2024-07-27
Toti si è dimesso e chiederà la revoca degli arresti. In vista un processo lampo
Ieri mattina ha lasciato la carica di governatore e in una lettera ha attaccato la sinistra e difeso la sua coalizione. Si dice pronto al giudizio immediato.Il giudizio immediato doveva essere uno spauracchio per Giovanni Toti. Sia perché si effettua con le misure cautelari in corso, sia perché la sentenza arriva in tempi rapidi. La stampa locale e nazionale, probabilmente su input di qualche magistrato, nei giorni scorsi ha iniziato a far trapelare il piano dei pm. Probabilmente con l’intenzione di gettare nel panico l’indagato e indurlo alle dimissioni. Queste sono arrivate, ma adesso a volere essere giudicato in tutta fretta è, un po’ a sorpresa, proprio l’indagato Toti. Forse auspicando una rapida assoluzione. Ma partiamo dalle «dimissioni irrevocabili» rassegnate dopo 80 giorni di arresti domiciliari. Come anticipato dalla Verità sono state presentate ieri mattina. Intorno alle 10,30. A consegnare la missiva al presidente facente funzioni Alessandro Piana (poi smistata anche al presidente del Consiglio regionale Gianmarco Medusei) è stato l’assessore Giacomo Giampedrone, che le ha definite «l’ennesimo sacrificio per la Liguria di Toti». Il testo del documento, dieci righe scritte in stampatello e datate 26 luglio, è molto tecnico, come è normale che sia, ma contiene l’annuncio dell’«avvio delle procedure per l’indizione di nuove elezioni».«Mi assumo tutta la responsabilità di richiamare alle urne, anticipatamente, nei prossimi tre mesi, gli elettori del nostro territorio, che dovranno decidere per il proprio futuro» ha chiosato lo stesso Toti in una lettera aperta destinata al mondo politico, agli abitanti della Regione e alla magistratura. Nella nota affida agli elettori «il compito di giudicare la Liguria» costruita insieme «in questi lunghi anni e di decidere se andare avanti su questa strada». Nel suo messaggio il governatore dimissionario sembra quasi sollevato: «Da questo momento torno anche io ad essere un semplice, comune cittadino della nostra bellissima Liguria».Ma il passaggio più importante è quello in cui chiede «ai tribunali della Repubblica di valutare le responsabilità chiamate in causa dall’inchiesta» e al Parlamento nazionale e all’opinione pubblica del Paese «di fare tesoro di questa esperienza e di tracciare regole chiare e giuste per la convivenza tra giustizia e politica all’interno del nostro sistema democratico». Chissà se al Guardasigilli Carlo Nordio e ai giudici del Tribunale di Genova fischieranno le orecchie. Toti ha anche assestato un calcione all’opposizione di sinistra: «Lontana dall’attitudine istituzionale richiesta dal momento, ha saputo solo cavalcare la complessa situazione, dimentica dei suoi stessi valori del passato, di ogni civiltà giuridica, della Costituzione e di quella cultura di governo che dovrebbe rappresentare chi si candida alla guida di una comunità». Il giornalista prestato alla politica ha ricordato ai suoi corregionali «i difficili momenti» vissuti e affrontati insieme, «dal Ponte Morandi al Covid» e si è detto «certo che i liguri sapranno giudicare e scegliere per il proprio meglio, e sapranno valutare l’impegno messo» da lui e dai suoi collaboratori. Nonostante tutti gli osservatori abbiano legato le dimissioni al vuoto politico che aveva circondato il governatore in cattività, Toti ha deciso di non spaccare il centro-destra in vista delle prossime complicate elezioni («la coalizione che fino ad oggi mi ha lealmente sostenuto» l’ha definita un po’ a sorpresa) e anzi ha assicurato che l’attuale maggioranza «saprà portare avanti gli ambiziosi progetti» da lui iniziati «senza perdersi in egoismi e particolarismi». Poi ha rivendicato di lasciare «una Regione in ordine» e ha spiegato di essersi dimesso solo ora «per consentire al Consiglio regionale di approvare l’assestamento di bilancio e il rendiconto, fondamentali per la gestione dell’ente». Alla fine Toti, anziché snocciolare gli obiettivi raggiunti, si è limitato a definirsi «orgoglioso delle tante cose fatte e onorato di aver lavorato con molte persone capaci e coraggiose, che sapranno portare avanti questa esperienza». L’unica dedica particolare l’ha riservata a un lavoro completato alle Cinque terre: «È di soddisfazione che questo difficilissimo momento coincida con la fine del cantiere e l’apertura della Via dell’Amore, un’opera complessa, a cui abbiamo lavorato anni, che restituisce al mondo uno dei simboli della Liguria» ha evidenziato. Se un capitolo si è chiuso, un altro è destinato a entrare nel vivo. L’ex governatore è, infatti, pronto a combattere la sua battaglia in Tribunale. E punta a farlo in tempi rapidi. Infatti il giudizio immediato consente di saltare la fase dell’udienza preliminare. Per ottenerlo basta che la Procura lo richieda con le misure cautelari ancora in vigore. Poi, dopo la presentazione dell’istanza, queste possono pure venire meno. Ipotesi ritenuta più che plausibile da Toti e dal suo avvocato Stefano Savi, il quale lunedì presenterà l’ennesima richiesta di revoca degli arresti. Sino a oggi era stata sempre negata perché, a detta di Procura, gip e Riesame, da governatore in carica Toti avrebbe potuto reiterare i reati di cui è accusato e magari inquinare le prove. Ma adesso, con la presentazione delle dimissioni, il quadro è completamente cambiato. Anche perché i pm sono in procinto di chiudere le indagini e Toti potrebbe tornare libero a investigazioni concluse. A questo punto i pericoli (che determinano le esigenze cautelari) di inquinamento delle prove e di reiterazione dei reati sarebbero entrambi scongiurati. L’avvocato Savi ha anche rinunciato a fare ricorso contro la seconda misura cautelare per non intralciare un’eventuale richiesta di immediato e accelerare i tempi per la richiesta di revoca. Sul punto il legale ha dichiarato: «A un certo punto la valutazione è stata su due binari, uno quello del processo penale e uno quello della situazione politica che ha valutato lui. Ritengo che a un certo punto Toti abbia pensato di non avere una vera alternativa». E sul giudizio immediato ha confermato: «Sto muovendomi in modo tale da non ostacolare questa possibilità. Sarà un processo interessante, abbiamo un sacco di cose da dire e da provare». Il legale ha dedicato le ultime battute alla descrizione dello stato d’animo del suo cliente, pronto a voltare pagina: «È stato un momento difficile, ha chiuso una parte della vita a cui ha dato molto e ritiene di aver fatto le cose come andavano fatte. C’è amarezza, ma è già concentrato su come affrontare il processo e la situazione politica».
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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