2022-08-16
La transizione ecologica mette a rischio la medicina nucleare
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Gli esperti sono preoccupati per la reale e concreta carenza di radioisotopi per la cura e la diagnostica che si è smesso di produrre a causa della chiusura di alcuni reattori nucleari. «Il più grande produttore di molibdeno-99 era, fino a qualche anno fa, il reattore di Chalk River, in Canada, che è stato fermato definitivamente nel 2018, lasciando il mercato mondiale privo del 40% della produzione» spiega Alessandro Dodaro, direttore dipartimento fusione e tecnologie per la sicurezza nucleare presso Enea.I costi della transizione ecologica li viviamo quotidianamente. Rincaro bollette e rialzo dei prezzi sono fatti tangibili che influenzano le tasche di tutti, dalle famiglie alle imprese. Gli effetti di tutto questo derivano da scelte energetiche fallimentari e prive di lungimiranza fatte nel passato. Il timore è che se non si interviene velocemente, questi effetti possano andare a influenzare settori importanti e vitali. Uno di questi è quello della medicina nucleare. Gli esperti in quel campo sono preoccupati per la reale e concreta carenza di radioisotopi per la cura e la diagnostica. In questo caso non si tratta di colli di bottiglia e di delocalizzazione di materie prime. La carenza di radioisotopi deriva da una scarsità di prodotto iniziale. Di materia prima. Semplicemente non si producono più. Alessandro Dodaro, (direttore dipartimento fusione e tecnologie per la sicurezza nucleare presso Enea) ci ha spiegato come la chiusura di alcuni reattori nucleari abbia provocato la forte carenza del molibdeno-99, un radioisotopo utilizzato nell’80% di tutte le procedure di medicina nucleare a livello globale, comprese le scansioni di immagini, per rilevare le malattie cardiache e la presenza di cellule tumorali. «Il più grande produttore di molibdeno-99 era, fino a qualche anno fa, il reattore di Chalk River, in Canada, che è stato fermato definitivamente nel 2018, lasciando il mercato mondiale privo del 40% della produzione. Già questo fa si che in Europa, e soprattutto in Italia che non ha centri di produzione, approvvigionare questo fondamentale radioisotopo sia diventato particolarmente difficile». Il problema era stato sollevato già anche in sede europea. Oggi infatti la produzione di molibdeno-99 dipende principalmente da reattori nucleari situati nei Paesi Bassi e in Belgio, che stanno invecchiando e presto verranno chiusi per questo. «Ciò potrebbe potenzialmente causare gravi carenze di radioisotopi e mettere a repentaglio l'accesso a cure vitali per tutti i cittadini europei», ha affermato Michael Stibbe, vice rappresentante permanente olandese durante una sessione pubblica di una riunione dei ministri della salute dell'UE a Bruxelles. Riunione a cui dovrebbe aver partecipato anche Roberto Speranza, in qualità di Ministro della Salute italiano. Eppure questo non sembra un tema presente, almeno non in modo urgente, fra le priorità del Ministero. Il quale già non aveva mostrato segni di interesse per altri problemi di carenza nel settore farmaceutico. Tuttavia Enea ha identificato ben due soluzioni come risposta concreta alla carenza degli isotopi. Entrambe porterebbero l’Italia a divenire autosufficiente in questo campo e in una visione ottimistica, a soddisfare parte della richiesta che arriva dall’estero. Il progetto Sorgentina, prevede l’impiego della tecnologia da fusione nucleare, quella che in futuro potrebbe fornire energia pulita e virtualmente illimitata. L’impianto sarebbe operativo nel giro di cinque anni, produrrà meno rifiuti e promette costi bassi. «I radioisotopi che produrrà l’impianto Sorgentina sono tutti pensati per l’uso in medicina nucleare: il molibdeno-99 in primis, ma anche il rame-64, il lutezio e altri isotopi molto utilizzati nelle più svariate applicazioni mediche». Spiega Alessandro Dodaro che ha raccontato anche come funzionerebbe il rame-64. «La cellula tumorale è ghiotta di rame, quindi il rame 64 è utile sia per la diagnostica che per le cure. Una volta somministrato il rame, se questo sparisce, è segno evidente che ci siano nel corpo delle cellule tumorali. Allo stesso tempo il rame – 64, essendo radioattivo, svolge la funzione di avvelenare le cellule tumorali e quindi cura il paziente». L’altro progetto di ricerca, impiega la tecnologia da fissione e utilizza il reattore di ricerca Triga. «Questo progetto ipoteticamente potrebbe portare a soluzioni più veloci. In tre anni si potrebbero già produrre radioisotopi, e per farlo l’Enea sta investendo molti soldi nel reattore che, essendo operativo dagli anni sessanta, non è particolarmente adatto a operare a ritmi intensivi» ha spiegato Dodaro.La carenza di radioisotopi poteva essere prevista ed evitata. E oggi, che esistono delle soluzioni, italiane per altro, sarebbe bene investirci con fermezza. In ogni caso Enea produrrà il radioisotopo, mentre la sua trasformazione in radiofarmaco, o prodotto galenico, dovrà essere effettuata a cura di strutture che abbiano le competenze e le attrezzature idonee allo scopo. Per questo motivo l’Enea sta instaurando rapporti di collaborazione con istituti medici e centri di produzione operativi sul territorio in modo da velocizzare i tempi. Il dato concreto mostra rincari anche molto alti nel settore, come denunciato dal ministro della Salute sloveno Janez Poklukar. «I prezzi di questi isotopi, in alcuni casi, sono aumentati del 300%». Non finisce qui perché alla fine di ottobre 2021, la Commissione europea ha anche avvertito gli esperti sanitari dell'UE di una possibile carenza di iodio-131 nel corso del 2022, un altro radioisotopo cruciale per la diagnostica e il trattamento di diverse condizioni.
La deposizione in mare della corona nell'esatto luogo della tragedia del 9 novembre 1971 (Esercito Italiano)
Quarantasei giovani parà della «Folgore» inghiottiti dalle acque del mar Tirreno. E con loro sei aviatori della Royal Air Force, altrettanto giovani. La sciagura aerea del 9 novembre 1971 fece così impressione che il Corriere della Sera uscì il giorno successivo con un corsivo di Dino Buzzati. Il grande giornalista e scrittore vergò alcune frasi di estrema efficacia, sconvolto da quello che fino ad oggi risulta essere il più grave incidente aereo per le Forze Armate italiane. Alle sue parole incisive e commosse lasciamo l’introduzione alla storia di una catastrofe di oltre mezzo secolo fa.
(…) Forse perché la Patria è passata di moda, anzi dà quasi fastidio a sentirla nominare e si scrive con la iniziale minuscola? E così dà fastidio la difesa della medesima Patria e tutto ciò che vi appartiene, compresi i ragazzi che indossano l’uniforme militare? (…). Buzzati lamentava la scarsa commozione degli Italiani nei confronti della morte di giovani paracadutisti, paragonandola all’eco che ebbe una tragedia del 1947 avvenuta ad Albenga in cui 43 bambini di una colonia erano morti annegati. Forti le sue parole a chiusura del pezzo: (…) Ora se ne vanno, con i sei compagni stranieri. Guardateli, se ci riuscite. Personalmente mi fanno ancora più pietà dei leggendari piccoli di Albenga. Non si disperano, non singhiozzano, non maledicono. Spalla a spalla si allontanano. Diritti, pallidi sì ma senza un tremito, a testa alta, con quel passo lieve e fermissimo che nei tempi antichi si diceva appartenesse agli eroi e che oggi sembra completamente dimenticato (…)
Non li hanno dimenticati, a oltre mezzo secolo di distanza, gli uomini della Folgore di oggi, che hanno commemorato i caduti di quella che è nota come la «tragedia della Meloria» con una cerimonia che ha coinvolto, oltre alle autorità, anche i parenti delle vittime.
La commemorazione si è conclusa con la deposizione di una corona in mare, nel punto esatto del tragico impatto, effettuata a bordo di un battello in segno di eterno ricordo e di continuità tra passato e presente.
Nelle prime ore del 9 novembre 1971, i parà del 187° Reggimento Folgore si imbarcarono sui Lockheed C-130 della Raf per partecipare ad una missione di addestramento Nato, dove avrebbero dovuto effettuare un «lancio tattico» sulla Sardegna. La tragedia si consumò poco dopo il decollo dall’aeroporto militare di Pisa-San Giusto, da dove in sequenza si stavano alzando 10 velivoli denominati convenzionalmente «Gesso». Fu uno di essi, «Gesso 5» a lanciare l’allarme dopo avere visto una fiammata sulla superficie del mare. L’aereo che lo precedeva, «Gesso 4» non rispose alla chiamata radio poiché istanti prima aveva impattato sulle acque a poca distanza dalle Secche della Meloria, circa 6 km a Nordovest di Livorno. Le operazioni di recupero dei corpi furono difficili e lunghissime, durante le quali vi fu un’altra vittima, un esperto sabotatore subacqueo del «Col Moschin», deceduto durante le operazioni. Le cause della sciagura non furono mai esattamente definite, anche se le indagini furono molto approfondite e una nave pontone di recupero rimase sul posto fino al febbraio del 1972. Si ipotizzò che l’aereo avesse colpito con la coda la superficie del mare per un errore di quota che, per le caratteristiche dell’esercitazione, doveva rimanere inizialmente molto bassa.
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