2025-06-01
«Test genetici o niente incontri». Il caso Khelif fa scuola nella boxe
Stretta della Federazione mondiale: dopo la querelle sulla pugile algerina, sarà imposto agli atleti di provare il proprio sesso. Porsi il problema, quindi, non era cosa da «omofobi» o «filorussi», ma semplice buonsenso.Test sui cromosomi per capire se gli atleti sono maschio o femmina. Questa la decisione della World Boxing, la Federazione mondiale di boxe, che solo nove mesi fa sarebbe stata considerata un abominio, un’invasione nella privacy, un’interferenza nella vita degli atleti contraria ai diritti umani. O addirittura una retrograda ossessione dei filorussi, visto che a perorare la causa era l’Iba (International Boxing Association) accusata di aderenze con il Cremlino. Una regola chiara che oggi invece viene abbracciata con forza dal mondo della boxe per evitare «nuovi casi Imane Khelif». E che anzi, arriva proprio in seguito ad altre polemiche che sarebbero nate tra le atlete in vista della coppa di boxe ad Eindhoven del prossimo 5-10 giugno cui l’atleta algerina, medaglia d’oro nella boxe femminile alle Olimpiadi di Parigi, dovrebbe partecipare. Da cui rischia invece di essere esclusa, così come da qualsiasi altra competizione mondiale, qualora si rifiutasse di sottoporsi ad un test sui cromosomi, come richiesto dalla World Boxing direttamente alla Federazione di boxe algerina. Una questione che ad oggi, l’atleta algerina non ha mai voluto affrontare in nome della privacy preferendo rimandare le polemiche ad un laconico «sono nata donna». Una linea condivisa dal presidente del Cio (Comitato olimpico internazionale) Thomas Bach che aveva liquidato l’argomento come un’operazione discriminatoria e persino anti scientifica ribadendo che ciò che contava era il genere indicato sul passaporto. «Fino al 1999 esistevano i cosiddetti test sessuali», dichiarava Bach il 9 agosto, «poi la scienza ci ha detto che non erano più affidabili, che non funzionavano più come prima per quanto riguarda i cromosomi e altre misurazioni». Un’operazione che molti media avevano bollato come obsoleta e in odore di complotto e che solo un’associazione come l’Iba, presieduta dal russo Ukmar Kremlev, avrebbe potuto richiedere. E che infatti aveva richiesto, visto che Khelif e un’altra atleta di Taiwan, Lin Yu-ting, medaglia di bronzo a Parigi, presentavano alti livelli di testosterone e una potenza muscolare «abnorme» a detta delle altre atlete. Il sospetto è che fossero intersex, intersessuali, termine ombrello che comprende soggetti con un qualche tipo di disturbo della differenziazione sessuale (Dsd) e che richiederebbero approfondimenti medici.È così che Khelif e Ting vengono sottoposte a test di genere in Turchia e in India. Dagli esami emerge che non sono idonee a gareggiare nelle categorie femminili e vengono squalificate dai mondiali di boxe nel 2023. Dopo qualche settimana l’Iba viene espulsa dal Cio per problemi di governance e trasparenza secondo il comitato olimpico ma il tempismo è a dir poco curioso. L’Iba non diffonde il risultato dei test sulle due atlete, non lo può dire per motivi di privacy, ma il messaggio ribadito in conferenza stampa a Parigi dal dottor Filippatos, responsabile medico dell’Iba fino al 2022 e oggi presidente della European Boxing Confederation è chiaro: «Il cromosoma Y indica che dal punto di vista biologico il soggetto è maschio». Concetto ribadito all’interno della nuova policy adottata dalla Federazione di boxe dal titolo Sex, age and weight per assicurare, si legge, la sicurezza degli atleti nonché garantire il giusto livello competitivo. Proprio il tema che già mesi prima delle passate Olimpiadi era stato sollevato da un gruppo di 26 tra accademici, scienziati, esperti della medicina dello sport nonché da diverse associazioni di femministe preoccupate che le linee guida del Cio sull’inclusività fossero discriminatorie nei confronti delle donne. In pratica, qualora soggetti Dsd si rivelino maschi dal punto di vista cromosomico, sarebbero sicuramente avvantaggiati.Per quanto un atleta, come potrebbe essere il caso di Khelif, possa avere, apparentemente, caratteri sessuali primari simili a quelli di una femmina, se in presenza del cromosoma Y, di fatto subirebbe uno sviluppo di tipo maschile e un accrescimento della parte superiore del corpo del 57% rispetto a una donna. Insomma, eventuali aggiustamenti dei livelli ormonali non sarebbero certo in grado di garantire alcuna battaglia ad armi pari. Un rischio che a quanto pare, la Federazione mondiale di boxe non vuole proprio correre decidendo di non lasciare spazio a dubbi e problemi di interpretazione. Le nuove regole infatti sono molto chiare. Per gareggiare nelle categorie femminili, le atlete che fin dalla nascita sono state identificate come femmine, devono poter dimostrare la presenza dei cromosomi XX o l’assenza del cromosoma Y. Nel caso in cui si trovino in una situazione di Dsd, devono dimostrare di non aver avuto uno sviluppo maschile. Tassativi dunque test genetici basati sulla reazione a catena della polimerasi (Pcr) attraverso un tampone orale, la saliva o il sangue.Un nuovo corso sembra dunque farsi spazio visto che la World Boxing è riconosciuta dal Cio e che al momento è stata indicata responsabile della boxe per le prossime Olimpiadi di Los Angeles. Un corso segnato dalla decisione dell’amministrazione Trump di bandire gli atleti transgender (non è il caso di Khelif) dalle competizioni femminili e che aveva dato i primi forti segnali già tre mesi fa, quando la World Athletics, la Federazione internazionale dell’atletica leggera, ha deciso di reintrodurre il test cromosomici per le atlete intenzionate a competere nelle gare femminili. Con buona pace di Thomas Bach, il cui mandato scadrà il 25 giugno e della stessa Imane. Se vorrà vincere altre medaglie.
Charlie Kirk (Getty Images). Nel riquadro Tyler Robinson
Attività all'aria aperta in Val di Fassa (Gaia Panozzo)