2019-04-18
Tria lancia il sasso dell’aumento Iva. I gialloblù lo stoppano: «Con noi mai»
Il ministro: «Senza misure alternative le clausole scatteranno». Proprio come recita il Def. E infatti Lega e M5s assicurano che scongiureranno la botta da 890 euro a famiglia. Sul debito, invece, la conferma: «Costa meno».La notizia è prematura»: con queste parole poi divenute leggendarie, Mark Twain commentò la pubblicazione del suo necrologio. Forse, con almeno un poco di quell'ironia, si potrebbe dire qualcosa di simile a proposito della fretta con cui ieri una parte consistente del mondo politico - e relativa grancassa mediatica - ha dato per acquisito il prossimo aumento dell'Iva, e quindi il mancato disinnesco delle clausole di salvaguardia. Tutto nasce dall'interpretazione delle parole del ministro Giovanni Tria, pronunciate ieri mattina davanti alle Commissioni Bilancio di Camera e Senato: «L'aumento Iva è confermato in attesa di misure alternative». A onor del vero, Tria si è limitato a ripetere ciò che sta scritto nel Def, e soprattutto a evidenziare un'ovvietà politica, per quanto relativa a un tema delicato e grave: o si trova una soluzione diversa, oppure le clausole rischiano di diventare operative. Inoltre, il ministro ha confermato quanto scritto dalla Verità di ieri, ovvero che «il costo del debito è in discesa (come certificato da Bankitalia, ndr) perché nonostante lo spread le nuove emissioni sono a tassi inferiori rispetto ai titoli in scadenza». Eppure, per tutta la giornata, c'è stato un fiorire di interpretazioni e retroscena, in particolare rispetto al verbo scelto da Tria («confermare»): secondo alcuni, la spia rivelatrice di una precisa volontà del ministro. Forse l'allarme è scattato perché - in sede teorica, come economista - Tria è notoriamente non ostile a quel tipo di tassazione. Ma onestà intellettuale impone di riconoscere che in più occasioni anche recentissime, nella veste di ministro, Tria aveva pubblicamente preso atto della contrarietà della sua maggioranza, ammettendo che la decisione finale sarebbe stata tutta politica. Sta di fatto che, a stretto giro di posta, hanno provveduto direttamente i due vicepremier a sgombrare il campo dagli equivoci. Per Luigi Di Maio «con questo governo non ci sarà nessun aumento dell'Iva, deve essere chiaro. Serve la volontà politica. Noi ce l'abbiamo. Fermo restando che ci sono già soluzioni sul tavolo volte ad evitare un aumento». Quanto a Matteo Salvini, ha a sua volta escluso l'eventualità, e ha aggiunto uno stimolo lievemente sarcastico nei confronti del titolare del Mef: «L'Iva non aumenterà. Punto. Questo è il nostro impegno. Siamo al governo per abbassare le tasse, non per aumentarle come hanno fatto gli altri governi. Le idee ce le abbiamo già chiare. Il ministro dell'Economia da sempre deve avere nella prudenza la sua dote migliore, noi stimoleremo un po' di coraggio».Insomma, i due leader mantengono l'impegno al disinnesco che hanno più volte assunto davanti al mondo produttivo. Proprio Confcommercio, attraverso il suo ufficio studi, ha precisato che, se ci dovesse essere l'aumento dell'Iva, da gennaio prossimo questo si tradurrà in 382 euro di maggiori tasse a testa. E se scatterà tutto l'aumento previsto dalle clausole dell'ultima legge di bilancio, l'aggravio medio sarà di 889 euro a famiglia.Va peraltro ricordato che le clausole sono uno dei «regali» spiacevoli lasciati dai governi del Pd: prima dell'ultima manovra, l'eredità della stagione Renzi-Gentiloni-Padoan prevedeva clausole della seguente entità: 12,5 miliardi nel 2019, 19,2 miliardi nel 2020, 19,6 miliardi nel 2021. La prima stesura (ottobre 2018) della manovra gialloblù aveva sterilizzato le clausole per il 2019 (quindi zero miliardi), e prevedeva 13,7 miliardi nel 2020 e 15,6 miliardi nel 2021.L'ultima stesura, successiva all'accordo con Bruxelles e con la Commissione Ue, peggiorò molto le cose: zero miliardi nel 2019, 23,1 miliardi nel 2020 (con un balzo dell'Iva al 25,2%) e 28,8 miliardi nel 2021 (Iva al 26,5%). Come si vede, dopo l'intervento di Pierre Moscovici e Valdis Dombrovskis, un aumento del fardello di ulteriori 9,4 miliardi nel 2020 e di ulteriori 13,2 nel 2021. È evidente che - già tre/quattro mesi fa e adesso il prossimo settembre - un'eliminazione secca sarebbe stata e sarebbe preferibile. Ma, allo stato attuale, avrebbe richiesto e richiederebbe una profonda operazione di spending review. Si è dunque scelta l'opzione di uno slittamento in avanti, che indubbiamente crea preoccupazione rispetto alle prossime manovre: e da questo punto di vista, la speranza del governo è che, dopo le europee, per quanto fino a fine anno resti in carica la vecchia Commissione (i cui membri avranno però gli scatoloni in mano), i mutati equilibri politici europei rendano possibile aprire una pagina nuova, in particolare ulteriori spalmature e rinvii. Anche per questo, appare francamente irricevibile la polemica aspra che viene dagli esponenti del Pd: se ci troviamo in questa situazione, è anche e soprattutto per il lascito dei loro governi. Non si vede per quale ragione debba essere criminalizzata una maggioranza che ha fatto - e potrebbe continuare a fare - una scelta analoga ai suoi predecessori, e cioè calciare il pallone ancora più avanti.E soprattutto resta un giudizio assolutamente negativo verso Bruxelles. Anche perché non risulta che alcuna imposizione di clausole sia avvenuta ai danni di Emmanuel Macron, nonostante che la Francia (diversamente dall'Italia) abbia per la decima volta in 11 anni sforato il fantomatico limite del 3%. Solita storia: figli e figliastri.
Eugenia Roccella (Getty Images)
Carlotta Vagnoli (Getty Images)