2019-08-10
Tav, autonomia regionale e flat tax. Tutti i no che hanno steso il governo
Il ministro Danilo Toninelli ha il record di ostacoli piazzati per fermare il cambiamento. Si è opposto alla Gronda di Genova e alla Torino-Lione, incassando sempre brutte figure. Mentre Giulia Grillo provocava il Carroccio.La crisi di governo, come conferma la mozione di sfiducia a Giuseppe Conte presentata dalla Lega al Senato, s'è aperta sulla Tav: l'ennesimo no dei 5 stelle, peraltro inutile. Dopo analisi costi-benefici e rinvii, s'era convinto persino il premier. Alla fine, la Torino-Lione si farà. Ma l'ultimissima crociata grillina contro le infrastrutture viene dal Sud. È la battaglia della senatrice Margherita Corrado, a colpi di lettere al Mibac di Alberto Bonisoli (pure lui M5s), per ottenere un'ordinanza di sospensione dei lavori per il parco eolico di Siemens Gamesa a Mongrassano (Cosenza). È costruito «su una dorsale della catena costiera ad altissimo rischio sismico e idrogeologico»; il cantiere è irregolare; è una «svendita di beni comuni e della salute pubblica», scriveva su Facebook la Corrado. Anche qui, una lotta contro i mulini, anzi, le turbine a vento. Già, perché Siemes Gamesa ha fatto ricorso al Tar, che ha annullato l'ordinanza del Mibac. Se non va bene la Tav perché distrugge la Val di Susa, se non va bene il gasdotto transadriatico Tap (pure su quello, poi, il M5s ha dovuto deporre le armi), perché non va bene nemmeno l'energia verde prodotta dalle pale eoliche? Brutte, deturpanti, ma di sicuro green. Come piace ai grillini.Non è un caso, allora, se quando serpeggiava l'ipotesi di rimpasto, il primo ministro a cadere doveva essere Danilo Toninelli, titolare di Infrastrutture e trasporti. S'è incartato pericolosamente sulla Tav, un'opera discutibile, ma il cui aborto avrebbe comportato un enorme dispendio per l'Italia. Proprio come nel caso del Tap. Toninelli, poi, ha detto no anche alla Gronda di Genova, la nuova autostrada a Nord del capoluogo ligure, perché voleva prima revocare la concessione ad Atlantia dei Benetton. La stessa società cui, tuttavia, il ministero della Sviluppo economico, guidato dal leader pentastellato, Luigi Di Maio, ha concesso l'ingresso nella cordata dei salvatori di Alitalia. Senza contare la lunga disputa con Carlo Toto di Strada dei parchi: alla fine, a lui il Mit di Toninelli non solo ha prolungato di dieci anni la concessione per le autostrade A24 e A25, in Abruzzo e Lazio, ma ha anche stanziato 2 miliardi per i lavori di adeguamento sismico dei viadotti. Tutte prese di posizioni ideologiche, dunque, che nella peggiore delle ipotesi (come a Genova) hanno condotto al blocco del progetto, mentre altrove hanno fatto solo incassare imbarazzanti sconfitte al ministro grillino. Con la collaborazione di Di Maio, appunto. Il quale non solo ha incredibilmente lasciato che si spalancassero all'odiata compagnia dei Benetton le porte di Alitalia, ma dopo aver assicurato che all'Ilva non sarebbe tornata l'immunità penale per i nuovi gestori, Arcelor Mittal, tre giorni fa ne ha garantita una «a scadenza». Ma a far perdere a Salvini la pazienza che lui si vanta di coltivare sin da quando andava a pescare con suo nonno, ci sono stati soprattutto i no politici, alle misure bandiera della Lega, sottoscritte nel contratto gialloblù. Specie l'autonomia differenziata, giudicata indispensabile dai governatori di Veneto e Lombardia, Luca Zaia e Attilio Fontana. Sulla riforma i grillini la tirano per le lunghe da mesi. È dallo scorso autunno che il ministro leghista, Erika Stefani, annuncia l'intesa, seguita a ruota da Conte. Ma puntualmente sono arrivati i distinguo del M5s: «Attenti a non spaccare l'Italia» (Toninelli); «Non creiamo una sanità di serie A e una di serie B» (Giulia Grillo); «Inaccettabile l'assunzione di docenti su base regionale» (Salvatore Giuliano, sottosegretario al Miur). E via alle calende greche, con le beffarde rassicurazioni di Di Maio, che a fine luglio spiegava: «Stiamo scrivendo un'autonomia migliore». In sostanza, l'unico do ut des che ha funzionato nel governo è stato quello su quota 100 e reddito di cittadinanza. Uno scambio a perdere per il Movimento, visto che il sussidio ha deluso il Sud e ha raccolto molte meno adesioni del previsto, tanto da liberare risorse utili a rinegoziare la procedura d'infrazione con l'Europa. E a proposito di rapporto con l'Ue, la mozione di sfiducia a Conte ha citato «divergenze sulla manovra». Fonti grilline hanno chiarito la questione: Salvini aveva chiesto un deficit al 3,5%, però il M5s temeva «possibili resistenze del Colle e del ministro Giovanni Tria». Una legge di bilancio coraggiosa, tuttavia, serviva al Carroccio per estendere alle famiglie la flat tax al 15%, altra misura sulla quale Di Maio stava prendendo tempo: «La priorità è il taglio al cuneo fiscale», aveva glissato. No e «nì» da governo del «vivacchiamento», più che del cambiamento.Visto che Salvini ha promesso che un esecutivo a trazione leghista interverrebbe coraggiosamente sulla giustizia, bisogna citare la riforma proposta dal Guardasigilli M5s, Alfonso Bonafede. Era stato, registrando la fredda accoglienza degli ormai ex alleati, a parlare di «tanti no dalla Lega». Salvini aveva stroncato una «riforma vuota e inutile», polemizzando sulla prescrizione, sul mancato intervento in materia di separazione delle carriere dei magistrati e sulla disciplina delle intercettazioni. È così che, a furia di tirare la corda, la corda s'è spezzata.