2020-06-18
Tecnico di Autostrade a processo: «Mentì sulla strage del bus»
Giovanni Castellucci (Ansa)
Paolo Anfosso disse in aula che il cda della ditta aveva impedito i lavori sul guard rail dell'A16, però poi ritrattò. E Giovanni Castellucci fu assolto.Era il testimone chiave dell'inchiesta, ma ora l'accusa sostiene che le sue dichiarazioni nel processo per la strage del bus saltato dal viadotto Acqualonga, sulla Napoli-Canosa, il 28 luglio 2013, provocando la morte di 40 persone, siano una falsa testimonianza. La versione diametralmente opposta che ha reso in aula rispetto a quella che fornì durante le indagini gli costerà un processo. La prima udienza è fissata per il 2 novembre. Paolo Anfosso, responsabile del progetto di revisione delle barriere di Autostrade per l'Italia, cambiando rotta, è l'ipotesi dell'accusa, potrebbe aver contribuito all'assoluzione dei vertici della concessionaria autostradale, compreso l'ex amministratore delegato Giovanni Castellucci, che erano imputati del reato di omicidio colposo. Nelle 380 pagine con cui è stata motivata la sentenza (depositata 11 mesi fa e impugnata dalla Procura), il giudice Luigi Buono ritenne che la responsabilità del disastro non fosse da accollare ai livelli più alti della società che detiene la concessione della A16, perché non si era riscontrata «nessuna violazione di una regola cautelare» imposta dai loro ruoli apicali che attribuivano «la gestione dello specifico rischio per la sicurezza e l'incolumità degli utenti della strada». E se durante le indagini Anfosso aveva ammesso di non aver sostituito le barriere (sotto accusa per non aver contenuto l'urto con il bus carico di pellegrini) perché c'era stata un'indicazione degli amministratori di Autostrade, nel dibattimento il progettista rettificò il verbale, sostenendo che le disposizioni di Castellucci e del cda non avrebbero avuto nessuna correlazione con quanto dichiarato da lui poco tempo dopo la strage. A quel punto la Procura ha iscritto nel registro degli indagati Anfosso, nonostante il giudice Buono abbia scritto in sentenza di non ravvisare gli estremi per una falsa testimonianza. Il gup Paolo Cassano, al quale è arrivato il capo d'imputazione a carico di Anfosso, però, è stato di parere opposto. E ora i magistrati sembra che stiano valutando di chiedere l'acquisizione dei nuovi atti nel processo d'appello che è in corso a Napoli, dove è in discussione il ricorso presentato dall'ex procuratore Rosario Cantelmo e dal pm Cecilia Annecchini contro la sentenza di primo grado, che portò a otto condanne e a sette assoluzioni. Per quella tragedia sono ritenuti colpevoli solo il proprietario del bus volato giù rompendo l'inconsistente barriera, un funzionario della motorizzazione civile e i responsabili di Autostrade di quel tronco che hanno ricoperto quel ruolo nel corso degli anni.Che la barriera fosse di carta velina il giudice l'ha riconosciuto. Ma la responsabilità l'ha circoscritta solo a chi di fatto aveva in cura quel tronco di strada.Il bus, di costruzione molto datata, tornava da un viaggio di alcuni giorni tra Telese Terme, in provincia di Benevento, e San Giovanni Rotondo, in provincia di Foggia, dove i passeggeri erano stati in pellegrinaggio per Padre Pio. Su un tratto in discesa, poco prima di quel maledetto viadotto, si rompe il cardano e danneggia i freni. L'autobus travolge le altre auto. E nel punto in cui la strada si fa più stretta impatta con la barriera, che cede, e vola giù. Nella relazione tecnica richiesta dalla Procura avellinese ai periti Alessandro Lima, Andrea Demaggi, Lorenzo Caramma e Vittorio Gianotto, il vero atto di accusa contro Autostrade, gli esperti sostengono che «la barriera non ha funzionato come avrebbe dovuto e come avrebbe potuto in condizioni di corretta manutenzione, a causa dell'elevato stato di corrosione dei tirafondi. E il degrado dei tirafondi è la causa fisica principale del fatto che la barriera non è stata in grado di contenere il veicolo». Durante la sua requisitoria Cantelmo aveva chiesto ai giudici «una sentenza giusta, che non consenta a nessuno di farla franca». E aveva argomentato: «Nulla di tutto questo si sarebbe verificato se Autostrade avesse semplicemente adempiuto al suo dovere contrattuale». E rincarando la dose, aveva aggiunto: «Non ci sarebbe stata nessuna strage se fossero state compiute con osservanza le attività previste in concessione per le quali Autostrade è retribuita lautamente dai pedaggi, dunque dai cittadini, anche quei quaranta che a causa della scorretta manutenzione sono volati giù». Quella barriera, è emerso durante il processo, con tutti i tirafondi integri, durante l'incidente avrebbe contenuto agevolmente l'autobus sul viadotto. Ed è questo il particolare che ha impedito ai familiari di buttare giù uno dei bocconi più amari. Ora, però, la Procura ritiene che siano emersi fatti nuovi. Non c'è solo l'imputazione per Anfosso tra i documenti in fase di valutazione. Dall'inchiesta della Procura di Genova sul crollo del ponte Morandi è saltata fuori una intercettazione ritenuta probabilmente rilevante: Paolo Berti, ex direttore di tronco condannato in primo grado a cinque anni e sei mesi per la strage di Acqualonga, è stato intercettato mentre si lamentava (sostenendo che avrebbe potuto dire la verità mettendo «nei guai altre persone») con il responsabile delle manutenzioni, Michele Donferri, per le dichiarazioni rese al processo di Avellino. Ed è soprattutto la risposta di Donferri ad aver creato interesse nei magistrati avellinesi: «Aspettali al varco pensa soltanto a stringere un accordo col capo punto e basta». Qualcosa di importante sulla strage del bus, insomma, potrebbe ancora non essere venuta completamente fuori.
L'ex amministratore delegato di Mediobanca Alberto Nagel (Imagoeconomica)