2024-12-14
Dopo averci rovinato, Tavares fa il patriota
Prima ha sradicato la produzione d’auto in Italia, ora l’ex di Stellantis si candida a entrare nella compagnia aerea portoghese Tap per evitare che finisca in mani straniere. Un «piano B» che aveva già in tasca quando si è dimesso. «I miei maxi compensi? Giusti».Tutti bravi a globalizzare con il Paese degli altri. Carlos Tavares, dopo aver tentato in tutti i modi di distruggere l’auto italiana andando a produrre nell’Est Europa e in Nord Africa e incassata la buonuscita milionaria, ora farà il patriota per il suo Portogallo. Come? Vigilando che la compagnia aerea Tap «non finisca in mani straniere». L’ex amministratore delegato di Stellantis, colto da improvviso patriottismo a 66 anni, è già stato contattato dal governo di Lisbona e ha affermato che punta ad avere un ruolo nella privatizzazione della compagnia di bandiera o come investitore o come amministratore non esecutivo. E, intervistato da un periodico portoghese sui maxi emolumenti incassati dall’ex Fca, ha spiegato che certi compensi li decide il mercato. «A molta gente questa cosa non piace, ma a me sì», ha aggiunto, candidandosi a vincere in extremis il premio strafottenza 2024.L’ex alter ego di Jonh Elkann, del quale si è detto «quasi amico» smentendo il licenziamento, si è confidato a tutto campo con il periodico lusitano Expresso, al quale ha svelato di essere stato avvicinato da «un gran numero di amici che sono venuti da me per chiedermi se volevo partecipare a questo progetto di privatizzazione». L’ingegnere con la passione delle gare sportive ha tenuto a sottolineare che «non è stata ancora presa alcuna decisione», ma ha fatto vedere di avere già le idee molto chiare: «Tap, della quale lo Stato ha il 51%, resterà in Portogallo, con lo Stato portoghese (come socio di minoranza, ndr), con dirigenti portoghesi e investitori portoghesi». Ed è restato nel vago solo su stesso, visto che alle domande sul proprio ruolo ha risposto che «potrebbe essere a livello di board, potrebbe essere a livello di investitore ma, probabilmente, da amministratore non esecutivo». In realtà, i sondaggi per Tap erano partiti prima del suo addio a Parigi e quando si è dimesso aveva in tasca un «piano B».Tap stava fallendo e nel 2020, ai tempi del Covid, fu nazionalizzata con il via libera di Bruxelles e con una spesa di 3,2 miliardi dei contribuenti portoghesi. Tutta l’operazione fu gestita dall’ex premier socialista Antonio Costa, oggi presidente del Consiglio d’Europa, in ottimi rapporti con Tavares, anche se l’amico più stretto che il manager ha tra i socialisti del suo Paese è l’ex premier José Socrates, che ha lasciato la politica dopo una brutta inchiesta per corruzione ed evasione fiscale. Secondo la stampa portoghese, uno dei principali sponsor dell’operazione Air Tavares sarebbe Paulo Pereira, proprietario della Agriberia, di alcuni grandi alberghi in Portogallo e di società della grande distribuzione in Francia. Parlando a un seminario nell’Università di Porto, pochi giorni fa, Pereira ha svelato che l’amico «ha accettato di candidarsi per la guida di Tap». E ha anche spiegato il senso della manovra: «Gli investimenti speculativi di certi investitori esteri non portano alcun valore aggiunto al Paese. Sembra che una decina di compagnie, inclusi giganti come Lufthansa e Air France, siano interessate. Del resto, il Portogallo ha una delle posizioni più strategiche del mondo».Ricapitolando, il Portogallo nazionalizza, salva e rimette sul mercato la Tap, come fosse una sorta di Monte dei Paschi con le ali, tutto sotto il controllo ferreo di Bruxelles, pronta a sanzionare gli aiuti di Stato. Poi al governo qualcuno si rende conto che il Portogallo vive di turismo e cedere agli stranieri la compagnia di bandiera potrebbe svuotare il bel giocattolo, deviando traffico verso altri hub e verso altre destinazioni. Magari francesi o spagnole. Ed ecco che arriva Tavares, passaporto francese e portoghese, ex consigliere di amministrazione di Airbus, manager «globale» come pochi. Da capo di Stellantis, quando Elkann andava a Parigi giusto per incassare la montagna di dividendi che Tavares ha sempre garantito, ha fatto girare le promesse della mitica gigafactory di batterie per tutta Europa (prendendo per il naso un po’ di governi), ha spostato produzioni di utilitarie Fiat in Serbia, Polonia e Nord Africa, ha dimezzato la produzione di auto in Italia. Un anno fa, ai fornitori Fiat messi in ginocchio dal crollo delle commesse Stellantis, ha scritto una bella letterina per invitarli ad aprire le loro fabbriche in Marocco. Insomma, delocalizzazioni selvagge e caccia a dove il lavoro costo meno, insieme a un incessante giro dei governi di questo o quel Paese, a caccia di sussidi e incentivi alle aiuto elettriche. Tavares, alla guida di Stellantis, è stato un campione della globalizzazione selvaggia e di corto respiro. Se oggi dice che vuol difendere la Tap dalle compagnie aeree straniere, i portoghesi farebbero bene ad andare a Fatima.Sulla buonuscita di Tavares da Stellantis (si è parlato di 100 milioni, ma Stellantis ha specificato che «è cifra lontana dalla realtà») si è detto molto e l’interessato ha detto al periodico lusitano che non c’è nulla di cui stupirsi. «Se l’azienda vuole comprare un certo manager e questo è disponibile solo per una certa cifra, si tratta semplicemente di una transazione che nessuno è obbligato ad accettare», ha detto Tavares. Poteva finirla così e invece ha voluto aggiungere: «A molta gente questa cosa non piace, ma a me sì». Spiritoso come sempre, aspettiamo di vederlo decollare alla guida della Tap e di proporre gli aerei elettrici. Magari da far produrre ai suoi amici cinesi.
Container in arrivo al Port Jersey Container Terminal di New York (Getty Images)
La maxi operazione nella favela di Rio de Janeiro. Nel riquadro, Gaetano Trivelli (Ansa)
Nicolas Maduro e Hugo Chavez nel 2012. Maduro è stato ministro degli Esteri dal 2006 al 2013 (Ansa)
Un disegno che ricostruisce i 16 mulini in serie del sito industriale di Barbegal, nel Sud della Francia (Getty Images)
Situato a circa 8 km a nord di Arelate (odierna Arles), il sito archeologico di Barbegal ha riportato alla luce una fabbrica per la macinazione del grano che, secondo gli studiosi, era in grado di servire una popolazione di circa 25.000 persone. Ma la vera meraviglia è la tecnica applicata allo stabilimento, dove le macine erano mosse da 16 mulini ad acqua in serie. Il sito di Barbegal, costruito si ritiene attorno al 2° secolo dC, si trova ai piedi di una collina rocciosa piuttosto ripida, con un gradiente del 30% circa. Le grandi ruote erano disposte all’esterno degli edifici di fabbrica centrali, 8 per lato. Erano alimentate da due acquedotti che convergevano in un canale la cui portata era regolata da chiuse che permettevano di controllare il flusso idraulico.
Gli studi sui resti degli edifici, i cui muri perimetrali sono oggi ben visibili, hanno stabilito che l’impianto ha funzionato per almeno un secolo. La datazione è stata resa possibile dall’analisi dei resti delle ruote e dei canali di legno che portavano l’acqua alle pale. Anche questi ultimi erano stati perfettamente studiati, con la possibilità di regolarne l’inclinazione per ottimizzare la forza idraulica sulle ruote. La fabbrica era lunga 61 metri e larga 20, con una scala di passaggio tra un mulino e l’altro che la attraversava nel mezzo. Secondo le ipotesi a cui gli archeologi sono giunti studiando i resti dei mulini, il complesso di Barbegal avrebbe funzionato ciclicamente, con un’interruzione tra la fine dell’estate e l’autunno. Il fatto che questo periodo coincidesse con le partenze delle navi mercantili, ha fatto ritenere possibile che la produzione dei 16 mulini fosse dedicata alle derrate alimentari per i naviganti, che in quel periodo rifornivano le navi con scorte di pane a lunga conservazione per affrontare i lunghi mesi della navigazione commerciale.
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