La forte concorrenza erode i margini. Soldiexpert: «Aste miliardarie per le licenze. E la carta diversificazione nel comparto dei media è stata giocata quasi sempre male». Ma ci sono titoli che possono dare soddisfazioneIn recupero da inizio 2023, il settore delle telecomunicazioni sta affrontando dall’inizio degli anni 2000 un difficile contesto di mercato per una pressione competitiva che si è rivelata un gioco al massacro per moltissimi operatori.«I vecchi monopolisti, insieme con i nuovi sfidanti», dice Salvatore Gaziano, direttore investimenti di Soldiexpert Scf, «hanno cercato di conquistare un mercato crescente strappandosi di mano con aste miliardarie le licenze, facendosi una concorrenza spietata sui prezzi o tentando la strada (giocata quasi sempre male) delle diversificazioni nel settore media», spiega. «Il risultato è stato che pochissime società del settore Tlc hanno visto nel tempo (come promettevano agli investitori) crescere la redditività, ma invece hanno gonfiato soprattutto l’indebitamento con margini sempre più ridotti».Se guardiamo in Europa negli ultimi dieci anni, mentre l’indice azionario Stoxx Europe 500 è salito del 52%, quello dei soli titoli del settore delle telecomunicazioni è sceso invece di oltre il 30% e questo ne fotografa abbastanza bene l’andamento. «Fra i peggiori titoli del settore spicca la ex Telecom Italia (oggi Tim), che nel decennio ha perso addirittura il 76% e sta cercando da tempo di affrontare il problema dell’indebitamento (25 miliardi di euro circa) con la separazione della rete dai servizi in un quadro dell’azionariato di controllo (dove è presente anche lo Stato con Cassa depositi e prestiti) molto complesso e con l’ingresso dal 2014 dei francesi di Vivendi che detengono il pacchetto di azioni più importante», spiega Gaziano.Da ricordare che oggi il gruppo Telecom Italia capitalizza a Piazza Affari 5,7 miliardi di euro (Tim è stata fusa dentro Telecom Italia nel 2005. all’epoca con Marco Tronchetti Provera in sella) con l’obiettivo di «creare valore», mentre a inizio 2000 valeva quasi 100 di miliardi di euro.Non solo, in Europa stiamo assistendo in verità a questa distruzione di ricchezza (seppure in Italia su Telecom Italia si è dato il massimo grazie al contributo del pubblico e dei privati) e un recente numero dell’Economist ha raccontato la parabola simile avvenuta negli Stati Uniti con altre blue chip del settore Tlc come, per esempio AT&T corporation, per lungo tempo monopolio statunitense delle telecomunicazioni e titolo «beniamino» degli investitori di Wall Street. Aveva raggiunto a metà degli anni Ottanta il 5,5% del valore di mercato dell’indice S&P 500, mentre oggi (pur sommando Verizon) vale meno dello 0,7% dell’indice azionario più rappresentativo delle azioni americane. Lo scenario resta a ogni modo ultracompetitivo, visto che queste società a stelle e strisce hanno dichiarato nelle ultime trimestrali vendite stagnanti, mentre la scorsa settimana Dish network, una società di tv satellitare, ha svelato una partnership con Amazon per fornire servizi mobili per 25 dollari al mese ai membri del programma fedeltà Prime di Amazon. Una notizia che ha gelato in parte il settore, visto che recentemente diversi operatori storici avevano cercato di alzare i prezzi per spingere la redditività, ma la guerra evidentemente non è ancora finita. Un settore, quello delle Tlc, che resta quindi ancora appeso a un filo doppio. Prezzi e innovazione. E dove è veramente difficile costruire un fossato competitivo. In Europa, d’altro canto, siamo ancora molto indietro e permane il rischio di non raggiungere l’obiettivo del Decennio digitale della connettività gigabit per tutti. Diversi studi indicano che le reti ad altissima velocità sono sulla buona strada per raggiungere circa il 90% dei cittadini dell’Ue entro il 2030, lasciando potenzialmente però indietro decine di milioni di europei.Basti pensare che nel 2021 le spese in conto capitale del settore delle telecomunicazioni hanno raggiunto l’enorme cifra di 56,3 miliardi di euro in Europa rispetto a circa 1 miliardo di euro investito da Big tech. Insomma: spese folli e margini risicati. Ci sono però titolo che negli ultimi anni hanno comunque dato soddisfazioni agli investitori come Deutsche telecom (34,7% negli ultimi tre anni), Telefónica (34,6%), Comcast (18,17%) e T-mobile (41,14%). Anche l’Etf iShares Stoxx Europe 600 telecommunication, che investe sui titoli europei del settoret, è cresciuto del 5,49% negli ultimi 36 mesi, una crescita contenuta che fotografa le difficoltà in cui versa il settore. L’Italia è poi un mercato ancora più difficile perché si caratterizza per essere uno dei Paesi con le tariffe più basse nel panorama europeo. Anche questo non aiuta titoli come quello di Tim che negli ultimi tre anni ha ceduto in Borsa il 24,7%.
Stephen Miran (Ansa)
L’uomo di Trump alla Fed: «I dazi abbassano il deficit. Se in futuro dovessero incidere sui prezzi, la variazione sarebbe una tantum».
È l’uomo di Donald Trump alla Fed. Lo scorso agosto, il presidente americano lo ha infatti designato come membro del Board of Governors della banca centrale statunitense in sostituzione della dimissionaria Adriana Kugler: una nomina che è stata confermata dal Senato a settembre. Quello di Stephen Miran è d’altronde un nome noto. Fino all’incarico attuale, era stato presidente del Council of Economic Advisors della Casa Bianca e, in tale veste, era stato uno dei principali architetti della politica dei dazi, promossa da Trump.
Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa podcast del 10 novembre con Carlo Cambi
Martin Sellner (Ansa)
Parla il saggista austriaco che l’ha teorizzata: «Prima vanno rimpatriati i clandestini, poi chi commette reati. E la cittadinanza va concessa solo a chi si assimila davvero».
Per qualcuno Martin Sellner, saggista e attivista austriaco, è un pericoloso razzista. Per molti altri, invece, è colui che ha individuato una via per la salvezza dell’Europa. Fatto sta che il suo libro (Remigrazione: una proposta, edito in Italia da Passaggio al bosco) è stato discusso un po’ ovunque in Occidente, anche laddove si è fatto di tutto per oscurarlo.
Giancarlo Giorgetti e Mario Draghi (Ansa)
Giancarlo Giorgetti difende la manovra: «Aiutiamo il ceto medio ma ci hanno massacrati». E sulle banche: «Tornino ai loro veri scopi». Elly Schlein: «Redistribuire le ricchezze».
«Bisogna capire cosa si intende per ricco. Se è ricco chi guadagna 45.000 euro lordi all’anno, cioè poco più di 2.000 euro netti al mese forse Istat, Banca d’Italia e Upb hanno un concezione della vita un po’…».
Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, dopo i rilievi alla manovra economica di Istat, Corte dei Conti e Bankitalia si è sfogato e, con i numeri, ha spiegato la ratio del taglio Irpef previsto nella legge di Bilancio il cui iter entra nel vivo in questa settimana. I conti corrispondono a quelli anticipati dal nostro direttore Maurizio Belpietro che, nell’editoriale di ieri, aveva sottolineato come la segretaria del Pd, Elly Schlein avesse lanciato la sua «lotta di classe» individuando un nuovo nemico in chi guadagna 2.500 euro al mese ovvero «un ricco facoltoso».






