2019-02-28
Tria mette a nudo la Germania: «Ci ha ricattati per le banche»
Per il ministro dell'Economia, il predecessore Fabrizio Saccomanni, «dovette piegarsi al collega tedesco sul bail in, altrimenti avrebbero diffuso la notizia che il nostro sistema bancario stava per fallire».Il Bullo corse a varare la norma che ha condannato i risparmiatori tre anni prima dei desiderata Ue.Lo speciale contiene due articoliForse è stato un lapsus freudiano. Oppure è il lato Mister Hyde che emerge carsicamente tra una presa di posizione pubblica e l'altra. L'uscita di ieri del ministro dell'Economia Giovanni Tria colpisce in pieno l'ex omologo del governo Letta, Fabrizio Saccomanni, e l'allora collega tedesco Wolfgang Schäuble. «Sull'introduzione del bail in», ha detto Tria davanti alla commissione Finanze del Senato, «erano tutti contrari. Il ministro di allora era Saccomanni che fu praticamente ricattato dal ministro delle Finanze tedesco», il quale gli disse che se l'Italia non avesse accettato «si sarebbe diffusa la notizia che il nostro sistema bancario era prossimo al fallimento». In serata Tria ha provato a diffondere una mezza smentita. Il Mef: «Il ministro ha voluto fare riferimento a una situazione oggettiva in cui un rifiuto isolato dell'Italia avrebbe potuto essere interpretato come un segnale di una crisi del sistema bancario». Insomma, nessuna accusa specifica contro Berlino, spiega il portavoce. Peccato che la frase di Tria non sia per nulla campata in aria. Dal punto di vista tedesco, fare approvare l'inversione della responsabilità bancaria significava non solo far pagare alle tasche dei correntisti i fallimenti bancari, ma soprattutto evitare che una qualunque crisi del sistema italiano venisse risolta dai contribuenti e, in traslato, a carico del debito pubblico. Costringendo così a interventi transnazionali come accaduto in Grecia e soprattutto a Cipro nel 2013. Con la differenza che due anni prima i principali partner europei avevano già provveduto a mettere in sicurezza i rispettivi sistemi bancari con iniezioni da centinaia di miliardi. All'epoca, il nodo verteva quasi tutto attorno all'esposizione agli strumenti derivati, gli stessi che avevano mandato piedi all'aria le banche di Wall Street, di cui la Germania era (e in misura minore è ancora) zeppa. In quegli anni le sofferenze (Non performing loans, Npl) non erano considerate un problema: motivo per cui l'Italia in modo improvvido non avviò i salvataggi pubblici. Nei decenni precedenti, la politica nostrana aveva addirittura incentivato le banche a sostenere il Pil concedendo a molte filiere produttive fidi praticamente perpetui. Chi oggi critica quella mossa da parte del governo di Silvio Berlusconi e della stessa Bankitalia omette un dettaglio: gli Npl sono diventati una lettera scarlatta solo dopo. I governi di Roma consideravano la politiche delle sofferenze una droga necessaria per pompare l'economia. È stato il passaggio di testimone da Roma a Bruxelles a cambiare improvvisamente i parametri: e a quel punto il sistema bancario italiano si è trovato di colpo in fuori gioco. Costantemente sotto capitalizzato e in difficoltà. Le norme del bail in, secondo lo schema europeo, sarebbero dovute entrare in vigore nel 2018. L'Italia si impegnò già con Enrico Letta ad annientare il bail out. E trasformò l'intento in realtà nel 2015, quando il Parlamento, su input di Matteo Renzi, fece diventare la norma Ue una legge italiana. Alla luce di tale premessa, l'affermazione di Tria fa impressione. D'altronde, attorno al bail in deve essere successo qualcosa di veramente diabolico e innominabile. Visto che quasi tutti i player italiani nel corso degli anni hanno cercato di prenderne le distanze. Nei fatti, sperimentando la via di mezzo chiamata ricapitalizzazione precauzionale e soprattutto con le parole. Ultimo in ordine di tempo, Ignazio Visco. Lo scorso 31 gennaio, parlando con gli studenti della scuola Superiore Sant'Anna di Pisa, il numero uno di Bankitalia fa emergere i limiti di una politica troppo filotedesca, e spiega per quali motivi all'Italia sia stato impedito di mettere mano al debito pubblico per ricapitalizzare l'intero sistema bancario. Lasciandolo di conseguenza in balia della Vigilanza Ue. «La Germania ha speso 60 miliardi per salvare il sistema bancario», ha detto in quel frangente Visco, «cosa che a noi, dopo, è stato impedito». Non è per giunta la prima volta che Visco gira attorno al tema che Tria ieri ha fatto esplodere. L'anno scorso, in una intervista al Corriere della Sera, il governatore si dilungò su quanto accaduto nella primavera del 2013, quando Palazzo Koch di fronte alla Banking communication, il testo che prevedeva per la prima volta il burdeng sharing espresse un parere freddo. Chiese di mantenere una graduale progressione, adeguata al contesto. Secondo Bankitalia, il meccanismo di risoluzione delle banche in fase di crac si sarebbe dovuto applicare non prima del 2018. «Ma nella fretta della discussione o nella difficoltà di arrivare a un accordo, questi punti», spiega Visco, «non sono passati». Eppure, allora, al termine di uno storico Consiglio europeo, Enrico Letta twittò: «Approvata Banking union. Per tutelare risparmiatori ed evitare nuove crisi». Visco non smentì l'ottimismo di Letta. Anzi nessuno lo fece. E nei tre anni successivi nessun vigilante italiano ha fatto emergere il problema in cui l'Italia si era infilata. E Fabrizio Saccomanni? L'attuale presidente di Unicredit, tirato in ballo pesantemente, non ha risposto. Avrebbe avuto di che dire al collega: o hai le prove, o siamo al limite della diffamazione. Invece niente. La mente corre alla sua audizione di fronte alla Commissione d'inchiesta sulle banche. «Si riconosceva che il nostro Paese meritava sostegno nell'immediato per poter gestire una situazione difficile», dichiarava, «contemporaneamente l'Italia doveva correggere i conti. Così in sede Ecofin le argomentazioni avanzata venivano accolte privatamente dicendo: “Sì avete ragione, questa situazione rischia di essere difficile da gestire, però ...", lascio i puntini per non dire cose più sgradevoli». Il bail in ora è legge e qualcuno dovrebbe chiedere a Saccomanni di finire la frase una volta per tutte, e dire che cosa aveva da gioire Letta.Claudio Antonelli<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/tria-mette-a-nudo-la-germania-ci-ha-ricattati-per-le-banche-2630198839.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="la-legge-cappio-approvata-in-anticipo-da-renzi" data-post-id="2630198839" data-published-at="1758079182" data-use-pagination="False"> La legge-cappio approvata in anticipo da Renzi Leggerezza e incapacità di sostenere le pressioni tedesche. Fatto sta che la norma più rivoluzionaria in tema bancario viene inghiottiti dall'Italia come una caramellina zigulì. Il governo di Enrico Letta decide di affidarsi mani e piedi alle scelta della Commissione Ue che in tema di burden sharing ha poteri assoluti senza aver discusso i termini contrattuali. In altre parole, nessuno stila un piano di gestione delle sofferenze bancarie, né decide i criteri di valutazione dei Btp nei bilanci delle banche. Per non saper né leggere né scrivere Matteo Renzi ha fatto di tutto per trasformare in legge l'impegno di Letta, con tre anni di anticipo sulla tabella di marcia Ue, nel 2015. Tutto ciò porta alla situazione attuale. La tanto decantata battaglia di Bankitalia per la tutela del sistema del credito è stata un po' troppo sussurrata. Quando il governo Renzi pasticciò per far saltare l'aumento di capitale di Mps finendo con l'infilare Siena in un vicolo cieco, né l'Abi né Bankitalia si sono lanciate in una valutazione ex ante. L'approccio al bail in in effetti era cambiato soltanto a maggio del 2016, quando sempre il governo Renzi dopo aver chiesto aiuto a Giuseppe Guzzetti per salvare la Popolare di Vicenza bruciò Atlante. Si trattava del fondo alimentato dai risparmi delle Fondazioni e dal capitale delle banche sane. Entrato in modo «spintaneo» nell'istituto di Gianni Zonin, si è trovato da solo contro Bruxelles e regole completamente fuori mercato. La finanza cattolica ha perso qualcosa come 4,5 miliardi. Da lì si sono aperti gli occhi e si è capito che la vigilanza Ue non funziona. Eppure il governatore Ignazio Visco si limitava a dire: «Ho fiducia che arriveremo a una soluzione che rispetti le regole Ue e salvaguardi il risparmio». Non è andata così, ma il mea culpa si fa solo a buoi scappati. D'altronde, Visco non è solo a lamentarsi delle falle. L'altro potere italiano, quello degli industriali, almeno al proprio vertice, sembra soffrire della stessa retroattività. Vincenzo Boccia - e arriviamo al secondo esempio da letteratura - chiudendo la convention dei giovani ha sparato a zero sulle fesserie dei politici che che non capiscono nulla di macroeconomia. «Penso che uno prima di entrare in politica dovrebbe fare un corso di macroeconomia. Se ci fosse una tassa sulle fesserie», ha sintetizzato, «avremmo risolto il problema del debito pubblico». Varrebbe la pena ricordare che a dicembre del 2016 Boccia appose la propria firma a uno studio del suo Centro studi relativo agli effetti del No al referendum costituzionale. «Subiremo», recitava il report, «4 punti percentuali in meno nel triennio sullo scenario di base. Salterebbero 60.000 posti di lavoro e 20 punti percentuali di investimenti». Il 25 maggio del 2017 (sei mesi dopo) Confindustria, come se nulla fosse, stimava il Pil in crescita dello 0,3%, con un acquisito dello 0,6%. «La risalita si va consolidando, grazie a investimenti ed export», concludeva il Centro studi. Insomma, Boccia ha abituato la politica troppo bene. Se il leader di Confindustria deve fare delle critiche si limita ormai a farle a posteriori e mai troppo chiare. D'altronde, dovrebbe prima fare il punto delle proprie stime e delle scelte che ha imposto all'associazione degli industriali schierandola senza se e senza ma al fianco della corsa al potere di Matteo Renzi. Così buon ultimo è arrivato anche il numero uno degli industriali. Parlando durante un convegno di banca Intesa ha detto la sua contro il bail in. «Sì, sarebbe necessario rivedere tutta l'Europa in termini di una stagione riformista. Però con proposte, non solo con critiche». Quali? Adesso la sfida è evitare che le banche debbano accantonare entro il 2020 240 miliardi di euro. Per tutelare il sistema bisognerà fare in modo che la Bce prosegua con l'erogazione di liquidità. Aspettiamo che chiudano i rubinetti? O meglio fare una battaglia prima?