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2022-05-04
Telefonata fiume tra Macron e Putin. E Mosca evoca lo «tsunami atomico»
Emmanuel Macron e Vladimir Putin (Ansa)
«I negoziati sono bloccati»: parola di Vadym Prystaiko, ambasciatore dell’Ucraina nel Regno Unito, che intervistato ieri mattina dalla tv inglese Itv ha aggiunto che «molti ucraini credono di dover sconfiggere fisicamente i russi sul campo di battaglia» ma al tempo stesso ha ammesso che «è molto difficile prevedere come si possa vincere la guerra in questo momento». Lo stallo dei negoziati è evidente, la strada per una soluzione diplomatica è interrotta. Cerca di renderla di nuovo percorribile Emmanuel Macron, che ieri è tornato a sentire al telefono Vladimir Putin dopo l’interruzione dei frequenti contatti tra Eliseo e Cremlino per la campagna elettorale che si è conclusa con la rielezione del presidente francese. Due ore e 10 minuti è durato il colloquio tra Putin e Macron, che non si sentivano dallo scorso 29 marzo: il presidente francese, a quanto riporta il Cremlino, ha espresso a Putin la sua preoccupazione per la sicurezza alimentare globale: «In questo contesto», ha fatto sapere l’ufficio stampa della presidenza russa, «Putin ha sottolineato che la situazione in materia è complicata principalmente dalle misure sanzionatorie dei paesi occidentali. L’Occidente», ha aggiunto Putin, «potrebbe contribuire alla cessazione di queste atrocità esercitando un impatto appropriato sulle autorità di Kiev e fermando la fornitura di armi. Il leader russo ha detto di essere disposto al dialogo anche se, ha sottolineato, «il governo di Kiev non è serio nei negoziati». L’Eliseo ha diffuso la versione francese del colloquio, secondo la quale Macron ha lanciato a Putin, un appello affinché «la Russia sia all’altezza delle sue responsabilità di membro permanente del Consiglio di sicurezza, mettendo fine alla sua aggressione devastatrice in Ucraina». Il presidente francese ha ribadito «l’estrema gravità delle conseguenze della guerra di aggressione condotta dalla Russia contro l’Ucraina» e ha offerto «la sua disponibilità a lavorare con le organizzazioni internazionali competenti per contribuire a togliere il blocco russo delle esportazioni di derrate alimentari ucraine attraverso il Mar Nero con conseguenze sulla sicurezza alimentare mondiale». Macron ha inoltre sottolineato «il permanere della sua disponibilità a operare alle condizioni di una soluzione negoziata per consentire la pace e il pieno rispetto della sovranità e dell’integrità territoriale dell’Ucraina», ha ribadito la sua esigenza di un cessate il fuoco e ha chiesto alla Russia di «permettere il proseguimento delle evacuazioni dall’acciaieria Azovstal».
Si è tolto per qualche minuto l’elmetto il premier italiano Mario Draghi, che ieri a Strasburgo, nel corso del suo intervento al Parlamento europeo, ha detto che «aiutare l’Ucraina vuol dire soprattutto lavorare per la pace. La nostra priorità è raggiungere quanto prima un cessate il fuoco per salvare vite. Una tregua darebbe anche nuovo slancio ai negoziati, che finora non hanno raggiunto i risultati sperati».
Bellicoso come di consueto il premier britannico Boris Johnson, che ieri si è collegato con la Rada, il parlamento ucraino: «L’Ucraina vincerà, l’Ucraina sarà libera», ha detto Johnson, «ho detto a chiunque conoscessi che l’Ucraina avrebbe combattuto e avrebbe vinto, eppure c’erano alcuni che credevano alla propaganda del Cremlino che l’armata russa sarebbe stata come una forza irresistibile che andava come un coltello nel burro, e che Kiev sarebbe caduta in pochi giorni. Oggi avete dimostrato loro che si sbagliavano completamente», ha aggiunto il leader britannico, che ha anche fatto autocritica sull’atteggiamento occidentale dopo l’annessione della Crimea da parte di Mosca nel 2014: «Siamo stati troppo lenti», ha detto Johnson, «non abbiamo imposto le sanzioni che avremmo dovuto imporre. Non possiamo riprodurre questo errore». Clima rovente: domenica scorsa la televisione di Stato russa Rossija 1 in prima serata ha mandato in onda un video con una simulazione sul missile sottomarino russo Poseidon, un’arma subacquea, a propulsione nucleare, lunga circa 20 metri e con un peso fino a 100 tonnellate. «L’esplosione di questo siluro termonucleare vicino alla costa britannica», ha detto il conduttore, «causerebbe un’onda di tsunami gigante alta fino a 500 metri, che trasporterebbe anche dosi estreme di radiazioni e dopo il suo passaggio sulla Gran Bretagna lascerebbe un deserto radioattivo. Non c’è modo di fermarlo». Il capo di stato maggiore dell’esercito Usa, Mark Milley, ha affermato durante un’audizione al Senato che, con la guerra in Ucraina, «siamo entrati in un nuovo mondo, più instabile, dove il rischio di scontro tra superpotenze è più alto. Russia e Cina sono due potenze con significative capacità militari che vogliono stravolgere l’ordine mondiale basato sul diritto», ha aggiunto Milley, «occorre essere pronti. Il nostro esercito è pronto a fare tutto il necessario per mantenere la pace e la stabilità in Europa». Il Consiglio di sicurezza della Nazioni Unite si riunirà domani, giovedì 5 maggio, per discutere della situazione in Ucraina.
Pioggia di missili sull’acciaieria
Dopo aver esitato a sferrare l’attacco definitivo all’acciaieria Azovstal di Mariupol e aver concesso un corridoio per l’evacuazione di 100 civili che si trovano ora in salvo, le forze russe sembrano aver deciso di sferrare il colpo finale alla struttura. Il complesso è stato bombardato fin dalle prime ore del mattino di ieri, poi i russi avrebbero lanciato l’assalto per entrare nell’impianto. Due donne sarebbero morte nell’offensiva e altri civili sarebbero stati feriti. «La situazione nell’acciaieria Azovstal è molto complicata, i russi stanno cercando di assaltare l’impianto utilizzando veicoli blindati»: così ha descritto la situazione il comandante della 12ª brigata operativa della Guardia nazionale ucraina, Denis Schlega, chiedendo un cessate il fuoco urgente. Il ministero della Difesa russo ha spiegato questo cambiamento di strategia con la motivazione che «i militari del battaglione Azov stavano traendo vantaggio dalla tregua concordata per mettere in salvo i civili asserragliati nell’impianto». Le forze ucraine - secondo l’agenzia di stampa Ria Novosti - avrebbero «approfittato» del cessate il fuoco per uscire dal seminterrato dove si trovavano e prendere posizione negli edifici della fabbrica. «Ora le unità dell’esercito russo e della Repubblica popolare di Donetsk stanno iniziando a distruggere queste postazioni di fuoco», ha affermato ancora il ministero. E mentre la battaglia decisiva per le sorti di Mariupol infuria, a rischio appare il completamento dell’evacuazione dei civili. Sul punto, lo scambio di accuse tra Kiev e Mosca è pesante. Secondo il sindaco di Mariupol, Vadym Boychenko, duemila residenti starebbero aspettando vicino a Berdyansk, a un’ottantina di chilometri dalla città portuale, per essere evacuati a Zaporizhzhia, ma le truppe russe non lo permetterebbero. «Ci risulta che undici autobus siano scomparsi da qualche parte, avrebbero dovuto procedere verso Zaporizhzhia, ma si sono persi. Si perdono in questi centri di filtraggio, i nostri residenti vengono presi e rapiti», denuncia Boychenko. Di tutt’altro tenore le dichiarazioni delle autorità dell’autoproclamata Repubblica popolare di Donetsk (Dpr), che annunciano il successo dell’evacuazione di 393 persone, tra cui 59 bambini, da Mariupol a Bezymennoye nelle ultime 24 ore. «I civili evacuati da Mariupol sono alloggiati in un centro che fornisce assistenza agli sfollati, istituito dal ministero delle Emergenze della Dpr. Dal 5 marzo sono 26.765 in totale le persone evacuate in questa direzione», riferisce il quartier generale della Dpr. E intanto i primi 100 civili che erano fuggiti da Azovstal sono arrivati a Zaporizhzhia e a loro si sono unite lungo il percorso auto di persone in fuga da diversi villaggi. Le Nazioni Unite hanno confermato che un convoglio con 127 civili è giunto nella città controllata dalle forze ucraine.
Ieri sera, infine, esplosioni sono state udite a Leopoli, nell’Ovest del Paese.
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Dopo la tregua elettorale, il presidente francese riprende l’azione diplomatica, ma dal lungo colloquio con lo zar ottiene solo vaghe promesse. La tv russa mostra l’arma nucleare Poseidon e minaccia Londra.Evacuati 100 civili dalle industrie Azovstal, sono ricominciati fitti bombardamenti contro le forze ucraine lì asserragliate. In serata esplosioni a Leopoli e altre città.Lo speciale contiene due articoli.«I negoziati sono bloccati»: parola di Vadym Prystaiko, ambasciatore dell’Ucraina nel Regno Unito, che intervistato ieri mattina dalla tv inglese Itv ha aggiunto che «molti ucraini credono di dover sconfiggere fisicamente i russi sul campo di battaglia» ma al tempo stesso ha ammesso che «è molto difficile prevedere come si possa vincere la guerra in questo momento». Lo stallo dei negoziati è evidente, la strada per una soluzione diplomatica è interrotta. Cerca di renderla di nuovo percorribile Emmanuel Macron, che ieri è tornato a sentire al telefono Vladimir Putin dopo l’interruzione dei frequenti contatti tra Eliseo e Cremlino per la campagna elettorale che si è conclusa con la rielezione del presidente francese. Due ore e 10 minuti è durato il colloquio tra Putin e Macron, che non si sentivano dallo scorso 29 marzo: il presidente francese, a quanto riporta il Cremlino, ha espresso a Putin la sua preoccupazione per la sicurezza alimentare globale: «In questo contesto», ha fatto sapere l’ufficio stampa della presidenza russa, «Putin ha sottolineato che la situazione in materia è complicata principalmente dalle misure sanzionatorie dei paesi occidentali. L’Occidente», ha aggiunto Putin, «potrebbe contribuire alla cessazione di queste atrocità esercitando un impatto appropriato sulle autorità di Kiev e fermando la fornitura di armi. Il leader russo ha detto di essere disposto al dialogo anche se, ha sottolineato, «il governo di Kiev non è serio nei negoziati». L’Eliseo ha diffuso la versione francese del colloquio, secondo la quale Macron ha lanciato a Putin, un appello affinché «la Russia sia all’altezza delle sue responsabilità di membro permanente del Consiglio di sicurezza, mettendo fine alla sua aggressione devastatrice in Ucraina». Il presidente francese ha ribadito «l’estrema gravità delle conseguenze della guerra di aggressione condotta dalla Russia contro l’Ucraina» e ha offerto «la sua disponibilità a lavorare con le organizzazioni internazionali competenti per contribuire a togliere il blocco russo delle esportazioni di derrate alimentari ucraine attraverso il Mar Nero con conseguenze sulla sicurezza alimentare mondiale». Macron ha inoltre sottolineato «il permanere della sua disponibilità a operare alle condizioni di una soluzione negoziata per consentire la pace e il pieno rispetto della sovranità e dell’integrità territoriale dell’Ucraina», ha ribadito la sua esigenza di un cessate il fuoco e ha chiesto alla Russia di «permettere il proseguimento delle evacuazioni dall’acciaieria Azovstal». Si è tolto per qualche minuto l’elmetto il premier italiano Mario Draghi, che ieri a Strasburgo, nel corso del suo intervento al Parlamento europeo, ha detto che «aiutare l’Ucraina vuol dire soprattutto lavorare per la pace. La nostra priorità è raggiungere quanto prima un cessate il fuoco per salvare vite. Una tregua darebbe anche nuovo slancio ai negoziati, che finora non hanno raggiunto i risultati sperati». Bellicoso come di consueto il premier britannico Boris Johnson, che ieri si è collegato con la Rada, il parlamento ucraino: «L’Ucraina vincerà, l’Ucraina sarà libera», ha detto Johnson, «ho detto a chiunque conoscessi che l’Ucraina avrebbe combattuto e avrebbe vinto, eppure c’erano alcuni che credevano alla propaganda del Cremlino che l’armata russa sarebbe stata come una forza irresistibile che andava come un coltello nel burro, e che Kiev sarebbe caduta in pochi giorni. Oggi avete dimostrato loro che si sbagliavano completamente», ha aggiunto il leader britannico, che ha anche fatto autocritica sull’atteggiamento occidentale dopo l’annessione della Crimea da parte di Mosca nel 2014: «Siamo stati troppo lenti», ha detto Johnson, «non abbiamo imposto le sanzioni che avremmo dovuto imporre. Non possiamo riprodurre questo errore». Clima rovente: domenica scorsa la televisione di Stato russa Rossija 1 in prima serata ha mandato in onda un video con una simulazione sul missile sottomarino russo Poseidon, un’arma subacquea, a propulsione nucleare, lunga circa 20 metri e con un peso fino a 100 tonnellate. «L’esplosione di questo siluro termonucleare vicino alla costa britannica», ha detto il conduttore, «causerebbe un’onda di tsunami gigante alta fino a 500 metri, che trasporterebbe anche dosi estreme di radiazioni e dopo il suo passaggio sulla Gran Bretagna lascerebbe un deserto radioattivo. Non c’è modo di fermarlo». Il capo di stato maggiore dell’esercito Usa, Mark Milley, ha affermato durante un’audizione al Senato che, con la guerra in Ucraina, «siamo entrati in un nuovo mondo, più instabile, dove il rischio di scontro tra superpotenze è più alto. Russia e Cina sono due potenze con significative capacità militari che vogliono stravolgere l’ordine mondiale basato sul diritto», ha aggiunto Milley, «occorre essere pronti. Il nostro esercito è pronto a fare tutto il necessario per mantenere la pace e la stabilità in Europa». Il Consiglio di sicurezza della Nazioni Unite si riunirà domani, giovedì 5 maggio, per discutere della situazione in Ucraina. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/telefonata-fiume-tra-macron-e-putin-e-mosca-evoca-lo-tsunami-atomico-2657258748.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="pioggia-di-missili-sullacciaieria" data-post-id="2657258748" data-published-at="1651610689" data-use-pagination="False"> Pioggia di missili sull’acciaieria Dopo aver esitato a sferrare l’attacco definitivo all’acciaieria Azovstal di Mariupol e aver concesso un corridoio per l’evacuazione di 100 civili che si trovano ora in salvo, le forze russe sembrano aver deciso di sferrare il colpo finale alla struttura. Il complesso è stato bombardato fin dalle prime ore del mattino di ieri, poi i russi avrebbero lanciato l’assalto per entrare nell’impianto. Due donne sarebbero morte nell’offensiva e altri civili sarebbero stati feriti. «La situazione nell’acciaieria Azovstal è molto complicata, i russi stanno cercando di assaltare l’impianto utilizzando veicoli blindati»: così ha descritto la situazione il comandante della 12ª brigata operativa della Guardia nazionale ucraina, Denis Schlega, chiedendo un cessate il fuoco urgente. Il ministero della Difesa russo ha spiegato questo cambiamento di strategia con la motivazione che «i militari del battaglione Azov stavano traendo vantaggio dalla tregua concordata per mettere in salvo i civili asserragliati nell’impianto». Le forze ucraine - secondo l’agenzia di stampa Ria Novosti - avrebbero «approfittato» del cessate il fuoco per uscire dal seminterrato dove si trovavano e prendere posizione negli edifici della fabbrica. «Ora le unità dell’esercito russo e della Repubblica popolare di Donetsk stanno iniziando a distruggere queste postazioni di fuoco», ha affermato ancora il ministero. E mentre la battaglia decisiva per le sorti di Mariupol infuria, a rischio appare il completamento dell’evacuazione dei civili. Sul punto, lo scambio di accuse tra Kiev e Mosca è pesante. Secondo il sindaco di Mariupol, Vadym Boychenko, duemila residenti starebbero aspettando vicino a Berdyansk, a un’ottantina di chilometri dalla città portuale, per essere evacuati a Zaporizhzhia, ma le truppe russe non lo permetterebbero. «Ci risulta che undici autobus siano scomparsi da qualche parte, avrebbero dovuto procedere verso Zaporizhzhia, ma si sono persi. Si perdono in questi centri di filtraggio, i nostri residenti vengono presi e rapiti», denuncia Boychenko. Di tutt’altro tenore le dichiarazioni delle autorità dell’autoproclamata Repubblica popolare di Donetsk (Dpr), che annunciano il successo dell’evacuazione di 393 persone, tra cui 59 bambini, da Mariupol a Bezymennoye nelle ultime 24 ore. «I civili evacuati da Mariupol sono alloggiati in un centro che fornisce assistenza agli sfollati, istituito dal ministero delle Emergenze della Dpr. Dal 5 marzo sono 26.765 in totale le persone evacuate in questa direzione», riferisce il quartier generale della Dpr. E intanto i primi 100 civili che erano fuggiti da Azovstal sono arrivati a Zaporizhzhia e a loro si sono unite lungo il percorso auto di persone in fuga da diversi villaggi. Le Nazioni Unite hanno confermato che un convoglio con 127 civili è giunto nella città controllata dalle forze ucraine. Ieri sera, infine, esplosioni sono state udite a Leopoli, nell’Ovest del Paese.
In alto a sinistra una «Rettungsboje» tedesca. Sotto, la boa Asr-10 inglese e i rispettivi esplosi
Nei mesi della Battaglia di Inghilterra, iniziata nel luglio 1940 dopo la rapida caduta della Francia, la guerra aerea fu l’essenza della strategia da entrambe le parti. La Luftwaffe, con i suoi 2.500 velivoli in condizioni operative, superò inizialmente la Royal Air Force, che in quel periodo iniziò un enorme sforzo industriale per cercare di ridurre il «gap» numerico e tecnologico (nacquero in quel periodo i fortissimi caccia Hawker «Hurricane» e Supermarine «Spitfire» che saranno decisivi per l’esito finale della battaglia). Se le fabbriche sfornavano centinaia di velivoli al mese (i tedeschi con i Messerschmitt Bf 109, gli Heinkel 111 e i Dornier Do17), i comandi delle due aviazioni non potevano formare altrettanti piloti in così poco tempo, rendendo la figura dell’aviatore un bene preziosissimo da preservare il più possibile viste le ingenti perdite in battaglia. Un aspetto così delicato in un momento così drammatico per l’esito della guerra fu affrontato per primo dagli alti comandi della Luftwaffe. La necessità era quella di salvare il più alto numero di equipaggi in un teatro di operazioni principalmente localizzato nello specchio di mare della Manica, sopra il quale nel picco dei combattimenti dell’agosto 1940 volavano quotidianamente oltre 1.500 aerei.
La soluzione per il salvataggio degli aviatori in caso di ammaraggio con sopravvissuti venne da un ex asso della Grande Guerra, il generale di squadra aerea Ernst Udet. L’ufficiale, secondo solamente al «Barone Rosso» Manfred von Richtofen per numero di abbattimenti, era stato da poco nominato responsabile per la logistica e gli appalti della forza aerea del Terzo Reich. Fu nel picco delle operazioni dell’estate 1940 che Udet sviluppò la sua idea: una boa «abitabile», posizionata nei tratti di mare statisticamente più soggetti agli ammaraggi e ancorata al fondale. I piloti potevano leggerne la posizione sulle carte aeronautiche in dotazione. Di forma esagonale, la «Rettungsboje» (letteralmente boa di soccorso) aveva una superficie abitabile di 4 metri quadrati. Lo scafo aveva un’altezza di 2.5 metri ed era sovrastato da una torretta finestrata di ulteriori 1,8 metri. Verniciata in giallo, presentava una visibile croce rossa (standard della Convenzione di Ginevra) sui lati della torretta. All’interno dello scafo potevano trovare alloggio sicuro quattro aviatori, con due cuccette a castello ancorate alla struttura per rimanere stabili nel mare agitato. Riscaldata da una stufa ad alcool, la boa offriva razioni d’emergenza e acqua ma anche cognac, sigarette e carte da gioco. Negli armadi erano presenti il kit di primo soccorso ed abiti asciutti, mentre le comunicazioni erano fornite da una radio ricetrasmittente. All’interno c’erano anche una pompa per eventuali falle e un canotto per raggiungere i soccorsi una volta giunti nei pressi della boa. Completavano l’equipaggiamento razzi di segnalazione e una macchina per i fumogeni di emergenza. Il personale ospitato dalle boe poteva resistere protetto dall’ipotermia e dai marosi anche per una settimana nell’attesa che un idrovolante di soccorso o una nave li raggiungesse.
Circa 50 furono le «Rettungsbuoje» dislocate nella Manica, contribuendo al salvataggio di un numero imprecisato di aviatori. Gli inglesi realizzarono un mezzo simile nello stesso periodo, seppure molto differente nella forma. La boa ASR-10 (Air Sea Rescue Float) assomigliava molto ad un motoscafo, seppur priva di propulsore. Era studiata per facilitare l’accesso da parte dei naufraghi in balia delle onde, con la poppa digradante verso l’acqua. L’equipaggiamento era molto simile a quello della boa tedesca. Dipinta in rosso e arancio vivaci, fu realizzata in 16 esemplari ancorati nel braccio di mare tra Inghilterra e Francia tra il 1940 ed il 1941. Oggi un esemplare è conservato presso lo Scottish Maritime Museum.
Le boe tedesche, dopo la fine della Battaglia di Inghilterra, furono spostate presso le Channel Islands, il piccolo arcipelago occupato temporaneamente dai tedeschi e utilizzate come punti di vedetta o di difesa dopo essere state munite di una mitragliatrice. A causa della loro vulnerabilità furono quasi tutte affondate dagli aerei della Raf. Un esemplare recuperato nel 2020 dopo essere rimasto per decenni arenato e insabbiato a Terschelling nelle isole Frisone occidentali è conservato al «Bunkermuseum» dell’isola olandese.
Ernst Udet, dopo l’esito infausto della Battaglia d’Inghilterra per la Luftwaffe, già in preda all’alcolismo cadde in depressione. Si tolse la vita a Berlino il 17 novembre 1941, forse anche per le conseguenze della pressione psicologica che Hermann Göring esercitò sull’ufficiale dell’aeronautica addossandogli la responsabilità della sconfitta.
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Stanno comparendo in diverse città italiane, graditi soprattutto alle giunte di centro sinistra e in particolare ai fanatici delle zone con limitazione di traffico a 30kmh. Basta una nottata e grazie a una serie di tasselli inseriti nell’asfalto l’installazione è fatta. Tutto bello? Non proprio: a ben guardare la normativa riguardante tale soluzione è Incompleta, poiché In Italia non sono previsti nel dettaglio dal Codice della Strada e questo rende la loro adozione più complicata sul pano della burocrazia. In pratica, per ora la loro installazione avviene solo tramite sperimentazione autorizzata dal Ministero dei Trasporti. Ci sono poi alcune questioni tecniche: andrebbero installati soltanto sulle strade con bassa densità di traffico e, appunto, laddove il limite è già 30 km/h, e questo giocoforza li rende una soluzione praticabile soltanto in alcune zone. Inoltre, i cuscini berlinesi devono essere posizionati a una distanza tale da curve e incroci per permettere ai veicoli più grandi di potersi raddrizzare completamente dopo aver effettuato la svolta prima di valicarli. Il peggio però è altro: se chi è distratto da aver superato di poco il limite, finendoci sopra rischia di danneggiare la vettura e ciò accadrà ancora di più se essa è poco rialzata da terra. Ma se la distrazione o le condizioni psicofisiche del conducente sono alterate al punto che egli non si sta rendendo conto della sua velocità, e questa è elevata, egli può facilmente perdere il controllo, ad andare bene finendo per sbattere contro altri mezzi, peggio finendo per travolgere delle persone. E non mancano neppure i problemi di manutenzione, poiché nel tempo si usurano a causa delle pressioni ma anche dell’irraggiamento solare e degli sbalzi di temperatura. Laddove sono stati applicati in modo diffuso è in Francia e nel Regno Unito, nazioni che ne hanno definito le specifiche riprendendo a loro volta quelle tedesche. Il Dipartimento per i trasporti del Regno Unito già nel 1984 aveva fissato la pendenza massima degli elementi al 12,5% per le rampe longitudinali di ingresso e di uscita dai cuscini, ed il rapporto del 25% per le rampe trasversali laterali. Stando a quanto si trova online, la Francia prevede rampe longitudinali con pendenze molto più elevate: le rampe devono essere lunghe 20 cm per cuscini alti 5 cm (con una pendenza del 25%), 25 cm per cuscini alti 7 cm (con una pendenza del 28%). Rampe così ripide devono essere adottate con cautela: indagini condotte dal Dipartimento dei trasporti britannico hanno mostrato che, con rampe longitudinali dalla pendenza maggiore del 17%, i veicoli rischiavano di toccare il con il fondo riportando seri danni: dalla distruzione dell’impianto di scarico fino alla rottura della coppa dell’olio con annesso sversamento del fluido e inquinamento. Di conseguenza essi devono essere particolarmente ben segnalati – tipicamente con verniciature gialle – ma anche tale caratteristica tende ovviamente a degradarsi con il tempo. E stante il livello di manutenzione delle nostre strade è facile prevedere che dovremo confidare nell’attenzione di chi guida e nell’illuminazione pubblica. Una delle questioni è anche come gli automobilisti reagiscono quando si accorgono in ritardo della loro presenza: frenate improvvise e repentine deviazioni di traiettoria sono all’ordine del giorno. Stando ai dati raccolti dalle municipalità che in Europa li stanno utilizzando da tempo la velocità media di superamento dei cuscini berlinesi di è di poco superiore ai 22 km/h per larghezze di 1,9 metri, mentre sale a 30 km/h per quelli più stretti, che quindi provocano nei conducenti meno apprensione per l’impatto sotto gli pneumatici. E di conseguenza illudono che l’effetto di un attraversamento accelerato sia inferiore. Invece il botto è garantito. Pur sapendo che taluni lettori non saranno d’accordo, chi scrive pensa che la sicurezza (stradale in primis), nasca dalla cultura della consapevolezza e non dalle costrizioni. E che più una strada è sgombra, più ridotto è il rischio di fare incidenti.
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Giovanni Malagò (Getty Images)
Adesso si trova in Campania, dopo esser passata tra Lazio, Umbria Toscana, Sardegna, Sicilia e Calabria. Molte regioni verranno ripercorse di nuovo, in lungo e in largo. Il 26 gennaio tornerà invece, dopo 70 anni esatti dalla Cerimonia d’Apertura dei Giochi, a Cortina d’Ampezzo e concluderà il suo tragitto a Milano facendo il suo ingresso allo Stadio di San Siro, la sera di venerdì 6 febbraio 2026. 10.000 tedofori la stanno conducendo tra volti noti e persone comuni. I primi volti noti dello spettacolo e dello sport sono il cantante Achille Lauro, Flavia Pennetta, icona del nostro tennis, vincitrice degli US Open 2015 e di 4 Billie Jean King Cup e Francesco Bagnaia, due volte campione del mondo di MotoGP e una in Moto2. Tantissimi altri ancora e altri ce ne saranno. Anche perché la storia del Viaggio della Fiamma è piena di leggende, come Muhammad Alì ad Atlanta 1996, Cathy Freeman a Sydney 2000 e poi ancora la fondista Stefania Belmondo, ultima tedofora di Torino 2006 vent’anni fa nell’ultima edizione invernale italiana, dopo le frazioni di altri campioni olimpici azzurri come Alberto Tomba, Manuela Di Centa, Silvio Fauner e Deborah Compagnoni (nella foto di copertina). Quattro anni prima, invece, l’intera squadra statunitense di hockey maschile del “Miracolo sul ghiaccio” di Lake Placid 1980 che accese il braciere di Salt Lake City 2002 tra la commozione del pubblico statunitense.
La fiamma olimpica nasce con le prime olimpiadi nell'antica Grecia, dove il fuoco sacro ardeva in onore degli dèi durante i Giochi originali. La tradizione moderna è stata reintrodotta con l'accensione del braciere ai Giochi Olimpici di Amsterdam nel 1928 e la prima staffetta della torcia a Berlino nel 1936. Le torce di #MilanoCortina2026 sono un omaggio al design italiano con uno stile che mette al centro la fiamma. Eleganti. Iconiche. Sostenibili. Si chiamano Essential e portano con sé lo spirito dei Giochi che verranno.
La fiamma paralimpica partirà invece il 24 febbraio 2026 e si concluderà il 6 marzo 2026, giorno della cerimonia di apertura dei Giochi paralimpici all’Arena di Verona. Sfilerà nelle mani di 501 tedofori per 2.000 chilometri in 11 giorni. “La fiamma paralimpica verrà accesa il 24 febbraio a Stoke Mandeville in Inghilterra, storico luogo di nascita dello sport Paralitico - dichiara Maria Laura Iascone, Ceremonies Director di Fondazione Milano Cortina 2026 -. L’arrivo in Italia coinciderà con l’inizio di un viaggio che focalizzerà l’attenzione e l’entusiasmo verso le Paralimpiadi, amplificandone i messaggi di rispetto e inclusività, e generando un volano di entusiasmo, attesa e partecipazione intorno agli atleti paralimpici”. Dopo l'accensione nel Regno Unito, la fiamma paralimpica animerà 5 Flame Festival dal 24 febbraio al 2 marzo a Milano, Torino, Bolzano, Trento e Trieste, con la cerimonia di unione delle Fiamme il 3 marzo a Cortina d’Ampezzo. Dal 4 marzo, la fiamma raggiungerà Venezia e Padova, per fare il suo ingresso il 6 marzo all’Arena di Verona per la cerimonia di apertura dei Giochi paralimpici.
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Tra Natale ed Epifania il turismo italiano supera i 7 miliardi di euro di giro d’affari. Crescono presenze, viaggi interni ed esperienze artigianali, con città d’arte e montagne in testa alle preferenze.
Le settimane comprese tra il Natale e l’Epifania si confermano uno dei momenti più redditizi dell’anno per il turismo italiano. Secondo le stime di Cna Turismo e Commercio, il giro d’affari generato tra feste, fine anno e Befana supera i 7 miliardi di euro. Un risultato che non fotografa soltanto l’andamento economico del settore, ma racconta anche un’evoluzione nelle scelte e nelle aspettative dei viaggiatori.
Nel periodo festivo sono attesi oltre 5 milioni di turisti che trascorreranno almeno una notte in una struttura ricettiva: circa 3,7 milioni sono italiani, mentre 1,3 milioni arrivano dall’estero. A questi si aggiunge una platea ben più ampia di persone in movimento: oltre 20 milioni di individui si sposteranno per escursioni giornaliere, soggiorni nelle seconde case o visite a parenti e amici.
Per quanto riguarda i flussi internazionali, la componente europea resta prevalente, con arrivi soprattutto da Francia, Germania, Spagna e Regno Unito. Fuori dal continente, si segnalano presenze significative da Stati Uniti, Canada e Cina. Le preferenze delle destinazioni confermano una tendenza ormai consolidata. In cima alle scelte ci sono le città e i borghi d’arte, seguiti dalle località di montagna. Due modi diversi di vivere le vacanze natalizie: da un lato l’attrazione per il patrimonio culturale, i mercatini e le atmosfere urbane illuminate dalle feste; dall’altro la ricerca della neve, degli sport invernali e di un contatto più diretto con l’ambiente naturale.
Alla base di questo successo concorrono diversi fattori. L’Italia continua a esercitare un forte richiamo quando si parla di tradizioni natalizie: dai presepi, in particolare quelli napoletani, ai mercatini dell’arco alpino, passando per i centri storici addobbati e le celebrazioni religiose che trovano a Roma uno dei loro punti centrali. Un insieme di elementi che costruisce un’offerta culturale difficilmente replicabile. Proprio la dimensione religiosa e identitaria del Natale italiano rappresenta un elemento di attrazione per molti visitatori nordamericani e per i turisti provenienti da Paesi di tradizione cattolica, spesso alla ricerca di un’esperienza percepita come più autentica rispetto a celebrazioni considerate eccessivamente commerciali. A questo si aggiunge la varietà climatica del Paese: temperature più miti al Sud e nelle isole per chi vuole evitare il freddo, condizioni ideali sulle Alpi per gli amanti dello sci e della montagna. Un segnale particolarmente rilevante arriva dalla crescita delle cosiddette esperienze, soprattutto quelle legate all’artigianato. Sempre più viaggiatori scelgono di affiancare alla visita dei luoghi la partecipazione diretta ad attività tradizionali: dalla preparazione della pasta fresca alle lavorazioni del vetro di Murano, fino alla ceramica umbra e toscana. È un approccio che indica un cambiamento nel modo di viaggiare, meno orientato alla semplice osservazione e più alla partecipazione.
Questo interesse incrocia diverse tendenze attuali: il bisogno di autenticità in un contesto sempre più standardizzato, la volontà di riportare a casa un’esperienza che vada oltre il souvenir e l’attenzione verso il “saper fare” italiano, riconosciuto come patrimonio immateriale di valore internazionale.
Sul piano economico incidono anche fattori più generali. La ripresa del potere d’acquisto delle classi medie in Europa e negli Stati Uniti, dopo anni di incertezza, ha sostenuto la propensione alla spesa per le vacanze. Il rafforzamento del dollaro favorisce i turisti statunitensi, mentre la fase di stabilizzazione successiva alla pandemia ha contribuito a ricostruire la fiducia nei viaggi. Il periodo natalizio rappresenta inoltre uno degli esempi più riusciti di destagionalizzazione, obiettivo perseguito da tempo dagli operatori del settore. Le strutture ricettive registrano livelli di occupazione elevati in settimane che in passato erano considerate marginali. Anche i collegamenti giocano un ruolo chiave: l’espansione dei voli low cost e il miglioramento dell’offerta ferroviaria rendono più accessibili non solo le grandi città, ma anche destinazioni meno centrali, favorendo una distribuzione più ampia dei flussi.
Accanto ai dati positivi emergono però alcune criticità. La concentrazione dei visitatori rischia di mettere sotto pressione alcune mete, mentre altre restano ai margini. Il turismo di prossimità, rappresentato dai milioni di italiani che si spostano senza pernottare in alberghi o strutture ricettive, costituisce un bacino ancora parzialmente inesplorato. Allo stesso tempo, la crescente domanda di esperienze personalizzate richiede investimenti in formazione e una maggiore integrazione tra operatori locali.
Le festività di fine anno restano comunque un motore fondamentale per l’economia del turismo, in grado di coinvolgere l’intera filiera: ristorazione, artigianato, trasporti e offerta culturale. Un patrimonio che, per continuare a produrre risultati nel tempo, richiede una strategia capace di innovare senza snaturare quell’autenticità che rappresenta il vero punto di forza del sistema italiano.
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