
Il Veneto rivendica la primogenitura con lo «sbatutin» di uova e zucchero, ma il Friuli sostiene d'aver inventato la ricetta e il nome. In Marocco c'è la versione con cous cous e datteri, in Cina quella con il tè verde. A Gemona la misura da Guinness: 3.015 chili di delizia.È una storia che avrebbe intrigato Fruttero & Lucentini. Un dolce che ha sparigliato le carte nel mondo goloso di cui le origini sembravano certe, sino ad alcuni anni fa, ma che poi, una volta divenuto famoso, ha visto sorgere rivendicazioni diverse, alcune con prove documentate (seppur a posteriori), altre da eclettica fantasia golosa ispirate. Stiamo parlando del tiramisù. Un nome, una storia. Fino agli anni Sessanta era considerato un'enclave trevigiana. Il primo a parlarne fu Bepo Maffioli, nel 1981, sulla sua rivista Vin Veneto (e poi in un libro, nel 1983). Al ristorante Alle Beccherie, in pieno centro a Treviso, il pasticcere Roberto «Loly» Linguanotto, assieme alla patronne Ada Campeol, aveva rielaborato l'antica tradizione dello sbatutin, un mix di rosso d'uovo montato con zucchero, omaggio tradizionale per dare vigore alle puerpere, ma anche a vecchi, bambini e... novelli sposi. Sei gli ingredienti base. Uova, zucchero, savoiardi, cacao, mascarpone e caffè. Un mix inusuale tanto che Iginio Massari, uno dei guru della pasticceria italiana, ricorda come sia l'unico dolce al caffè ad aver avuto successo mondiale. Una prima accelerazione alla sua diffusione deriva da un altro trevigiano, Alfredo Beltrame, che con la sua catena Il Toulà ne esporta le piacevolezze in luoghi dalla visibilità internazionale quali Cortina, Porto Cervo. Oramai il tiramisù sta prendendo il volo. Di lui si accorgono in molti, a partire dalle aziende che, violando la ricetta originale (usando il più facile pan di Spagna al posto dei savoiardi) iniziano a conquistare il mercato. In pochi anni il tiramisù diventa una case history. Compare nel dizionario Zingarelli nel 1983. Per la società Dante Alighieri è tra le dieci parole italiane ritenute più importanti e significative a livello internazionale (al pari di pizza, espresso, ciao). Come ha ricordato Carlo Campeol, ultimo discendente delle Beccherie fondatrici, era «nato un dolce che ha scatenato la fantasia di molti e la voglia di primogenitura da parte di tutti». Tuttavia la storia procede ancora sottotraccia. Saggiamente la delegazione di Treviso dell'Accademia italiana della cucina, nell'ottobre del 2010, deposita da un notaio la ricetta originale. I fari della ribalta mediatica esplodono nel 2017, quando il ministero dell'Agricoltura assegna il prestigioso Pat (Prodotto alimentare tradizionale) al tiramisù, ma nella sua ascendenza friulana. Apriti cielo. Levata di scudi del governatore del Veneto, il trevigiano Luca Zaia: «Il tiramisù è nato qui», al che i friulani rispondono, carte alla mano, che l'idea è stata loro. Un guazzabuglio goloso che apre le porte su un mondo in cui è più la memoria orale che quella scritta a dettar legge. A metterci un po' d'ordine ci hanno provato Clara e Gigi Padovani in un bel libro uscito nel 2016. Le tesi sono contrastanti. La prima definizione di tiramisù appare negli anni Quaranta, in un locale di Pieris, nel goriziano, Il Vetturino, anche se il nome prevale sulla ricetta, in quanto non è presente il mascarpone e i savoiardi non erano stati inzuppati nel caffè. Qui hanno celebrato le loro nozze, con tiramisù testimonial, il campione di boxe Tiberio Mitri e Miss Italia 1948, Fulvia Franco. Nella vicina Carnia, a Tolmezzo, al ristorante Roma, nel 1951, Norma Pielli si inventa una sua reinterpretazione del Dolce Torino (lontano antenato del tiramisù). Sostituisce il burro con il mascarpone e inzuppa i savoiardi nel caffè. Peccato che questa bella intuizione fosse stata battezzata trancia al mascarpone. Solo nel 1959, in una ricevuta, appare con il nuovo termine di tiramisù, neologismo frutto dell'entusiasmo di uno dei tanti avventori di passaggio. Non bastasse l'amarcord friulano, ci si mette pure la natia Treviso. Nel 1958, Speranza Bon Garatti, nel suo Al Camin, dedica a una regnante di Grecia di passaggio la Coppa Imperiale, dove però vi è il pan di spagna al posto dei savoiardi e il cioccolato grattuggiato invece del cacao in polvere. Un guazzabuglio vero e proprio. Chi non ricorda Treviso descritta quale capitale della pruderie nazionale, resa famosa da Signore e Signori di Pietro Germi? Ecco allora il pasticcere Guiscardo Casellato che, in un libro di memorie familiari, ricorda come un suo garzone, tale Danilo, lavorando part time nella nota Cae de Oro, casa di piacere del tempo, confezionava per gli esausti partecipanti, un ricostituente composto a base di tiramisù, appunto. Il dolce ha scatenato le fantasie di cuochi e pasticceri anche oltre i confini nazionali. Lo possiamo trovare in versione Maghrebmisù, in Marocco, con cous cous e datteri. In Cina con varianti al tè verde e pure in Australia, con mango. Una fantasia senza limiti che si è affiancata ad una preparazione di base dagli ingredienti semplici e facilmente replicabili, tanto che è nato anche in versione da asporto, come la pizza, con consegna a domicilio. Un'idea partita nel 2016 che, in un solo anno, ha visto le ordinazioni avere un'impennata del 75%. Dei 9.400 chilogrammi consegnati, 3.900 vedono capitale golosa Roma. Tiramisù senza frontiere, catapultato nello spazio. Lo stellato Davide Scabin, nel 2013, ne ha preparato una versione liofilizzata per consolare dalle nostaglie terrene Luca Parmitano, a bordo della Soyuz. Una confraternita a lui dedicata, con sede a Treviso, è stata fondata nel 2017, gran maestro Ulderico Bernardi, già docente a Cà Foscari. «Non c'è storia», sostiene il segretario Annibale Toffolo, storico braccio destro di Maffioli: «L'innovazione vera l'hanno fatta i Campeol». Più duttile Paolo Marchi, «Il tiramisù è la sintesi perfetta della cucina italiana, la capacità di creare un formidabile piatto con due-tre elementi, come già era avvenuto con la pizza margherita o gli spaghetti pomodoro e basilico. Se il valore storico e archeologico potrebbe premiare il Friuli, fa onore al Veneto il fatto di aver valorizzato la grandezza del dolce». Negli anni, con il tiramisù, si sono confrontati diversi maestri dei fornelli. Ecco allora Gualtiero Marchesi, che lo ha riletto a mo' di panettone. Un ironico Nicola Dinato, giovane stellato trevigiano, lo ha ribatezzato Tiramigiù, invitando a scoprirne le piacevolezze affondando il cucchiaio nel bicchierone tentatore. Massimiliano Alajmo lo ha proposto da succhiare lentamente dentro una pipa di vetro. In versione street food curioso il Bombamisù di Niko Romito, laddove una brioche cotta al forno contiene al suo interno tutto il resto. È di questi giorni la seconda edizione della Tiramisù world cup, con sede naturalmente a Treviso. L'anno scorso, su 720 concorrenti, ha vinto Andrea Ciccolella, un ventottenne bellunese. E già che si parla di grandi numeri ecco scendere in campo i friulani. Da guinness. A Gemona, nel 2015, viene realizzato il tiramisù più pesante, ben 3.015 chilogrammi di goduria, cui ha replicato Villesse, nel 2018, con quello più lungo, ben 266 metri. Sophia Loren, a suggellare le seducenti tentazioni del made in Italy, lo confezionò in diretta, in un famoso programma televisivo di David Letterman, nel 1999. Ci sono così tante storie da meritare un museo, idea messa in atto da Carlo Campeol, e così torniamo ancora a Treviso, che assieme al nuovo gestore delle Beccherie, Paolo Lai, sta creando le basi per una sezione dedicata alle mille storie, anche di tradizione orale, che vedono il tiramisù protagonista in uno degli spazi della trecentesca Cà dei Carraresi, a pochi passi dalle Beccherie, da cui tutto è partito (forse).
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2025-09-17
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