2022-03-29
Occhio alla tecnologia russa che è nelle scatole nere delle nostre autovetture
L’azienda leader nella produzione di black box per automobili è moscovita: a rischio i dati sensibili di tantissimi italiani. E sono molti i settori che hanno problemi analoghi.Se il nove maggio la guerra tra Russia e Ucraina sarà davvero finita, o almeno ci sarà una tregua credibile, oltre a smettere di contare morti e feriti potremo tirare un sospiro di sollievo del valore di qualche miliardo di dollari per l’economia. Meno tranquilla resterà invece la preoccupazione di come gestire o recuperare i rapporti con realtà tecnologiche e finanziarie russe che controllano settori delicati, per non dire strategici. Non solo l’informatica quindi, con i prodotti Kaspersky messi al bando dall’amministrazione pubblica dopo l’inizio della guerra Russia-Ucraina, perché la tecnologia e la finanza di Mosca nell’economia italiana, alla fine di gennaio 2022 avevano un valore pari a circa tre miliardi di dollari, mentre ben cinque sono quelli che l’Italia aveva investito in quella russa. Risultava ancora di azionisti moscoviti per oltre il 48% la Octo, posseduta in parte dal fondo Renova (dal 2018 da Octo Telematics di Londra), colosso dell’energia e delle telecomunicazioni fondato da Viktor Vekselberg (imprenditore di famiglia ebrea e origine ucraina), che dà lavoro a 134.000 addetti in tutto il mondo. Octo - di fondazione italiana (1998, creata da Fabio Sbianchi e Giuseppe Zuco), ha una sede a Roma ed è una delle maggiori aziende europee di big-data dell’automotive, specializzate nelle cosiddette scatole nere per gli automezzi, quindi nella fornitura di informazioni sensibili alle assicurazioni. Nel 2019 è stata calcolata una presenza di black box nel 23,4% delle polizze auto, con punte del 60% per alcune province del Sud. C’è da chiedersi se sia il caso di lasciare in mano russa (sempre che lo sia ancora la società attuale, ufficialmente inglese), un’immensa mole di dati sensibili riguardanti le nostre abitudini di guida, ma anche, in previsione dell’elettrificazione del settore, dei software per la gestione della mobilità elettrica. Lo stesso vale per Edb Fakel (ex Okb Fakel), società produttrice di Kaliningrad specializzata nientemeno che in motori per satelliti. Suoi sono i propulsori che la compagnia di telecomunicazioni Oneweb (alla quale partecipa anche il governo inglese), ha messo al bando dopo l’inizio delle ostilità in Ucraina: si trattava di fornire la propulsione a 648 satelliti a bassa orbita, con la possibilità di arrivare a 900 esemplari. Ma russi potrebbero essere anche i motori del nuovo satellite franco-italiano per le comunicazioni militari Sicral-3 (Thales Alenia Space), sul quale ora si pensa di installare propulsori francesi Safran, essendo i programmi italiani in questo senso ancora in fase di qualifica. Ebbene, a proposito di questo programma, il ministro per l’Innovazione, Vittorio Colao, durante l’audizione alla Commissione permanente industria, attività produttive e turismo del 23 febbraio scorso, ha annunciato che i fondi del Pnrr per la parte comunicazioni satellitari (Satcom) saranno affidati a Thales Alenia Space e Telespazio, con l’obbiettivo di prevedere per il satellite Sicral-3 un utilizzo anche civile oltre che militare. Si tratta di 320 milioni affidati direttamente a un progetto già in corso e a una compagine di aziende che non sono sicuramente piccole e medie alle quali i fondi Pnrr servirebbero per sopravvivere. Essendo poi Thales Alenia Space più francese che italiana, la speranza che questo denaro aiuti la nostra industria è praticamente nulla, e stanti i rapporti tra Putin e Macron, figuriamoci in che mani metteremmo la nostra sicurezza delle telecomunicazioni militari se per il satellite dovesse essere scelto un motore russo. È necessario tuttavia ricordare che dopo la pandemia, con le relazioni economiche tra Russia e Italia che avevano ricominciato a crescere, eravamo tornati a essere il terzo partner commerciale europeo di Mosca. A parte l’energia e gli accordi tra Gazprom ed Eni, compravamo da Putin prodotti minerali e metalli preziosi in grande quantità destinati alla lavorazione di precisione, e il 26 gennaio scorso la Rosneft (compagnia petrolifera la cui maggioranza è del governo russo), aveva firmato un contratto con la nostra Maire Tecnimont per costruire una nuova raffineria a Rjazan, cittadina situata 80 km a sudest di Mosca. Tralasciando quanto abbiamo perso negli ultimi anni in fatto di esportazioni di prodotti di lusso a causa delle sanzioni applicate alla Russia dall’Unione europea, siamo ancora legati a russi in molti settori, alcuni altamente tecnologici anche se non elettronici. Non a caso negli ultimi quattro anni per alleviare gli effetti delle sanzioni di Bruxelles eravamo passati dal «fatto in Italia» al «fatto con l’Italia», ovvero creando produzione congiunta di beni e servizi. Così abbiamo investito oltre mezzo miliardo di euro nei parchi eolici russi di Stavropol, Rostov e Murmansk, tra i quali quello di Azov, che è in funzione dal maggio 2021. Unicredit, insieme con altre banche, ha finanziato uno dei maggiori produttori di titanio al mondo, la russa Vsmpo-Avisma, mettendo parte dei 400 milioni che la società ha ricevuto negli ultimi mesi. E tra i programmi italo-russi che ci auguriamo di non perdere, il primo al mondo per la produzione di acciaio con una tecnologia sostenibile, quello sul quale stanno lavorando l’Italiana Danieli con la russa Ekolant. Ecco dunque degli ottimi motivi per i quali avremmo dovuto condannare l’aggressione a Kiev ma evitare di prendere con Mosca posizioni troppo dure e tali da farci perdere ogni credibilità come mediatori di pace. Un giorno potremmo salire sulla nostra nuova automobile elettrica e restare bloccati da un software, non riuscire a far comunicare in modo sicuro i nostri militari e dover ricominciare da zero per eseguire lavorazioni metallurgiche pulite. Quanto all’energia, stiamo già pagando.