2018-06-05
Il nuovo ministro contro il ministero: Tria citò la Madia
Il titolare del Mef fece ricorso dopo il licenziamento dalla scuola della Pa ordinato da Marianna Madia. Ha perso al Tar, ma potrebbe ancora appellarsi.L'esordio del nuovo ministro dell'Economia Giovanni Tria potrebbe essere all'insegna di un dubbio amletico: proseguire una causa che ha in corso contro lo Stato che oggi rappresenta oppure rinunciare in nome dell'opportunità politica? Per capire di che cosa stiamo parlando occorre considerare due date e due fatti: l'11 aprile 2018 la prima sezione del Tar del Lazio presieduta dal giudice Carmine Volpe ha respinto il ricorso che lo stesso ministro aveva presentato contro la decisione del dipartimento della Funzione pubblica (all'epoca retto dalla piddina Marianna Madia) di sollevarlo dall'incarico di presidente della Scuola superiore della pubblica amministrazione (oggi Scuola nazionale dell'amministrazione, Sna) per sostituirlo prima con il commissario straordinario Bruno Oscar Dente e poi con il nuovo presidente Stefano Battini; 50 giorni dopo questa sentenza a lui sfavorevole, lo scorso 1° giugno, Tria ha giurato da ministro del dicastero dell'Economia e delle finanze (Mef).Ecco spiegato l'improvviso e plateale conflitto d'interesse del professore. Per la Madia, quella di aprile era stata una vittoria importante vista la sfilza di bocciature che le sue riforme avevano incontrato davanti ai tribunali amministrativi, al Consiglio di Stato e persino di fronte alla Corte costituzionale. Ora bisognerà vedere se Tria presenterà appello, almeno per ricevere il risarcimento che aveva chiesto con il suo ricorso del 2016. In questo caso la presidenza del Consiglio (sotto cui ricade il dipartimento della Funzione pubblica) e l'Avvocatura dello Stato si troveranno a incrociare i codici con uno dei ministri di maggior peso del nuovo governo.Ma torniamo ai fatti. Nel 2016 la Madia ha sollevato Tria dall'incarico che lo stesso aveva ricevuto nel 2010 dall'allora ministro Renato Brunetta, cofirmatario con Tria di diversi lavori scientifici. Il professore, assistito dall'avvocato romano Franco Gaetano Scoca, ha fatto ricorso, contestando anche il diritto del dipartimento della Madia di nominare un commissario straordinario, potere che secondo il ricorrente spettava direttamente a Palazzo Chigi.Però il Tar, poco più di un mese fa, gli ha dato torto pure su questo.Ma perché Tria venne cacciato? La Madia e i suoi consiglieri non ritennero che l'allora presidente della Sna fosse la persona giusta per portare avanti un progetto di rinnovamento radicale della scuola che lo stesso aveva guidato per sei anni. Quando la decisione fu presa a pesare, chiarisce una fonte della Verità, sarebbero state anche certe voci di spesa dell'istituto, ritenute eccessive.Seppur non ufficialmente, finirono sotto osservazione i presunti numerosi viaggi dello stesso Tria in Cina, l'utilizzo di un'auto di servizio, ma soprattutto l'affidamento diretto di consulenze senza interpelli o bandi, una selezione oggi indispensabile per ottenere gli incarichi dentro la Sna.Va comunque precisato che Tria non è stato mandato via per il suo operato, tanto che il Tar rimarca che con lui non c'è stata nessuna mala gestio, ma è altrettanto vero che gli stessi giudici hanno puntualizzato nella sentenza che un risparmio, con la riorganizzazione e l'arrivo del commissario, c'è stato: «Sul punto basti pensare alla sensibile riduzione dei docenti a tempo indeterminato che la struttura commissariale aveva effettuato, ben più immediata e consistente della pur già avviata riduzione richiamata dal ricorrente in riferimento alla “sua" gestione». Insomma, la direzione di Tria andava bene, ma il commissario ha tagliato di più. E non è finita. Secondo le toghe ha ragione l'Avvocatura dello Stato quando fa notare che il commissariamento va inserito in un «quadro di riforme “in itinere"» e ha dato «luogo a una logica cesura e discontinuità con l'amministrazione precedente che si era consolidata». La piccola rivoluzione, ribadisce il Tar, non aveva come fine «la critica» all'amministrazione di Tria, ma quello «di rinnovare “in toto" la struttura, anche amministrativa, della Scuola» e che tale fine era legittimo «frutto della scelta politico-discrezionale del legislatore». Infatti per i giudici «in accordo con la cosiddetta Riforma Madia della dirigenza pubblica ben si doveva intervenire radicalmente sulla Sna, che tale dirigenza è portata a formare».Dunque, a giudizio del tribunale amministrativo Tria quando è stato sollevato dall'incarico non ha subito né ingiustizie, né ripercussioni visto che, come detto, il commissariamento della Sna «non è avvenuto per una riscontrata “mala gestio", ma per motivi organizzativi legati all'evoluzione normativa e frutto di scelta eminentemente politica». Un licenziamento che non ha avuto conseguenze sulla carriera del docente di economia: «Basti osservare che da tale vicenda», hanno annotato i magistrati, «non risulta alcun nocumento al prestigio e alla considerazione pubblica del ricorrente, a quel che consta preside della facoltà di economia presso l'università di Tor Vergata di Roma». E, aggiungiamo noi, neo ministro del fondamentale Mef. In tutta questa storia, a onor del vero, il capo del Tesoro appare un po' come il classico personaggio cornuto e mazziato. Infatti i giudici, pur non muovendo obiezioni al suo operato, non solo non hanno ritenuto che il neo ministro dovesse essere reintegrato, ma neppure risarcito, visto che non è stata «riscontrata presenza di illegittimità nell'operato della pubblica amministrazione» e Tria non era «un funzionario dipendente» bensì un dirigente scelto su base fiduciaria. Chissà se adesso il professore, dalla nuova posizione di forza, cercherà la rivincita contro questa decisione a lui sfavorevole.