2022-01-25
Il «trucco» nei dati dell’Iss con cui giustificano obblighi e caccia ai no vax
Silvio Brusaferro, presidente dell'Istituto superiore di sanità (Ansa)
Nei bollettini una correzione statistica altera i risultati, fornendo i titoli a giornali e tg. Così si sparge paura anziché informazione.Invece di informare e chiarire la situazione epidemiologica, l’Istituto superiore della sanità fa confusione. E terrorizza. I dati dell’ultimo report, in data 21 gennaio, sono stati ripresi con grande enfasi perché segnalano che il tasso di mortalità, vale a dire la proporzione di deceduti tra i malati di Covid, nei non vaccinati è pari a 52,9 decessi per 100.000 abitanti. Una misura percentuale 33 volte più alta rispetto a quella dei vaccinati con booster (1,6).Non è così. L’Iss spalma il rischio sull’intera popolazione, fa una media pesata in base a età diverse e si giustifica dicendo che standardizza per la popolazione, sui dati Istat che bisogna andarsi a cercare perché non figurano nelle tabelle pubblicate. Portate pazienza, due spiegazioni e capirete subito come mai è inutile, anzi fuorviante il tasso totale della mortalità conteggiato in questo modo. Secondo i dati più aggiornati della sorveglianza integrata dei casi di infezione da Covid, al 12 dicembre scorso i non vaccinati in Italia erano 6.862.315, dei quali 1.774 morti per coronavirus. Facendo le proporzioni, stiamo parlando di 25,8 decessi per 100.000 abitanti. L’istituto che dipende dal ministero della Salute indica però una percentuale addirittura doppia, ben 52,9 morti e questo dato è stato dato in pasto all’opinione pubblica. Una stranezza, visto che per ciascuna fascia di età considerata il tasso di letalità è corretto, vale a dire 0,4 su 100.000 tra i non vaccinati del target 12 e 39 anni; 5,4 tra 40 e 59 anni; 63,9 tra 70 e 79 anni e 415,4 per gli over 80. Nel totale, il tasso di incidenza diventa 52,9 anziché 25,8 come da media aritmetica.Alla richiesta di chiarimento, l’Iss ha risposto che «la popolazione è standardizzata per età, come precisato nella nota 3 del report». Volevamo capirci meglio, e spiegarlo a voi, per questo abbiamo chiesto aiuto ancora una volta ad Antonello Maruotti, professore ordinario di statistica alla Lumsa. «Il tasso complessivo totale è calcolato sulla media pesata, in base ai dati Istat relativi alla popolazione del 1 gennaio 2021, non sui dati riportati nelle tabelle dell’Istituto superiore della sanità», precisa l’esperto. «Il valore 52.9 è statisticamente corretto, ma non esprime il rischio complessivo, è fuorviante». Secondo Maruotti, bisognava limitarsi a dare il tasso di mortalità per singola fascia di età, considerato che negli anziani i rischi sono normalmente più alti, infatti risultano deceduti per Covid quasi 64 su 100.000 non vaccinati tra 60 e 79 anni e 415 tra gli over 80. Ma sotto i 40 anni, ne sono morti lo 0,00040%. È utile sapere quanti muoiono, tra giovani e meno giovani, per comprendere anche l’utilità di imposizioni vaccinali, di misure e restrizioni, mentre offrire un mix di tutte le percentuali serve solo a alimentare la narrazione «no vax uguale sull’orlo della tomba». È come se uno dicesse che il Parkinson colpisce l’1% della popolazione, invece di specificare l’1% degli over 65.La comunicazione falsata prosegue pure nel presentare il tasso di mortalità per i vaccinati con terza dose, che appare 1,6 su 100.000 mentre a conti fatti, su una popolazione di 5.699.241 italiani con booster dei quali ne sono morti 215, il dato è 3,77. L’Iss fa apparire una mortalità dimezzata per coloro che fanno tre dosi, ma ancora una volta i numeri non corrispondono ai dati pubblicati. Questa non è informazione trasparente, sembra quasi tendenziosa. E che dire dell’indice di rischio relativo di mortalità per i non vaccinati, rispetto a quelli con booster fatto? Il dato indicato è 33,1, mentre a conti fatti risulta 6,85. Più corretto e utile sarebbe stato fermarsi al 20,6 nella fascia 60-79 anni, al 62,9 in quella over 80 ma allora «non faceva gioco» pro vaccino mostrare che tra i 40 e i 59 senza una dose il rischio relativo è appena 7,7.Due giorni fa abbiamo pubblicato i dati di Spagna e Scozia, mostrando come all’estero la situazione sia completamente diversa. Stando all’Iss, tra i non vaccinati italiani la mortalità da Covid è superiore di 33 volte e il rischio di finire in rianimazione è 40 volte più elevato, mentre nell’aggiornamento al 9 gennaio del ministero della Salute iberico, 1.093 over 80 vaccinati con doppia dose sono morti, rispetto a 456 non vaccinati. In terapia intensiva ce n’erano 96 con vaccino, 32 senza. Nella fascia 60-79 la conta dei deceduti immunizzati era 637 contro 329 senza vaccino, in terapia intensiva rispettivamente 913 e 630; in quella 30 -59 anni si contavano 129 morti vaccinati rispetto a 90 no vax, con l’unico dato a sfavore per i non vaccinati: 548 in rianimazione rispetto ai 415 vaccinati. Stiamo parlando di un Paese, la Spagna, dove l’80,6% della popolazione ha fatto la doppia dose. Il nostro ministero della Salute dovrebbe spiegare come mai la popolazione italiana, rispetto a quella spagnola, avrebbe una risposta immunitaria più potente all’inoculazione. Mettendo però dati chiari, non con totali fuorvianti. E come mai in Italia muoiono 215 persone con tre vaccinazioni anti Covid per ogni 1.774 no vax, se l’efficacia del vaccino nel prevenire la diagnosi di infezione da Sars-CoV-2 nei soggetti con dose aggiuntiva raggiungerebbe il 97,5%, mentre in Scozia, con il 75% della popolazione vaccinata, la proporzione è 39 decessi di persone con booster contro 56 non vaccinati, come segnala il report del 10 gennaio del Public health Scotland, l’agenzia governativa.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
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