2022-08-20
Titoli di Stato, Italia ferma per far felice l’Ue
Sergej Lavrov e Mario Draghi (Ansa)
Il governo ha rinunciato a chiedere denaro al mercato, riducendo le emissioni. Mentre gli altri Paesi facevano il contrario Il «braccino» di Franco ha evitato scostamenti di bilancio. E la sbandierata credibilità di Draghi ha partorito un topolino.La progressiva pubblicazione dei dati relativi ai rapporti finanziari dell’Italia con i mercati e con gli investitori esteri in particolare, sta provocando una progressiva erosione della patina di smalto che ha ammantato per mesi la credibilità del governo di Mario Draghi.I dati pubblicati ieri dalla Banca d’Italia (bilancia dei pagamenti con l’estero a giugno) e dalla Bce (emissione di titoli di Stato dei Paesi dell’Eurozona a luglio) ci restituiscono un quadro fatto di molte ombre, che porta a concludere che, soprattutto all’estero, non si sono fatti granché convincere dal cursus honorum dell’ex presidente della Bce e dalle scelte del suo governo.Quando si passa dalla mitologia rilanciata dalla grancassa mediatica, all’arida realtà dei numeri, scopriamo che questo governo negli ultimi 12 mesi ha drasticamente ridotto le emissioni nette di titoli pubblici, riducendole a circa 20 miliardi, in netto calo rispetto ai due corrispondenti anni precedenti. Di fatto, l’Italia ha sostanzialmente rinunciato a richiedere denaro al mercato e lo ha fatto in totale solitudine, come si rileva dal grafico. Perché le altre più grandi economie dell’Eurozona, Germania e Spagna in testa - pur riducendo le emissioni nette rispetto al picco pandemico - hanno continuato a raccogliere cifre considerevoli. L’anomalia del dato italiano risulta ancora più evidente se si considera che, negli ultimi quattro mesi, abbiamo addirittura rimborsato più titoli rispetto a quanti ne abbiamo emessi, con un saldo negativo pari a 435 milioni. Se si considera che, nello stesso periodo, la Bce ha eseguito sul mercato secondario acquisti netti di titoli italiani per 17,2 miliardi (con i due programmi Pspp e Pepp), si giunge alla conclusione che gli altri detentori (residenti e non) dei nostri titoli pubblici se ne sono liberati a piene mani, ben lieti di venderli alla Bce.Una prima lettura di questi dati deporrebbe a favore del governo Draghi, definendola una condotta virtuosa finalizzata al contenimento del debito pubblico. Una lettura alternativa, che qui ci permettiamo di proporre e caldeggiare, trae invece da questo andamento seri elementi di preoccupazione. Infatti, quel modesto ammontare di emissioni è l’effetto della rinuncia, più volte sbandierata da Draghi e dal suo ministro, Daniele Franco, allo scostamento rispetto agli obiettivi indicati nella legge di bilancio 2022. Per l’intero primo semestre, il deficit/Pil al 5,6% è rimasto graniticamente saldo, nonostante i numerosi decreti con cui si è cercato di mitigare l’impatto della crisi energetica sulle imprese e sulle famiglie. È di tutta evidenza che, se non ci sono maggiori spese o minori uscite da finanziare, non c’è alcun bisogno di ricorrere al mercato. Il finanziamento di quelle manovre è infatti avvenuto sfruttando le maggiori entrate (gonfiate dall’Iva calcolata su prezzi sempre più alti), sperando nell’incasso di 11 miliardi dell’imposta degli extraprofitti delle imprese energetiche e bloccando alcune spese dei ministeri. Peraltro, questo tentativo di fare le nozze con i fichi secchi non è il risultato di una manovra improvvisata di Draghi e Franco. Il braccino corto risponde infatti, per filo e per segno, alle indicazioni diramate dalla Commissione nella scorsa primavera, efficaci e vincolanti a prescindere dalla clausola di salvaguardia che disattiva in parte il Patto di stabilità. Da Bruxelles hanno chiesto contenimento della spesa corrente e finanziamento degli investimenti pubblici del Pnrr con il Recovery fund e così è stato. Infatti, va evidenziato che da agosto 2021 abbiamo già incassato circa 45 miliardi a titolo di anticipo e prima rata, che hanno ovviamente ridotto il ricorso al mercato da parte del Mef.Possiamo solo ipotizzare che questa prudenza del governo Draghi - riassumibile nella sequenza: meno deficit, quindi meno emissioni e tutti sotto l’ombrello della Bce - sia stata dettata dal timore di fare ricorso al mercato in una fase turbolenta. Ricordiamo che, tra aprile e giugno, il rendimento del Btp decennale è salito dal 2% circa, ai massimi del 4,2%. Ma allora dov’è la presunta maggiore credibilità del «governo dei Migliori» che ha dovuto restare timoroso alla finestra - come fece il primo governo Conte a marzo 2020, paralizzato fino all’arrivo del soccorso della Bce - rinunciando a un maggiore sostegno al reddito degli italiani? Se c’era un patrimonio di credibilità da far valere, quei mesi sarebbero stati proprio il momento più opportuno. Invece: fermi e fedeli alle regole europee.L’altro indizio sull’evanescenza di quel patrimonio arriva dai dati della bilancia dei pagamenti che ci offrono il dettaglio di una tendenza che avevamo già illustrato a grandi linee qualche giorno fa: l’avanzo della bilancia commerciale è ormai uno sbiadito ricordo e sono stati prevalentemente gli stranieri a liberarsi dei Btp. A giugno, siamo a 91 miliardi negli ultimi 12 mesi e 32 miliardi da aprile. Un altro colpo alla credibilità lo assesta il significativo calo dei depositi delle banche straniere presso le banche italiane che, solo a giugno, è stato pari a 26 miliardi, contribuendo in modo decisivo all’aumento delle passività di Banca d’Italia verso l’Eurosistema. Quindi, non solo gli stranieri hanno venduto Btp, ma hanno anche ritirato i depositi. Forse a giugno qualcuno già sapeva che la credibilità non era più una moneta spendibile? Due indizi generalmente fanno una prova.
Jose Mourinho (Getty Images)