
Pressing sul capo di gabinetto della Meloni e mega-vendite: c’è la stessa mano? Di certo quest’esecutivo ostacola i piani francesi.A proposito di dossieraggi e accessi abusivi alle banche dati: c’è un dossier che è sfuggito ai radar di giornalisti e magistrati che nei giorni scorsi si sono occupati dell’inchiesta di Perugia. Riguarda Gaetano Caputi, funzionario dello Stato quasi sconosciuto al grande pubblico. Il nome di questo grand commis in effetti non compare spesso sulle pagine dei giornali, tuttavia a metà febbraio di lui si è occupato il Domani, quotidiano di proprietà di Carlo De Benedetti al centro dell’indagine condotta dalla Procura umbra. Tre cronisti della testata, infatti, sono stati indagati perché avrebbero ricevuto o forse richiesto, ma di certo pubblicato, informative riservate ottenute grazie a Pasquale Striano, il finanziere accusato di aver compiuto migliaia di accessi illegali alle banche dati.Ma che cosa c’entra Caputi con tutto ciò? Il funzionario è capo di gabinetto di Giorgia Meloni e sul Domani è comparsa a puntate un’inchiesta dedicata alle sue attività di quando, non essendo in servizio nella pubblica amministrazione, aprì una società di consulenza, oggi affidata a un trust. Beh, che c’è di male ad essersi guadagnato lo stipendio facendo l’avvocato se non era un dipendente pubblico? Nulla. Ma curiosamente, il Domani ha voluto fare la radiografia agli affari di Caputi. Anche qui, nulla di male, se non fosse che negli articoli sono spuntate informazioni riservate, che è possibile raccogliere solo accedendo ad alcune banche dati. Pur scavando a fondo, con mezzi che sarà la magistratura a stabilire se legali o meno, il Domani non ha trovato nulla di illecito, niente di penalmente rilevante, se non che l’uomo è un professionista. Ma a questo punto, dopo aver letto con interesse le puntate pubblicate dal Domani, sorgono spontanee due domande. La prima è: chi ha potuto scandagliare le fatture della società fondata da Caputi? Certo, questa non è materia che può essere maneggiata facilmente dai giornalisti, ma certo dai funzionari dello Stato. Chi è dunque la persona che ha radiografato redditi e patrimonio del grand commis? La seconda domanda: perché tanto interesse nei confronti di un signore sconosciuto ai più?Caputi, pur non essendo noto al grande pubblico, a Palazzo Chigi ricopre un ruolo importante. È appunto capo di gabinetto del presidente del Consiglio e questo significa che sul suo tavolo passano i dossier più importanti e delicati, come ad esempio Ita, Ilva e Tim. Nel suo ufficio si discute delle regole europee che impediscono al piano di Lufthansa per la compagnia aerea italiana di prendere il volo. È davanti a lui che si prepararono le mosse per salvare l’Ilva dal fallimento a cui sembrano volerla condannare gli ex soci indiani. E sempre nella sua stanza si valuta la partita Tim e lo scorporo della rete per ridurne l’indebitamento. E a proposito della società telefonica, qualche giorno fa il titolo dell’azienda è stato oggetto di un importante scivolone in Borsa. In una giornata, le azioni hanno perso il 25 per cento. Una caduta che, per quanto possa essere scatenata dai progetti presentati dall’amministratore delegato, è apparsa ai più inspiegabile. Innanzitutto, perché un quarto del valore può essere perso se sul mercato viene immessa una gran quantità di titoli, ovvero se vi è l’improvvisa vendita di un importante pacchetto azionario. Ma tutto ciò non risulta sia avvenuto. Dunque, che cos’è successo al titolo di Tim? Chi ha avuto interesse a farne scendere improvvisamente la quotazione? La risposta non c’è, perché la Consob, autorità deputata a vigilare sull’andamento dei listini, si è dimenticata che è compito suo verificare se c’è speculazione sul mercato. Sta di fatto che per alcuni giorni le azioni si sono assestate a 0,21 euro, che guarda caso è pure il valore che Vivendi, il principale socio di Tim, ha iscritto in bilancio. Ma a proposito del gruppo francese, la holding controllata da Vincent Bolloré è da anni impegnata in una battaglia contro i vertici dell’azienda di cui è azionista, ma non di controllo. L’ultima fase della guerra riguarda il piano presentato dall’amministratore delegato Pietro Labriola il quale, in accordo con Cassa depositi e prestiti e dunque con Palazzo Chigi, vorrebbe cedere la rete di Tim al fondo americano Kkr per far ridurre l’indebitamento della società telefonica. A Vivendi il progetto non piace e ha scatenato i legali per opporsi in ogni modo, anche perché, da quel che si capisce, preferirebbe vendere il suo pacchetto azionario e uscirsene recuperando quel paio di miliardi che, con lo scorporo della rete, rimarrebbero invece incagliati dentro Tim. Peccato che, con una società fortemente indebitata, nessuno a quel prezzo pare essere interessato a comprare. Certo, se ci fosse un altro amministratore delegato, e un altro piano che magari prevedesse licenziamenti o smembramenti della società, forse qualcuno desideroso di acquistare potrebbe esserci. Magari lo stesso Stato per evitarsi una grana, cioè i lavoratori in piazza, i gioielli dell’azienda (vale a dire Tim Brasile) in vendita, le polemiche sull’ennesima crisi, eccetera. Naturalmente, un piano del genere dovrebbe prevedere lo stop allo scorporo della rete e un assenso del governo che spingesse Cassa depositi e prestiti oppure Poste, che di liquidità ne ha un bel po’, a comprare. E poi ci vorrebbe che tutti nel Palazzo, anche Caputi, fossero d’accordo. Sì, un bel problema. Ah, dimenticavo un paio di cose. La prima è che da giorni circolano voci su un fondo di nome Merlyn (già noto per aver tentato senza successo alcune manovre attorno alla Sampdoria), che sembrerebbe voler fare di Tim uno spezzatino. A guidarlo c’è un ex manager della società telefonica, mentre a metterci soldi necessari all’operazione non si sa chi ci sia. La seconda cosa degna di nota è che qualche anno fa, quando Vivendi provò a scalare Mediaset, i Berlusconi presentarono un esposto alla Consob e anche all’Agcom denunciando manovre che miravano a deprimere il titolo della società televisiva in Borsa. Chissà che fine avrà fatto quell’esposto. Chissà, soprattutto, se qualcuno avrà voglia di capire come nascono certe inchieste giornalistiche. Certo, allora nel mirino c’era il gruppo del Cavaliere, oggi al centro delle operazioni e delle pressioni c’è lo Stato. Ma l’aspetto più interessante da scoprire è se qualcuno in queste settimane ha proposto qualche piano o dossier a Palazzo Chigi.
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