2023-07-04
Timmermans si accorge che la Cina inquina
Il responsabile delle politiche green europee, in visita a Pechino, è costretto ad ammettere che nel Paese cresce l’uso del carbone. Una «contraddizione» che mostra l’assurdità della crociata ecologista di Bruxelles contro i fossili e che arricchisce il Dragone.La Cina ci sta facendo neri, neri come il carbone, e l’Europa se ne accorge solo adesso. Manco fosse Alice nel paese delle meraviglie, ieri il vicepresidente della Commissione europea Frans Timmermans, in visita a Pechino, ha candidamente ammesso che esiste una «contraddizione» tra gli ambiziosi obiettivi della Cina in relazione alla lotta al riscaldamento globale e la intensa e continua costruzione di centrali elettriche a carbone. Proprio così: mentre l’Europa, con le politiche turbo green, sta mettendo il proprio futuro nelle mani della Cina, la stessa Cina pensa agli affari suoi e costruisce centrali a carbone come se non ci fosse un domani. Ricordiamo che, secondo Bloomberg, nel 2022 più del 50% delle auto elettriche costruite nel mondo sono state prodotte in Cina, mentre per quel che riguarda le batterie, cuore delle vetture elettriche, i produttori cinesi controllano il 60% del mercato globale. «Sono convinto che la Cina voglia andare nella giusta direzione», ha detto Timmermans, «ma allo stesso tempo è anche vero che vengono aperte altre centrali a carbone, e questo sembra essere in contraddizione». Sembra? Se non ci fosse da piangere, verrebbe da ridere: la Cina è già il maggior responsabile al mondo dell’emissione di gas serra come l’anidride carbonica, con il 26,1% a livello globale, più del doppio rispetto agli Stati Uniti (12,8%), e la politica di via libera a nuove centrali a carbone è destinata con ogni probabilità a far crescere la percentuale. Basti pensare che, lo scorso anno, il Dragone ha prodotto il 60% della sua elettricità attraverso centrali a carbone. Per Greenpeace, in Cina la produzione di energia con combustibili fossili sta crescendo a dismisura, così come le autorizzazioni per costruire nuove centrali a carbone, un dato che stride con l’obiettivo di Pechino di raggiungere il picco delle emissioni tra il 2026 e il 2030 e di diventare neutrale dal punto di vista delle emissioni di carbonio entro il 2060. «Capisco l’ansia causata da potenziali blackout», ha aggiunto un comprensivo Timmermans, che ha inoltre messo in guardia sulle conseguenze di una mancata limitazione del riscaldamento globale a 1,5 gradi, affermando che ciò porterebbe a un «aumento significativo e diffuso degli impatti negativi dei cambiamenti climatici, compresi gli eventi meteorologici estremi». Perché questa nuova corsa al carbone in Cina, che pure è uno dei maggiori investitori nella produzione di energia eolica e solare? Semplice: da un lato, la guerra in Ucraina ha fatto aumentare il timore di possibili interruzioni o diminuzioni di forniture di petrolio e carbone dall’estero; dall’altro, il caldo soffocante che attanaglia la Cina fa crescere la domanda di energia, mentre la siccità riduce la capacità produttiva delle centrali idroelettriche. Detto ciò, da un lato è comprensibile che Pechino si faccia, per parlar chiaro, gli affari suoi, mettendo al sicuro la riserva di energia elettrica in qualsiasi modo; dall’altro però è paradossale, per non dire grottesco, che l’Europa, attraverso un altissimo esponente della Commissione come Timmermans, si limiti timidamente a prendere atto della situazione, mentre la stessa Commissione quando ha che fare con gli Stati della Unione europea fa la voce grossa e spinge al massimo l’acceleratore sulle politiche green. Un modo come un altro per penalizzare le imprese e le famiglie europee nel nome di una ideologia pericolosa e controproducente. Non più tardi di ieri, il presidente della commissione Affari Costituzionali del Parlamento europeo, Salvatore De Meo, di Forza Italia (gruppo Ppe) ha denunciato che «molte misure proposte nel regolamento Ue sui rifiuti da imballaggio, messe a punto proprio da Timmermans, «sono insensate in quanto creano più danni che benefici, impattando in maniera drastica sulle aziende e sulle abitudini dei consumatori con una riduzione delle emissioni di gas serra pari ad un misero 0,1%». La proposta Ue prevede un largo utilizzo del riuso degli imballaggi, a danno del riciclo, tornando sostanzialmente alla logica del «vuoto a rendere», ed è stata bocciata lo scorso 29 giugno dalle Commissioni Ambiente e Attività produttive della Camera dei Deputati, riunite per esaminarlo. Ma, tornando alla Cina, c’è grande attesa per la visita a Pechino del segretario al Tesoro statunitense, Janet Yellen, prevista dal 6 al 9 luglio. I rapporti tra Usa e Cina sono altalenanti: Washington non apprezza il velato sostegno di Pechino alla Russia di Vladimir Putin, dazi e limitazioni reciproche alle importazioni, in particolare per quel che riguarda i componenti elettronici, pesano sui rapporti commerciali, eppure il dialogo tra le due superpotenze è necessario, inevitabile, e non si è mai interrotto pur nella difficoltà provocata dal conflitto in Ucraina. La Yellen potrebbe incontrare il nuovo leader della banca centrale della Cina: Pan Gongsheng dovrebbe infatti insediarsi proprio nei prossimi giorni.
La Global Sumud Flotilla. Nel riquadro, la giornalista Francesca Del Vecchio (Ansa)
Vladimir Putin e Donald Trump (Ansa)