
L'urbanizzazione sta modificando i comportamenti degli animali, che si adattano per sopravvivere. Alle lucertole si allungano gli artigli, le zanzare smettono di andare in letargo e alcuni tipi di anuri hanno sviluppato canti amorosi più attraenti per i maschi.I tre quarti almeno delle terre emerse sono colonizzate dall'uomo, dunque è inevitabile che molti spazi debbano essere condivisi con le altre specie. E così tanti animali, per adattarsi alla coabitazione forzata in luoghi ad alta urbanizzazione, si sono evoluti. L'ultimo studio in ordine di tempo, pubblicato su Nature Ecology & Evolution, riguarda gli anfibi, per la precisione le rane tungara (Physalaemus pustulosus), caratteristiche delle foreste dell'America centro-meridionale: i ricercatori della Vrije Universiteit di Amsterdam e dello Smithsonian tropical research institute di Panama hanno scoperto che i maschi di questa specie che si sono adattati alla vita cittadina sviluppano, rispetto ai colleghi di campagna, canti più complessi. E le femmine - cittadine e non - trovano questi richiami di gran lunga più attraenti. I ricercatori hanno registrato i canti di rane tungara nelle città e nelle foreste, e li hanno fatti ascoltare a rane femmine - cittadine e non - per testarne la reazione. Scoprendo che le femmine preferiscono di gran lunga i richiami complessi dei maschi «urbani», anche se loro stesse abitano in campagna. Nei loro canti d'amore, i maschi delle rane tungara alternano lunghi e cupi lamenti a ripetuti «schiocchi» che rendono la serenata più complessa, e fanno colpo sulle partner. Ma gli schiocchi creano vibrazioni sull'acqua che attirano anche spettatori indesiderati, come i pipistrelli - loro predatori - o moscerini parassiti assetati del loro sangue. Per questo, in campagna, i richiami d'amore sono attentamente dosati. In città le cose vanno diversamente: i nemici delle rane stanno alla larga dalle luci artificiali delle strade, dunque ci sono le condizioni per cantare in tutta sicurezza e concedersi qualche sexy schiocco in più. Le evidenze delle trasformazioni degli animali nei contesti urbani sono moltissime. Per esempio nelle città di Portorico alcune specie di anolidi, lucertole crestate molte comuni, hanno sviluppato artigli più lunghi e forti in modo da potersi arrampicare su muri, case e costruzioni realizzate dall'uomo. In aree come quella di Tucson (Arizona) o Oxford (Inghilterra) alcuni uccelli passeriformi hanno sviluppato becchi più grandi e più forti per poter mangiare più facilmente dalle casette costruite per loro. Marc Johnson, professore di biologia all'Università di Toronto e Jason Munshi-South, biologo della Fordham University, in uno studio pubblicato su Science hanno analizzato 192 pubblicazioni scientifiche sul tema dell'evoluzione e dell'adattamento in contesti urbani. Scoprendo che i fattori che contribuiscono all'evoluzione cittadina di certe specie sono tanti: la luce artificiale, l'asfalto, cemento e vetro, l'inquinamento, il rumore, i tunnel e le autostrade che dividono e separano ambienti naturali. Ad esempio, a Montreal, alcune salamandre rosse isolate dalle super strade sono mutate rispetto a quelle della stessa specie che vivono nei parchi. Processi che solitamente richiedono migliaia, se non milioni di anni, nelle città possono essere accelerati. «Tradizionalmente abbiamo pensato all'evoluzione come un processo a lungo termine ma ora ci sono indicatori che indicano un cambiamento rapido legato a come alcune specie interagiscono con gli esseri umani e le nostre costruzioni. Gli esseri umani e le nostre città sono una delle forze più dominanti dell'evoluzione contemporanea», spiegano gli studiosi. «Mentre costruiamo abbiamo poca conoscenza di come influenzeremo gli organismi che vivono con noi. È una buona notizia che alcuni organismi siano in grado di adattarsi, come le specie autoctone che hanno importanti funzioni ecologiche nell'ambiente, ma può anche essere una cattiva notizia che la capacità di alcuni di questi organismi di adattarsi alle nostre città possa aumentare la trasmissione di malattie». Lo dimostra il caso della zanzara Culex pipiens molestus che vive nella metropolitana londinese: a differenza delle zanzare di superficie, quelle che abitano nella metro non hanno più bisogno di nutrirsi costantemente di sangue e non vanno in letargo in inverno. Inoltre non riconoscono le zanzare terrestri come insetti della stessa specie, quindi non si accoppiano con loro. Al tempo stesso però, fanno notare gli esperti, possono veicolare una lunga serie di malattie. L'adattamento alla vita di città può modificare anche il cervello degli animali. Emilie Snell-Rood e Naomi Wick, del Department of ecology, evolution and behavior dell'università del Minnesota, in una ricerca pubblicata sui Proceeding of Royal Society B hanno dimostrando che il cervello dei topi dalle zampe bianche e delle arvicole che vivono in città è circa il 6% più grande del cervello dei loro cugini di campagna: «Il cervello degli animali cittadini diventa più grosso», hanno spiegato le ricercatrici, «perché colonizzano un ambiente urbano dove devono imparare a trovare cibo negli edifici e in altri luoghi dove i loro antenati non sono mai capitati». Insomma: abbiamo creato un nuovo ecosistema che nessuno organismo aveva mai visto prima. E molte specie si sono dovute adattare. Non solo in città. Dalle campagne fino alle foreste, l'invadenza dell'uomo è ormai tale che molti animali, per evitarlo, sono costretti a cambiare le loro abitudini. Per esempio vivono di più la notte per procurarsi il cibo. Un gruppo di ricercatori dell'Università di Berkeley (California) ha scoperto che tante creature - dall'opossum all'elefante africano, dal cinghiale all'orso bruno - hanno spostato alle ore favorite dell'oscurità circa il 20% delle attività che di solito conducevano di giorno. Non solo: con la luce, molte specie si ritirano nelle zone dove la presenza dell'uomo è inferiore, oppure evitano le strade o le zone con edifici. E se c'è il rischio di imbattersi negli umani, tanti animali rimangono rintanati sia di giorno sia di notte. Gli autori della ricerca hanno spiegato che questi cambiamenti da una parte sono un inevitabile e in fondo utile adattamento. Dall'altra, però, possono alterare la demografia delle popolazioni e la catena alimentare. Finché riescono a evitarci, insomma, gli animali cercano di starci alla larga. Ma prima o poi non sapranno più dove e quando muoversi.
Zohran Mamdani (Ansa)
Nella religione musulmana, la «taqiyya» è una menzogna rivolta agli infedeli per conquistare il potere. Il neosindaco di New York ne ha fatto buon uso, associandosi al mondo Lgbt che, pur incompatibile col suo credo, mina dall’interno la società occidentale.
Le «promesse da marinaio» sono impegni che non vengono mantenuti. Il detto nasce dalle numerose promesse fatte da marinai ad altrettanto numerose donne: «Sì, certo, sei l’unica donna della mia vita; Sì, certo, ti sposo», salvo poi salire su una nave e sparire all’orizzonte. Ma anche promesse di infiniti Rosari, voti di castità, almeno di non bestemmiare, perlomeno non troppo, fatte durante uragani, tempeste e fortunali in cambio della salvezza, per essere subito dimenticate appena il mare si cheta. Anche le promesse elettorali fanno parte di questa categoria, per esempio le promesse con cui si diventa sindaco.
Ecco #DimmiLaVerità del 10 novembre 2025. Il deputato di Sud chiama Nord Francesco Gallo ci parla del progetto del Ponte sullo Stretto e di elezioni regionali.
Donald Trump (Ansa)
La Corte Suprema degli Stati Uniti si appresta a pronunciarsi sulla legittimità di una parte dei dazi, che sono stati imposti da Donald Trump: si tratterà di una decisione dalla portata storica.
Al centro del contenzioso sono finite le tariffe che il presidente americano ha comminato ai sensi dell’International Emergency Economic Powers Act (Ieepa). In tal senso, la questione riguarda i dazi imposti per il traffico di fentanyl e quelli che l’inquilino della Casa Bianca ha battezzato ad aprile come “reciproci”. È infatti contro queste tariffe che hanno fatto ricorso alcune aziende e una dozzina di Stati. E, finora, i tribunali di grado inferiore hanno dato torto alla Casa Bianca. I vari casi sono quindi stati accorpati dalla Corte Suprema che, a settembre, ha deciso di valutarli. E così, mercoledì scorso, i togati hanno ospitato il dibattimento sulla questione tra gli avvocati delle parti. Adesso, si attende la decisione finale, che non è tuttavia chiaro quando sarà emessa: solitamente, la Corte Suprema impiega dai tre ai sei mesi dal dibattimento per pronunciarsi. Non è tuttavia escluso che, vista la delicatezza e l’urgenza del dossier in esame, possa stavolta accelerare i tempi.






