2019-02-07
Mattarella tolga la medaglia al boia degli italiani
In questi giorni, 72 anni fa, cominciò l'esodo di decine di migliaia di italiani dall'Istria e dalla Dalmazia. Fuggivano dai comunisti di Tito, che ormai da quasi due anni, ossia da quando la guerra al nazifascismo si era conclusa, ne avevano dichiarato un'altra agli italiani. I titini, così erano chiamate le guardie rosse agli ordini del Maresciallo, prelevavano le persone più in vista - i maestri, i dottori, i farmacisti, ma anche chiunque avesse un impiego pubblico - e dopo averle sottoposte a ogni genere di sevizie le gettavano nelle foibe, ovvero nei crepacci della zona. (...)(...) Spesso ancora vive, quasi sempre legate insieme con il filo spinato. Un eccidio a cui anche chi poteva opporsi assistette con colpevole silenzio. Dopo la «liberazione» e l'occupazione dei territori un tempo italiani da parte dei partigiani jugoslavi, la popolazione aveva sperato che i trattati di pace restituissero quelle zone a Roma. Ma il 10 di febbraio, a Parigi, Alcide De Gasperi fu costretto a firmare una resa che consegnava definitivamente la Dalmazia e l'Istria ai comunisti. Gli italiani, che in quelle zone erano la maggioranza, oltre che presenti da anni, si sentirono perduti e consegnati al nemico. L'intesa li privava dell'identità, oltre che della cittadinanza, consegnandoli ai propri carnefici. Per rimanere senza rischiare avrebbero dovuto rinunciare a definirsi italiani, privarsi della lingua, della propria storia e della religione per abbracciare il comunismo. E neppure così, a causa delle loro origini, era comunque assicurata la vita. In molti decisero di partire, rinunciando a tutto. Negozi, aziende, abitazioni, qualsiasi proprietà veniva abbandonata nelle mani del nemico, il quale chiedeva pure di pagare le tasse a venire. Ai profughi venne ordinato di lasciare ogni bene, anche mobile: radio, motociclette, macchine da cucire. A chi se ne andava era consentito portare solo 3.000 dinari, cioè niente. Tutto il resto era requisito. La neo costituita Repubblica non ebbe la forza di difendere questi suoi cittadini dalla pulizia etnica in corso. Ma neppure ebbe la coscienza di aiutarli a ritrovare la patria. Centinaia di migliaia di italiani partirono con i ricordi e le poche cose rimaste imbarcandosi sui traghetti che facevano la spola con Venezia e con Ancona. Un esodo biblico. Una fuga registrata nell'indifferenza generale delle autorità di quella patria che alcuni avevano contribuito a difendere a prezzo della vita.Gli italiani fuggivano dai comunisti jugoslavi e i comunisti italiani non solo li ignoravano, ma addirittura li osteggiavano. A Venezia, i primi profughi scesi dalla nave che li aveva prelevati a Pola (scapparono in 30.000 su una popolazione di 35.000) furono accolti da una manifestazione partigiana che li invitava a tornare da dove erano venuti. Perfino alla salma di Nazario Sauro - esumata per non lasciarla in mano al nemico - non furono risparmiati gli insulti e i fischi. A Bologna, i ferrovieri comunisti minacciarono lo sciopero se il treno degli istriani in fuga da Tito avesse fatto tappa in stazione e i poveretti, per questo, furono dirottati verso La Spezia.Palmiro Togliatti, all'epoca segretario del Pci, scrisse sull'Unità un duro articolo contro l'evacuazione. Secondo lui gli italiani che fuggivano erano fomentati dal governo De Gasperi che intendeva deitalianizzare l'Istria. Per il compagno Ercole, questo il nome di battaglia del caporione rosso durante il fascismo, era impossibile che qualcuno volesse fuggire dal paradiso in terra instaurato dal Maresciallo Tito. Ovvio, dunque, che tra i fuggiaschi vi fossero persone interessate a «mantenere laggiù focolai di discordia», in pratica fascisti al soldo dei democristiani. Per il Pci, anziché scappare dagli orrori del comunismo, gli italiani avrebbero dovuto abbracciare la fede marxista e trasferirsi nella Repubblica jugoslava per costruire il Sol dell'Avvenire. Purtroppo qualcuno, tra i quali molti operai delle officine di Monfalcone, si fece convincere dalle menzogne del capo del Partito comunista italiano, finendo i propri giorni nel lager dell'isola Calva, un gulag in cui vennero confinati e decimati i cosiddetti oppositori della dittatura del proletariato.Se ricordo la tragedia istriana non lo faccio solo perché il 10 febbraio ricorre l'esodo da Pola e neppure per non dimenticare l'olocausto di migliaia di nostri concittadini colpevoli solamente di essere italiani. Certo, non dimenticare le foibe e impedire che su di esse cali la congiura del silenzio è fondamentale. Ma altrettanto necessario è cancellare dall'album patrio le onorificenze rese all'assassino degli italiani. Panorama ha scoperto che il Maresciallo Tito, nonostante le sue mani grondassero sangue italiano, fu decorato come Cavaliere di gran croce al merito della Repubblica italiana. A consegnargli la medaglia fu Giuseppe Saragat, che si incaricò di appuntargliela sul petto durante una visita a Belgrado. Altre onorificenze furono consegnate a una ventina di suoi sgherri, sempre ovviamente per gli alti meriti. L'unica medaglia mai recapitata è quella concessa nel 2001 da Carlo Azeglio Ciampi agli esuli di Zara, per non urtare i nazionalisti croati.Ecco, noi crediamo che se non si vuole perseverare nell'ipocrisia, il 10 febbraio, Giorno del ricordo del dramma delle foibe e dell'esodo, il presidente della Repubblica abbia il dovere di togliere ogni onorificenza al boia dei nostri concittadini, consegnando la medaglia d'oro agli italiani di Zara, la città martire della guerra e del comunismo. Lo deve fare, se questa è ancora una patria.