grassley). Ricordiamo infatti che il vicepresidente Mike Pence possa intervenire solo in caso di parità.
I repubblicani ostentano comunque ottimismo e hanno ribadito che la tabella di marcia sarà rispettata. In particolare, si sta facendo strada l'ipotesi che l'audizione della Barrett possa avvenire per via telematica: un'idea che il capogruppo democratico al Senato, Chuck Schumer, ha respinto. Eppure, come ha polemicamente ricordato il senatore repubblicano Tom Cotton domenica scorsa, erano stati proprio i democratici a chiedere di lavorare tramite connessione elettronica durante la fase più buia della pandemia, per permettere al Congresso di proseguire le proprie attività.
Non si spengono frattanto le preoccupazioni per le condizioni di salute dei componenti dell'entourage presidenziale. La portavoce della Casa Bianca Kayleigh McEnany ha annunciato di aver contratto il Covid, pur non riscontrando al momento sintomi. Sempre ieri, è stato reso noto che il ministro della Giustizia, William Barr, si è sottoposto a un autoisolamento precauzionale. Una scelta probabilmente dettata dal contatto avuto, durante la presentazione della Barrett, con l'ex consigliera della Casa Bianca Kellyanne Conway, risultata di recente positiva al Covid. Come che sia, Barr – i cui tamponi si sono rivelati negativi negli scorsi giorni – avrebbe intenzione di tornare al lavoro già a metà di questa settimana. Al momento, gli altri ministri monitorati (Pompeo, Esper, Carson e Ross) risulterebbero fuori pericolo.
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Il presidente lascia l'ospedale militare: «Non lasciatevi dominare dalla paura del virus». Pure la first lady Melania è quasi guarita. Sondaggi, Joe Biden avanti ma ora teme l'«effetto empatia» per lo scampato pericoloRepubblicani falcidiati in Senato, il seggio in Corte suprema potrebbe essere votato dopo le elezioni del 3 novembre. Anche William Barr, ministro della Giustizia, in isolamentoLo speciale contiene due articoliDonald Trump è stato dimesso ieri dall'ospedale. A riferirlo, lui stesso con un tweet. «Oggi alle 18:30 lascerò il grande Walter Reed Medical Center. Mi sento davvero bene! Non abbiate paura di Covid. Non lasciate che domini la vostra vita. Abbiamo sviluppato, sotto l'amministrazione Trump, alcuni farmaci e conoscenze davvero eccezionali. Mi sento meglio di 20 anni fa!». Un cauto ottimismo era del resto già stato espresso, alcune ore prima, dal capo dello staff della Casa Bianca, Mark Meadows, che aveva pronunciato parole di speranza. «Ho parlato con il presidente questa mattina», aveva detto. «Ha continuato a migliorare durante la notte ed è pronto per tornare a un normale programma di lavoro». Nel frattempo, polemiche non sono mancate a causa del fatto che, domenica scorsa, Trump sia uscito temporaneamente dall'ospedale – in automobile e indossando una mascherina – per salutare alcuni sostenitori che si erano riuniti davanti al Walter Reed Medical Center. In particolare, le critiche si sono concentrate sui rischi sanitari che potrebbero aver corso gli agenti della sicurezza che hanno accompagnato il presidente nel suo breve giro automobilistico. Interpellato sulla questione, il dottor Anthony Fauci ha rifiutato ieri di commentare. Secondo quanto riferito dal sito Axios, il presidente sarebbe stato curato con Desametasone e Remdesivir: soprattutto l'utilizzo del primo – suggerisce la testata americana – potrebbe lasciar intendere che la situazione sanitaria dell'inquilino della Casa Bianca sia stata seriamente a rischio. Lo stesso Wall Street Journal ieri ha ipotizzato che potrebbero ancora esserci delle problematiche in corso. Tuttavia che le condizioni di salute di Trump fossero migliorate è testimoniato dalla raffica di tweet elettorali che ha postato nella giornata di ieri («Legge e ordine! Votate»; «Il più forte esercito di sempre! Votate»; «Libertà religiosa! Votate»). Un atteggiamento ben diverso dal silenzio social di venerdì scorso, poche ore dopo aver contratto il coronavirus. L'inquilino della Casa Bianca ha anche pubblicato un video su Twitter, in cui, rivolgendosi ai propri sostenitori, ha detto di «aver imparato molto dal Covid». Notizie incoraggianti anche per la first lady, Melania Trump, che ieri ha dichiarato di sentirsi bene e di proseguire la convalescenza dalla Casa Bianca. Resta per il momento ancora in forse il dibattito televisivo del 15 ottobre a Miami, che dovrebbe vedere nuovamente confrontarsi sul palco il presidente e il suo sfidante democratico, Joe Biden. Quest'ultimo ha confermato ieri la propria disponibilità a partecipare, purché – ha precisato – i medici diano parere favorevole in termini di sicurezza sanitaria. Dibattito meno in forse dovrebbe invece essere quello previsto per domani sera a Salt Lake City tra Mike Pence e Kamala Harris. L'attuale vicepresidente americano è risultato ieri negativo al tampone, mentre – da quanto si apprende – gli organizzatori del confronto televisivo avrebbero introdotto norme di distanziamento ancor più rigide di quelle stabilite in precedenza. Pence deve comunque stare particolarmente attento alla propria salute, dal momento che – finché Trump non sarà del tutto fuori pericolo – resta sul tavolo l'ipotesi di un trasferimento temporaneo dei poteri presidenziali (secondo quanto prescrive il XXV Emendamento). Del resto, che ci sia una certa preoccupazione su questo fronte è testimoniato anche dalle parole, pronunciate ieri, dal segretario di Stato americano, Mike Pompeo, secondo cui gli Stati Uniti sono «completamente preparati» contro eventuali «attori canaglia» che volessero agire durante la malattia di Trump. Nel frattempo Biden sta proseguendo la campagna elettorale in Florida e Arizona, mentre resta nettamente in testa ai sondaggi, con una rilevazione Nbc/Wsj che lo dà 14 punti avanti a livello nazionale. Va tuttavia sottolineato che questo sondaggio sia antecedente alla notizia del contagio di Trump. E non è quindi ancora esattamente chiaro quale impatto la malattia del presidente avrà in termini di consensi elettorali. Secondo i critici, questo elemento affosserà Trump, reo – a loro dire – di aver gestito pessimamente l'emergenza sanitaria. Eppure non è escluso che possa passare anche un altro messaggio tra gli elettori americani: valutare positivamente, cioè, un presidente che – pur tra errori e mancanze – si è esposto, ci ha messo la faccia e che, anche per questo, si è alla fine infettato. Non è, in altre parole, del tutto escludibile un «effetto empatia», in grado di far leva soprattutto sul fatto che Biden – dall'altra parte – se ne sia stato per mesi rinchiuso in un seminterrato del Delaware. Quindi, prima di affidarci alle percentuali bulgare dei sondaggi, andiamoci piano. Perché questa «sorpresa di ottobre» potrebbe rivelarsi un'incognita scivolosa. Soprattutto per Joe Biden.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/trump-dimesso-sono-ringiovanito-la-campagna-elettorale-si-riapre-2648106604.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="giudice-barrett-nomina-in-bilico" data-post-id="2648106604" data-published-at="1601924600" data-use-pagination="False"> Giudice Barrett, nomina in bilico Il Covid potrebbe far slittare la ratifica della nomina di Amy Coney Barrett alla Corte Suprema. Negli ultimi giorni, sono tre i senatori repubblicani risultati positivi al coronavirus: Ron Johnson, Mike Lee e Thom Tillis. E proprio il processo di conferma della giudice –attualmente negativa al tampone– potrebbe adesso risentire delle conseguenze. Non dimentichiamo infatti che, in base a quanto prescrive la Costituzione, i componenti della Corte suprema siano nominati dal presidente previa approvazione del Senato. Un Senato che, pur essendo attualmente a maggioranza repubblicana, rischia adesso di non avere i numeri per approvare la ratifica. L'elefantino detiene infatti 53 seggi. E – oltre alla positività di Johnson, Lee e Tillis – due senatrici repubblicane, Susan Collins e Lisa Murkowski, avevano già fatto sapere di non essere intenzionate a sostenere la ratifica della Barrett prima del 3 novembre: giorno in cui si voterà per la Casa Bianca e per rinnovare un terzo del Senato. Alla luce di tutto questo, i democratici – che non hanno mai digerito la Barrett per le sue posizioni critiche dell'aborto – hanno chiesto di ritardare il processo di approvazione. Per il momento, i lavori in plenaria della camera alta sono stati di fatto sospesi fino al 19 ottobre. La commissione Giustizia del Senato dovrebbe ciononostante riunirsi il 12 di questo mese, per avviare le audizioni della giudice. Il problema risiede nel fatto che tre giorni dopo – il 15– sia previsto il primo voto per ratificare la nomina. Ora, la commissione Giustizia ha 10 senatori democratici e 12 repubblicani: di questi ultimi, due (Tillis e Lee) risultano attualmente infettati. Come sottolineato dalla Cnn, il presidente della commissione, Lindsey Graham, ha estrema necessità che almeno uno dei due sia presente, per avere un quorum in grado di blindare la nomina della Barrett. Insomma il rischio è che la ratifica possa slittare a dopo le elezioni del 3 novembre: esattamente quanto auspicato dal Partito democratico. Tra l'altro, nel caso in cui i tre senatori infetti non dovessero riprendersi rapidamente, alcuni rischi si configurerebbero anche in riferimento al voto in plenaria: soprattutto alla luce del fatto che anche alcuni senatori repubblicani attualmente sani risultino comunque dei «sorvegliati speciali» (è per esempio il caso di Chuck Grassley). Ricordiamo infatti che il vicepresidente Mike Pence possa intervenire solo in caso di parità. I repubblicani ostentano comunque ottimismo e hanno ribadito che la tabella di marcia sarà rispettata. In particolare, si sta facendo strada l'ipotesi che l'audizione della Barrett possa avvenire per via telematica: un'idea che il capogruppo democratico al Senato, Chuck Schumer, ha respinto. Eppure, come ha polemicamente ricordato il senatore repubblicano Tom Cotton domenica scorsa, erano stati proprio i democratici a chiedere di lavorare tramite connessione elettronica durante la fase più buia della pandemia, per permettere al Congresso di proseguire le proprie attività. Non si spengono frattanto le preoccupazioni per le condizioni di salute dei componenti dell'entourage presidenziale. La portavoce della Casa Bianca Kayleigh McEnany ha annunciato di aver contratto il Covid, pur non riscontrando al momento sintomi. Sempre ieri, è stato reso noto che il ministro della Giustizia, William Barr, si è sottoposto a un autoisolamento precauzionale. Una scelta probabilmente dettata dal contatto avuto, durante la presentazione della Barrett, con l'ex consigliera della Casa Bianca Kellyanne Conway, risultata di recente positiva al Covid. Come che sia, Barr – i cui tamponi si sono rivelati negativi negli scorsi giorni – avrebbe intenzione di tornare al lavoro già a metà di questa settimana. Al momento, gli altri ministri monitorati (Pompeo, Esper, Carson e Ross) risulterebbero fuori pericolo.
In Toscana un laboratorio a cielo aperto, dove con Enel il calore nascosto della Terra diventa elettricità, teleriscaldamento e turismo.
L’energia geotermica è una fonte rinnovabile tanto antica quanto moderna, perché nasce dal calore naturale generato all’interno della Terra, sotto forma di vapore ad alta temperatura, convogliato attraverso una rete di vapordotti per alimentare le turbine a vapore che girando, azionano gli alternatori degli impianti di generazione. Si tratta di condotte chiuse che trasportano il vapore naturale dal sottosuolo fino alle turbine, permettendo di trasformare il calore terrestre in elettricità senza dispersioni. Questo calore, prodotto dai movimenti geologici naturali e dal gradiente geotermico determinato dalla profondità, può essere utilizzato per produrre elettricità, riscaldare edifici e alimentare processi industriali. La geotermia diventa così una risorsa strategica nella transizione energetica.
L’energia geotermica non dipende da stagionalità o condizioni climatiche: è continua e programmabile, dando un contributo alla stabilità del sistema elettrico.
Oggi la geotermia è riconosciuta globalmente come una delle tecnologie più affidabili e sostenibili: in Cile, Islanda, Nuova Zelanda, Stati Uniti, Filippine e molti altri Paesi questa filiera sta sviluppandosi vigorosamente. Ma è in Italia – e più precisamente in Toscana – che questa storia ha mosso i suoi primi passi.
La presenza dei soffioni boraciferi nel territorio di Larderello (Pisa), da sempre caratterizzato da manifestazioni naturali come vapori, geyser e acque termali, ha fatto intuire il valore energetico di quella forza invisibile. Già nel Medioevo erano attive piccole attività produttive basate sul contenuto minerale dei fluidi geotermici, ma è nel 1818 – grazie all’ingegnere francese François Jacques de Larderel – che avviene il primo utilizzo industriale. Il passaggio decisivo c’è però nel 1904, quando Piero Ginori Conti, sfruttando il vapore naturale, accende a Larderello le prime cinque lampadine: è la prima produzione elettrica geotermica al mondo, anticipando la nascita nel 1913 della prima centrale geotermoelettrica al mondo. Da allora questa tecnologia non ha mai smesso di evolversi, fino a diventare un laboratorio internazionale di ricerca e innovazione.
Attualmente, la Toscana rappresenta il cuore della geotermia nazionale: tra le province di Pisa, Grosseto e Siena Enel gestisce 34 centrali, per un totale di 37 gruppi di produzione che garantiscono una potenza installata di quasi 1.000 MW. Questi impianti generano ogni anno tra i 5,5 e i quasi 6 miliardi di kWh, pari a oltre un terzo del fabbisogno elettrico regionale e al 70% della produzione rinnovabile della Toscana.
Si tratta anche di uno dei più avanzati siti produttivi dal punto di vista tecnologico, che punta non allo sfruttamento ma alla coltivazione di questi giacimenti di energia. Nelle moderne centrali geotermiche, il vapore che ha già azionato le turbine – chiamato tecnicamente «vapore esausto» – non viene disperso nell'atmosfera, ma viene convogliato nelle torri refrigeranti, che con un processo di condensazione ritrasformano il vapore in acqua e lo reimmettono nei serbatoi naturali sotterranei attraverso pozzi di reiniezione.
Accanto alla dimensione produttiva, la geotermia toscana si distingue per la sua capacità di integrarsi nel tessuto sociale ed economico locale. Il calore geotermico residuo – dopo aver alimentato le turbine dell’impianto di generazione - è ceduto gratuitamente o a costi agevolati per alimentare reti di teleriscaldamento che raggiungono oltre 13.000 utenze, scuole, palazzetti, piscine e edifici pubblici, riducendo le emissioni e i consumi di combustibili fossili. Lo stesso calore sostiene attività agricole e artigianali, come serre per la coltivazione di fiori e ortaggi e aziende alimentari, che utilizzano questo calore «di scarto» invece di bruciare gas o gasolio. Persino la produzione di birra artigianale può beneficiare di questa fonte termica sostenibile!
Ma c’è dell’altro, perché questa integrazione tra energia e territorio si riflette anche sul turismo. Le zone geotermiche della cosiddetta «Valle del Diavolo», tra Larderello, Sasso Pisano e Monterotondo Marittimo, attirano ogni anno migliaia di visitatori. Musei, percorsi guidati e la possibilità di osservare da vicino fenomeni naturali e impianti di produzione, rendono il distretto un caso unico al mondo, dove la tecnologia convive con una geografia dominata da vapori e sorgenti naturali che affascinano da secoli viaggiatori e studiosi, creandoun’offerta turistica che vive grazie alla sinergia tra Enel, soggetti istituzionali, imprese, tessuto associativo e consorzi turistici.
Così, oltre un secolo dopo le prime lampadine illuminate dal vapore di Larderello, la geotermia continua ad essere una storia italiana che unisce ingegneria e paesaggio, sostenibilità e comunità. Una storia che prosegue guardando al futuro della transizione energetica, con una risorsa che scorre sotto ai nostri piedi e che il Paese ha imparato per primo a trasformare in energia e opportunità.
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Ecco #DimmiLaVerità del 18 dicembre 2025. Con il nostro Stefano Piazza facciamo il punto sul terrorismo islamico dopo la strage in Australia.