
Ieri la giustizia italiana ha perso qualcosa di molto importante: la possibilità di alleviare, seppur di poco, il dolore dei danneggiati dal vaccino anti Covid, che aspettavano solo indagini a tutela del loro «fidarsi delle istituzioni» sbandierato durante la pandemia. E così la giustizia ha perso anche la possibilità di «consolare» i parenti di chi dopo il siero ha perso la vita, dimostrando che non tutto può essere sotterrato e coperto dal più indegno silenzio.
L’inchiesta con al centro l’ex ministro della Salute, Roberto Speranza, è stata infatti archiviata ieri dal tribunale dei Ministri. Le motivazioni sono racchiuse in 30 pagine che verranno rese pubbliche oggi. Tutti i pesanti reati contestati: commercio e somministrazione di medicinali imperfetti, somministrazione di farmaci in modo pericoloso, falso ideologico e persino l’omicidio sono stati cancellati con un colpo di spugna, senza neanche indagare. Una decisione accolta con soddisfazione dai legali dello stesso ex ministro: «È stata riconosciuta la correttezza della condotta di Speranza, volta esclusivamente alla difesa dell’interesse pubblico e del diritto alla salute dei cittadini». Mentre in serata è arrivata anche l’esultanza in prima persona sui social: «Ho sempre creduto che la verità sarebbe emersa. In una situazione difficilissima, ho dato tutto me stesso per salvare la vita delle persone, seguendo le indicazioni della comunità scientifica». Il deputato dem non ha perso l’occasione di attaccare la stampa: «Ho vissuto giorni non facili, anche per una vera e propria campagna d’odio, tuttora in corso, alimentata da alcuni organi di comunicazione. Oggi però voglio solo dire grazie».
Non condividono la sua gioia i manifestanti che ieri a Ostia hanno contestato Speranza , costringendo l’ex capo del dicastero a fuggire sotto scorta mentre la folla urlava «Assassino».
L’inchiesta sui cosiddetti «Aifaleakes» (i documenti interni dell’Aifa) condotta da Fuori dal coro di Mario Giordano e pubblicata sulla pagine della Verità, era confluita all’interno di un corposo studio fatto da diversi scienziati per dimostrare i pericoli dei vaccini anti Covid. I documenti interni dell’Aifa hanno portato alla luce come le informazioni sugli effetti avversi sono state volutamente celate per non creare panico. Altrimenti si correva il rischio, come scriveva Nicola Magrini, ex dg dell’Agenzia del farmaco, «di uccidere il vaccino». Eppure doveva essere più importante salvare le persone. Se la pericolosità del farmaco fosse stata resa pubblica, se la gravità degli eventi avversi non fosse stata coperta da un muro di omertà e menzogna, forse qualche vita si sarebbe potuta salvare.
Ma evidentemente tutto questo non è bastato a dare avvio a un semplice atto di democrazia e di tutela, non è bastato a convincere i giudici del tribunale dei ministri dell’importanza di dare avvio a delle semplici indagini.
«La giustizia è amministrata nel nome del popolo italiano?», si chiedono Angelo Di Lorenzo e Antonella Veneziano, gli avvocati dell’associazione «Ali», che hanno presentato la denuncia alla Procura di Roma. Nel loro lungo sfogo affidato ai social scrivono: «La giustizia italiana è morta insieme a quei danneggiati da vaccino che il sig. Speranza, da ministro della Salute, ha imposto a tutti e che oggi continuano a essere somministrati senza alcuna soluzione di continuità, a che ne dicono gli attuali governanti».
Per tutti i firmatari questa archiviazione rappresenta un duro colpo, così come per tutti quelli che rappresentano. Federica Angelini, presidente del Comitato Ascoltami, portavoce di oltre 4.000 danneggiati, commenta con parole molto dure quello che è successo. «Oggi sono morta», scrive sui social, «morta della stessa morte inflitta alla giustizia italiana. Mi sento disperata. Non esiste che la verità è stata calpestata e infangata da chi dovrebbe proteggerla».
Ad aver firmato la denuncia c’è anche l’ex senatrice Bianca Laura Granato e alcuni sindacati delle forze dell’ordine: Gianluca Salvatori per l’Associazione operatori sicurezza associati Aps, Pasquale Valente per il sindacato dei Finanzieri democratici e Antonio Porto, segretario generale nazionale Osa polizia. Antonio Porto, da tecnico investigativo, denuncia che il vero problema è che in Italia non si fanno le indagini: «Se nessuno indaga che tipo di giustizia si può ottenere?», ci dice. «Se le norme fossero state diverse la polizia giudiziaria avrebbe potuto acquisire elementi per valutare l’eventuale pericolosità del farmaco. La salute pubblica non può essere tutelata da una archiviazione».
Ora manca Nicola Magrini, ex direttore generale di Aifa, per lui a decidere sull’eventuale archiviazione delle indagini sarà la Procura di Roma.






