2024-08-12
«Moldavia & C., tutti dentro. Però l’Ue la smetta coi vincoli»
Giulio Tremonti (Imagoeconomica)
Il presidente della Commissione Esteri, Giulio Tremonti, in vista del referendum del 20 ottobre a Chisinau «“All-in” per i Paesi candidati. Ma non possiamo portare la Bolkestein sul Mar Nero...».Sui calendari delle future elezioni tenute d’occhio dalle diplomazie occidentali c’è un circoletto rosso attorno a una data che precede di poco le cruciali presidenziali americane del 5 novembre prossimo. Non ha la stessa importanza, ovviamente, ma nelle prossime settimane sentiremo parlare piuttosto spesso di Moldavia. Nel Paese incastrato tra Ucraina e Romania, infatti, domenica 20 ottobre si terranno contemporaneamente il referendum per l’ingresso nell’Unione europea e la scelta sulla conferma o meno della presidente in carica, la 52enne Maia Sandu. Laureata ad Harvard, un passato alla World Bank, la Sandu - dopo una breve premiership - ha vinto nel 2020 le presidenziali contro il candidato considerato filorusso, Igor Dodon. Motivo per cui l’eventuale conferma a ottobre (con probabile ballottaggio il 3 novembre), unita al referendum sulla Ue, avrà molti più occhi addosso da entrambe le sponde dell’Atlantico di quelli che si potrebbe pensare guardando i 3 milioni di abitanti o il modesto Pil pro capite del Paese orientale. La Verità ne ragiona con Giulio Tremonti, oggi deputato eletto con Fratelli d’Italia e presidente della Commissione Esteri della Camera: dunque particolarmente vicino alla pratica, che rappresenta un tassello decisivo di tutto il percorso di allargamento.Presidente Tremonti, quali sono aspettative e interessi dell’Italia in vista del doppio appuntamento elettorale in Moldavia il prossimo 20 ottobre? E a che punto è il percorso di inclusione nell’Ue?«Siamo totalmente a favore di un esito positivo del referendum europeo, ma anche - nel rispetto della volontà degli elettori - della conferma del presidente Sandu. Sarebbe una nuova tappa del percorso apertosi oltre venti anni fa, durante il semestre di presidenza italiana dell’Unione nel 2003, quando all’epoca del governo Berlusconi fu varato l’ingresso dei 10 Paesi dell’Est (Cipro, Malta, Ungheria, Polonia, Slovacchia, Lettonia, Estonia, Lituania, Repubblica Ceca e Slovenia, ndr): un’operazione che allora fu lineare e motivata da ragioni storiche, politiche ed economiche. Due mesi fa gli ambasciatori di quei Paesi hanno illuminato il Colosseo con le loro bandiere, a indicare l’esito positivo di quella operazione». E poi?«Poi è venuta una fase di allargamenti progressivi, con l’idea che l’allargamento dipendesse da una serie di parametri “europei”. Sintetizziamo questo metodo con l’espressione paternalistico-merkeliana dei “compiti a casa”. Una logica dirigistica in cui gli adempimenti in sé apparivano subordinati alla previsione degli adempimenti stessi come fattore di condizionamento da parte di un’Europa che, invece, nulla faceva per fronteggiare l’ipotesi di un esito positivo degli adempimenti stessi». Una specie di strumento di ricatto?«Da una parte si chiedevano regole, dall’altra l’Europa non faceva la sua necessaria riforma costituzionale. Alla base di questa idea di allargamento “old style” c’era una concezione di due Europe, una Ovest e una Est: la prima perfettamente democratica, conforme agli stili della politica moderna; di là, invece, una basata sulle tradizioni e di conseguenza da “adattare”. Ricorda la polemica sulla Polonia fuori dallo Stato di diritto? Il mese dopo, con la guerra, la Polonia è stata fatta salire sugli altari...».Dove vuole arrivare?«Nell’Italia degasperiana, Giulia Occhini, detta la Dama Bianca, andò in carcere per abbandono del tetto coniugale dopo aver lasciato il marito per Fausto Coppi: qualcuno, nel 1954, ha considerato il nostro Paese fuori dal novero delle democrazie? Il genio matematico Alan Turing, due anni prima, fu condannato per omosessualità in Gran Bretagna: nessuno ha considerato la patria di Winston Churchill non democratica. All’opposto: proprio perché erano e sono democrazie, quei Paesi cambiarono le loro leggi attraverso la democrazia stessa». Niente patenti, quindi. Domanda banale, allora: perché un Paese dovrebbe voler entrare nel club dell’Ue? Ragioni politiche? Economiche?«Per ragioni simboliche e politiche, con anche - certo - aspettative di maggiore benessere. A cui si somma oggi il disastro della guerra. Finora l’allargamento “old-style”, organizzato sul criterio paternalista cui ho accennato, era da Ovest a Est. Ora è evidente che con la guerra Putin tenta l’allargamento opposto, da Est a Ovest. La dottrina di Mosca è per certi versi molto semplice: il suo Mein Kampf si basa sul presupposto che il futuro della Russia è nel suo passato: nelle sue tradizioni, nella sua religione, nella sua storia, nei suoi antichi confini. E la guerra è appunto su questi confini. Da qui nasce la nostra proposta, emersa in commissione Esteri».Quale?«La soluzione è “All in”: dal Mar Baltico al Mar Nero, tutti dentro. Per inciso, non vanno dimenticati i Balcani, su cui si incrociano interessi cinesi e turchi. Un luogo in cui si produce più storia di quella che si consuma in loco, e perciò la si esporta: ricorda Sarajevo?». Tutti dentro l’Unione europea, riferito ai candidati attuali? Dunque non solo la citata Moldavia ma pure Macedonia del Nord, Montenegro, Serbia, Albania, Bosnia ed Erzegovina, Georgia e ovviamente Ucraina? «Sì, tutti e otto. Questo è il passaggio su cui cerchiamo consenso anche grazie al referendum di ottobre. Ovviamente pensare un’Europa a 35 vuol dire modificare il meccanismo di voto. L’Ue fin qui ha imposto “cataloghi” per gli altri ma mai a sé stessa: è ora di cambiare».Presidente, sta parlando di rinunciare al potere di veto. Questo è sempre stato considerato anche un rischio per il nostro Paese, che potrebbe finire vittima di decisioni ostili: non vede questo pericolo?«Siamo un Paese fondatore, non dobbiamo valutare la posizione dell’Italia nell’Unione in base alle storture esercitate negli ultimi 10-11 anni. Nel 2011 la patologia politica era più interna che esterna: ne approfittarono, in Italia, “vili affaristi”, “ambiziosi a vita” e comunisti occidentalizzati per rovesciare un governo legittimo e altrimenti stabile. Ma oggi, chiusa quella storia, abbiamo un nuovo governo forte, tanto in Italia quanto fuori. Ora tocca all’Europa cambiare». Immagino che i due ex premier coglieranno le citazioni con piacere. Ma cosa vuol dire «cambiare»? Meno vincoli? Meno regole economiche?«Certo. Diciamo che ho qualche difficoltà a pensare all’applicazione della direttiva Bolkestein sul Mar Nero… Le categorie vere devono essere altre. Bisogna gettare le basi di una politica europea vera, non contro gli Stati ma a loro tutela».C’è un problema: proprio l’invasione russa del febbraio 2022 ha aperto dubbi sulla politica di allargamento: non c’è il rischio di esacerbare tensioni confermando i timori del Cremlino? «Secondo me è esattamente l’opposto: l’allargamento crea una massa enorme che è la base per Difesa e politica estera europee. Serve, oggi, un passaggio di questo tipo. Non si può affrontare una realtà nuova e drammatica con le tecniche e le tecnologie politiche vecchie. È una questione di politica e di spirito, e non finanziaria. Questo è il passo che ci attende». Però fin qui il dibattito è concentrato in modo piuttosto esclusivo sui modelli economici, finanziari, bancari, dal Patto di stabilità in giù. Il mercato unico e la competitività sono stati oggetto di altrettanti studi da parte di ex premier italiani quali Mario Draghi ed Enrico Letta.«La cifra dei problemi è politica e non economica, i problemi nuovi non si risolvono con idee e pratiche vecchie, i cui risultati fallimentari sono sotto gli occhi di tutti coloro che vogliano vederli. Per la verità è piuttosto pittoresco che girino per l’Europa “guaritori” che conoscono i problemi per il solo fatto di averli causati».Torniamo alla Moldavia, che è alle prese con la Transnistria, una fetta di terra piena d’armi che pare rispondere a Mosca…«Oggi in Transnistria ci sono per lo più militari presenti da lungo tempo, non è probabile una tensione ulteriore per tante ragioni, prima delle quali che la presenza russa è invecchiata e ambientata. Mi faccia ricordare con piacere, a proposito di Chisinau, la recentissima iniziativa congiunta col collega di Fratelli d’Italia, onorevole Walter Rizzetto, presidente della Commissione Lavoro».Ovvero? «È stata approvata una nostra risoluzione che impegna il governo a modificare e integrare l’Accordo in materia di sicurezza sociale tra i nostri due Paesi: un cambiamento potenzialmente decisivo per centinaia di migliaia di moldavi e moldave che lavorano qui e desiderano ricongiungere più agevolmente i contributi pensionistici una volta tornati in patria».Chiaro. Tornando all’allargamento: Nato e Ue sono destinati a far convergere europeismo e atlantismo, spesso clamorosamente divergenti in questi anni?«Non c’è Nato senza Europa, non c’è Europa senza Nato: i percorsi e le adesioni dovranno procedere comunque in parallelo, con attenzione alle specificità e ai passaggi della democrazia».E se vince Trump?«Come diceva un sincero democratico, il principe von Bismarck, non si raccontano mai tante bugie come dopo le campagne di caccia e durante le campagne elettorali. Quanto agli Usa, si ragiona dopo, chiunque vinca. Il bilanciamento con Congresso e Senato tocca ad ogni inquilino della Casa Bianca: comunque esistono i sondaggi, ma anche le scommesse: io suggerirei di guardare tutti e due i tavoli». Ultima domanda: vede bene il ministro Raffaele Fitto nella prossima Commissione?«Molto bene, proprio per le ragioni di cui sopra».
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)
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