L’inflazione americana si raffredda al 5% e gli analisti puntano a un’inversione della politica monetaria a partire da giugno. In Europa invece a maggio è previsto un nuovo rialzo. In Italia, i mutui hanno superato la soglia del 4% tornando ai livelli del 2012.
L’inflazione americana si raffredda al 5% e gli analisti puntano a un’inversione della politica monetaria a partire da giugno. In Europa invece a maggio è previsto un nuovo rialzo. In Italia, i mutui hanno superato la soglia del 4% tornando ai livelli del 2012.L’inflazione americana si raffredda scendendo al livello più basso degli ultimi due anni. Nel mese di marzo, l’indice dei prezzi al consumo su base annua negli Stati Uniti è sceso al 5% rispetto al 5,2% atteso dagli analisti (+0,1% il dato mensile che si confronta con il +0,4% di febbraio). Un calo del 3,5% dei costi energetici (rispetto al -0,6% di febbraio) e un indice alimentare invariato hanno contribuito a tenere sotto controllo il carovita facendolo muovere verso il basso e indicando che l’inflazione strutturale è stata probabilmente sconfitta. Sono dati che portano argomentazioni per le «colombe» della commissione operativa della Federal Reserve, il Fomc, per rivedere le strategie monetarie e interrompere il processo di rialzo dei tassi di interesse. Ma il livello è ancora lontano dal target del 2% considerato come sano e sostenibile dai banchieri centrali. E l’indice core dell’inflazione, quello al netto di energia e alimentari, è salito il mese scorso del 5,6% accelerando rispetto al +5,5% di febbraio. Tanto che secondo gran parte degli analisti, una pausa agli aumenti dei tassi potrebbe essere decisa dalla Fed non nel prossimo meeting di maggio (quando è atteso un nuovo rialzo di 25 punti base), ma in quello successivo di giugno. Al momento non sembra esserci un consenso al suo interno su come procedere. Il presidente della Fed di Chicago, Austan Goolsbee, ritiene che serva «prudenza e pazienza» nel valutare l’impatto economico delle più stringenti condizioni di credito. Il numero uno della Fed di New York, John Williams, si dice convinto che la Fed ha ancora del lavoro da fare. E il presidente della Federal Reserve di Philadelphia, Patrick Harker, è dell'idea «di salire sopra il 5 e poi rimanere lì per un po’». Di certo, ieri l’entusiasmo sui mercati seguito ai dati Usa è scemato nel finale di seduta e le Borse europee, che avevano accelerato subito dopo la pubblicazione, hanno chiuso in rialzo ma sotto i massimi di giornata. Se negli Usa si fa «annusare» un possibile stop agli aumenti dei tassi, nel Vecchio Continente la Bce tira dritto. Il vicepresidente Luis de Guindos ieri ha infatti dichiarato che «l’inflazione sottostante nella zona euro si sta dimostrando vischiosa e la Banca centrale europea è meno ottimista sulla sua traiettoria che sulle pressioni generali sui prezzi. L'inflazione primaria continuerà a decelerare, ma sull’inflazione core non siamo così ottimisti», ha aggiunto. Ribadendo che la missione principale di Francoforte è portare il livello del carovita di fondo attorno al 2 per cento. Nemmeno la crisi bancaria Usa e svizzera, senza grandi conseguenze in Europa, ha indotto Christine Lagarde a desistere dall’ultimo aumento di marzo sebbene per la prossima riunione di inizio maggio sia stimato dal mercato un rialzo di 25 punti e non più di 50.Bisogna ricordare che la natura dell’inflazione in Eurozona è assai differente rispetto a quella americana. Il problema è che l’aumento dei tassi può riuscire a sgonfiare il debito pubblico degli Stati (come dimostrano i dati pubblicati ieri dall’Fmi, negli ultimi due anni il debito globale ha registrato il maggior calo in 70 anni, scendendo al 92% del Pil alla fine del 2022) però la stretta di politica monetaria ha l’effetto collaterale di erodere la capacità di ricchezza dei cittadini. I tassi sui nuovi mutui, si legge nei dati pubblicati ieri dalla Banca d’Italia, oltrepassano la soglia del 4%, tornando ai livelli del 2012, in una corsa che proseguirà anche nei prossimi mesi, perlomeno fino alla seconda metà del 2023. Nel dettaglio, i tassi di interesse sui prestiti erogati nel mese alle famiglie per l'acquisto di abitazioni comprensivi delle spese accessorie (Tasso annuale effettivo globale, Taeg) si sono collocati al 4,12 per cento a febbraio (3,95 in gennaio). Ad alleviare l'impatto nel nostro Paese è l'alto numero di proprietari di casa e la grande percentuale di finanziamenti a tasso fisso dei mutui in essere (oltre i due terzi). Resta sempre possibile la possibilità di surrogare passando dal variabile al fisso e, in caso di difficoltà o perdita di lavoro, richiedere la sospensione attingendo al Fondo Gasparrini. Va però considerata l’erosione del reddito dovuta alla crescita dei prezzi e alle maxi bollette che, uniti all’aumento delle rate, pesa su chi ha contratto un mutuo variabile. La crescita dei tassi frena poi chi ha intenzione di chiedere un nuovo finanziamento, allontanando le fasce della popolazione meno abbienti. Da un tasso medio (che tiene conto sia dei fissi sia dei variabili) poco sopra l’1,2%, si è passati all’1,8% di inizio 2022 e quindi, in un solo anno, al 4,12% di febbraio 2023 con la prospettiva di ulteriori aumenti, visti i nuovi rialzi della Bce.
Bill Gates (Ansa)
Solo pochi fanatici si ostinano a sostenere le strategie che ci hanno impoverito senza risultati sull’ambiente. Però le politiche green restano. E gli 838 milioni versati dall’Italia nel 2023 sono diventati 3,5 miliardi nel 2024.
A segnare il cambiamento di rotta, qualche giorno fa, è stato Bill Gates, niente meno. In vista della Cop30, il grande meeting internazionale sul clima, ha presentato un memorandum che suggerisce - se non un ridimensionamento di tutto il discorso green - almeno un cambio di strategia. «Il cambiamento climatico è un problema serio, ma non segnerà la fine della civiltà», ha detto Gates. «L’innovazione scientifica lo arginerà, ed è giunto il momento di una svolta strategica nella lotta globale al cambiamento climatico: dal limitare l’aumento delle temperature alla lotta alla povertà e alla prevenzione delle malattie». L’uscita ha prodotto una serie di reazioni irritate soprattutto fra i sostenitori dell’Apocalisse verde, però ha anche in qualche modo liberato tutti coloro che mal sopportavano i fanatismi sul riscaldamento globale ma non avevano il fegato di ammetterlo. Uscito allo scoperto Gates, ora tutti possono finalmente ammettere che il modo in cui si è discusso e soprattutto si è agito riguardo alla «crisi climatica» è sbagliato e dannoso.
Elly Schlein (Ansa)
Avete presente Massimo D’Alema quando confessò di voler vedere Silvio Berlusconi chiedere l’elemosina in via del Corso? Non era solo desiderare che fosse ridotto sul lastrico un avversario politico, ma c’era anche l’avversione nei confronti di chi aveva fatto i soldi.
Beh, in un trentennio sono cambia ti i protagonisti, ma la sinistra non è cambiata e continua a odiare la ricchezza che non sia la propria. Così adesso, sepolto il Cavaliere, se la prende con il ceto medio, i nuovi ricchi, a cui sogna di togliere gli sgravi decisi dal governo Meloni. Da anni si parla dell’appiattimento reddituale di quella che un tempo era la classe intermedia, ma è bastato che l’esecutivo parlasse di concedere aiuti a chi guadagna 50.000 euro lordi l’anno perché dal Pd alla Cgil alzassero le barricate. E dire che poche settimane fa la pubblicazione di un’analisi delle denunce dei redditi aveva portato a conclusioni a dir poco sor prendenti. Dei 42,6 milioni di dichiaranti, 31 milioni si fanno carico del 23,13 dell’Irpef, mentre gli altri 11,6 milioni pagano il resto, ovvero il 76,87 per cento.
In sintesi, il 43 per cento degli italiani non paga l’imposta, mentre chi guadagna più di 60.000 euro lordi l’anno paga per due. Di fronte a questi numeri qualsiasi persona di buon senso capirebbe che è necessario alleggerire la pressione fiscale sul ceto medio, evitando di tartassarlo. Qualsiasi, ma non i vertici della sinistra. Pd, Avs e Cgil dunque si agitano compatti contro gli sgravi previsti dal la finanziaria, sostenendo che il taglio dell’Irpef è un regalo ai più ricchi. Premesso che per i redditi alti, cioè quello 0,2 per cento che in Italia dichiara più di 200.000 euro lordi l’anno, non ci sarà alcun vantaggio, gli altri, quelli che non sono in bolletta e guadagnano più di 2.000 euro netti al mese, pare davvero difficile considerarli ricchi. Certo, non so no ridotti alla canna del gas, ma nelle città (e quasi sempre le persone con maggiori entrate vivono nei capoluoghi) si fa fatica ad arrivare a fine mese con uno stipendio che per metà e forse più se ne va per l’affitto. Negli ultimi anni le finanziarie del governo Meloni hanno favorito le fasce di reddito basse e medie. Ora è la volta di chi guadagna un po’di più, ma non molto di più, e che ha visto in questi anni il proprio potere d’acquisto eroso dall’inflazione. Ma a sinistra non se la prendono solo con i redditi oltre i 50.000 euro. Vogliono anche colpire il patrimonio e così rispolverano una tassa che punisca le grandi ricchezze e le proprietà immobiliari. Premesso che le due cose non vanno di pari passo: si può anche possedere un appartamento del valore di un paio di milioni ma, avendolo ereditato dai geni tori, non avere i soldi per ristrutturarlo e dunque nemmeno per pagare ogni anno una tassa.
Dunque, possedere un alloggio in centro, dove si vive, non sempre è indice di patrimonio da ricchi. E poi chi ha una seconda casa paga già u n’imposta sul valore immobiliare detenuto ed è l’I mu, che nel 2024 ha consentito allo Stato di incassare l’astronomica cifra di 17 miliardi di euro, il livello più alto raggiunto negli ultimi cinque anni. Milionari e miliardari, quelli veri e non immaginati dai compagni, certo non hanno il problema di pagare una tassa sui palazzi che possiedono, ma non hanno neppure alcuna difficoltà a ingaggiare i migliori fiscali sti per sottrarsi alle pretese del fisco e, nel caso in cui neppure i professionisti sia no in grado di metterli al riparo dall’Agenzia delle entrate, possono sempre traslocare, spostando i propri soldi altrove. Come è noto, la finanza non ha confini e l’apertura dei mercati consente di portare le proprie attività dove è più conveniente. Quando proprio il Pd, all’e poca guidato da Matteo Renzi, decise di introdurre una flat tax per i Paperoni stranieri, migliaia di nababbi presero la residenza da noi. E se domani l’imposta venisse abolita probabilmente andrebbero altrove, seguiti quasi certamente dai ricconi italiani. Del resto, la Svizzera è vicina e, come insegna Carlo De Benedetti, è sempre pronta ad accogliere chi emigra con le tasche piene di soldi. Inoltre uno studio ha recentemente documentato che l’introduzione negli Usa di una patrimoniale per ogni dollaro incassato farebbe calare il Pil di 1 euro e 20 centesimi, con una perdita secca del 20 per cento. Risultato, la nuova lotta di classe di Elly Schlein e compagni rischia di colpire solo il ceto medio, cancellando gli sgravi fiscali e inasprendo le imposte patrimoniali. Quando Mario Monti, con al fianco la professoressa dalla lacrima facile, fece i compiti a casa per conto di Sarkozy e Merkel , l’Italia entrò in de pressione, ma oggi una patrimoniale potrebbe essere il colpo di grazia.
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Il toro iconico di Wall Street a New York (iStock)
Democratici spaccati sul via libera alla ripresa delle attività Usa. E i mercati ringraziano. In evidenza Piazza Affari: + 2,28%.
Il più lungo shutdown della storia americana - oltre 40 giorni - si sta avviando a conclusione. O almeno così sembra. Domenica sera, il Senato statunitense ha approvato, con 60 voti a favore e 40 contrari, una mozione procedurale volta a spianare la strada a un accordo di compromesso che, se confermato, dovrebbe prorogare il finanziamento delle agenzie governative fino al 30 gennaio. A schierarsi con i repubblicani sono stati sette senatori dem e un indipendente affiliato all’Asinello. In base all’intesa, verranno riattivati vari programmi sociali (tra cui l’assistenza alimentare per le persone a basso reddito), saranno bloccati i licenziamenti del personale federale e saranno garantiti gli arretrati ai dipendenti che erano stati lasciati a casa a causa del congelamento delle agenzie governative. Resta tuttavia sul tavolo il nodo dei sussidi previsti ai sensi dell’Obamacare. L’accordo prevede infatti che se ne discuterà a dicembre, ma non garantisce che la loro estensione sarà approvata: un’estensione che, ricordiamolo, era considerata un punto cruciale per gran parte del Partito democratico.
2025-11-10
Indivia belga, l’insalata ideale nei mesi freddi per integrare acqua e fibre e combattere lo stress
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In autunno e in inverno siamo portati (sbagliando) a bere di meno: questa verdura è ottima per idratarsi. E per chi ha l’intestino un po’ pigro è un toccasana.
Si chiama indivia belga, ma ormai potremmo conferirle la cittadinanza italiana onoraria visto che è una delle insalate immancabili nel banco del fresco del supermercato e presente 365 giorni su 365, essendo una verdura a foglie di stagione tutto l’anno. Il nome non è un non senso: è stata coltivata e commercializzata per la prima volta in Belgio, nel XIX secolo, partendo dalla cicoria di Magdeburgo. Per questo motivo è anche chiamata lattuga belga, radicchio belga oppure cicoria di Bruxelles, essendo Bruxelles in Belgio, oltre che cicoria witloof: witloof in fiammingo significa foglia bianca e tale specificazione fa riferimento al colore estremamente chiaro delle sue foglie, un giallino così delicato da sfociare nel bianco, dovuto a un procedimento che si chiama forzatura. Cos’è questa forzatura?






