2023-09-08
Tribunale di Roma al rallentatore. Per i nuovi rinvii la scusa non regge
Nonostante la riforma Cartabia e il Pnrr, la Corte d’appello della capitale se la prende comoda. E dà la colpa al Covid. Peccato che i colleghi di Milano, con un organico inferiore, siano riusciti a velocizzare le procedure.Un tempo il tribunale di Roma veniva chiamato il porto delle nebbie. Ora il giusto soprannome potrebbe essere il porto dei rinvii, dal momento che ci sono cause iscritte al ruolo nel 2017, quindi sei anni fa, che non si sono ancora concluse e che anzi subiscono ancora rinvii. Nonostante la riforma Cartabia, che avrebbe dovuto velocizzare il processo civile, e nonostante il Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza) contenga misure specifiche per lo smaltimento dell’arretrato e la riduzione dei tempi di giudizio, alla Corte d’appello di Roma continuano a prendersela molto comoda. Il 4 settembre scorso, infatti, il presidente della sesta sezione civile, Emilio Norelli, ha comunicato il rinvio di diverse cause, la cui decisione era prevista per il 13 di settembre. Alcune, come detto, risultano iscritte dal 2017, 2018 e 2019, mentre altre sono di poco più recenti. A distanza di anche sei anni, insomma, ci sono ancora procedimenti inevasi che andranno a sentenza tra un anno.Il punto è come Norelli ha comunicato la decisione di rinviare. Oltre a sostenere che ce ne siano troppe per poterle trattare, nel testo della comunicazione firmata, si legge «considerata l’opportunità di evitare assembramenti e contatti ravvicinati tra le persone». In pratica Norelli arriva ad attaccarsi al Covid per giustificare l’incapacità della sua sezione di smaltire le cause pendenti. La considerazione è più che mai singolare, dal momento che l’emergenza per la pandemia da coronavirus è terminata da tempo. Nel maggio del 2023 è arrivata anche la comunicazione ufficiale dell’Oms, che ha decretato come terminata l’emergenza. Non solo. Non va dimenticato che siamo in presenza di processi civili, non penali, dove di solito non si vedono molte persone, se non gli avvocati di parte. Non va poi dimenticato che le difese sono sempre scritte e l’udienza di precisazione delle conclusioni è sempre disposta mediante scambio di note scritte, e non in presenza. Non solo. Tutte le cause rinviate, si legge nel provvedimento, vengono poi decise con la procedura del rito sommario (281 sexies cpc) che, di norma, è dedicata solo alle cause più semplici. È un dispositivo del codice di procedura civile che dovrebbe in teoria velocizzare l’arrivo della sentenza, ma in realtà, visti i tempi così dilatati (c’è anche un’udienza fissata nel febbraio del 2025), non se ne comprende la ragione.Con questa procedura, infatti, si comprimono le facoltà difensive perché gli avvocati non hanno la possibilità di utilizzare le memorie conclusionali e le repliche e la causa si decide praticamente solo alla stregua degli atti introduttivi. Non va poi dimenticato che, grazie alla riforma Cartabia, sono stati assunti migliaia di addetti all’ufficio del processo (Aupp) per consentire lo smaltimento dell’arretrato nel rispetto appunto del Pnrr. Vengono pagati 1.800 euro al mese, che comportano un costo per lo Stato quasi doppio. Sono circa 15 per ogni sezione di tribunale e di Corte. Eppure, nonostante queste nuove forze in campo, i giudici romani non solo non smaltiscono l’arretrato, ma addirittura differiscono le decisioni di diversi anni. Per comprendere la gravità della situazione basta confrontare i dati di questa sezione civile della Corte d’Appello di Roma, con quella di Milano. E serve una doverosa premessa. Nel capoluogo lombardo, secondo la rilevazione del ministero della Giustizia al primo febbraio 2019, si prevedevano per la Corte d’Appello di Milano 127 magistrati, di cui solo 115 effettivi, a fronte di una popolazione del distretto di 6.982.547 abitanti. Per Roma, nello stesso periodo, i magistrati erano invece 170, i cui effettivi 159, con una popolazione di 5.896.693. Anche Napoli ha più giudici di Milano, 156 magistrati di cui effettivi 135, con una popolazione di poco inferiore a quella di Roma, 5.826.860. Ebbene, a fronte di un organico nettamente inferiore rispetto ai carichi di lavoro da smaltire (per di più in una realtà complessa come quella milanese, che è la principale piazza finanziaria in Italia tra banche e fondi d’investimento), dal 2018 a oggi la prima sezione della Corte d’appello di Milano è riuscita ad abbassare la durata dei procedimenti civili. Se nel 2018 si arrivava a un massimo di 401 giorni, nel 2023 siamo già a una media di 225 giorni, ben inferiore alla durata di un anno. Non bisogna poi dimenticare che c’è stata anche la pandemia di mezzo. Ma Milano si è confermata una piazza virtuosa, dal momento che, sempre nel 2021, su 7.511 procedimenti pendenti i tempi di chiusura delle pratiche arrivavano a una media di 314 giorni, sempre al di sotto delle medie impressionanti di Roma. I dati sono pubblici. Il nostro giornale ha deciso di prendere come parametro una delle sezioni più oberate in Italia, che per di più ha negli ultimi anni affrontato cause complesse come quella del lodo arbitrale Blackstone-Urbano Cairo e che adesso dovrà esprimersi su caso Mps-Alexandria. La vicenda, che ha visto il fondo americano contro l’editore del Corriere della Sera sull’immobile di via Solferino a Milano, può essere un esempio utile per capire la velocità della sezione milanese. La prima udienza si è celebrata il primo dicembre del 2021 e la sentenza è stata pubblicata l’8 giugno 2022, appena sei mesi dopo. A Roma, con tutta probabilità, staremmo ancora aspettando.
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