Francoforte (tardi) ha tagliato dal 4,5 al 2% il costo del denaro. Non c’è stato lo stesso risparmio sui prestiti erogati dalle banche.Sono passate un paio di settimane dall’intervento all’assemblea dell’Abi (l’associazione delle banche italiane) del ministro Giorgetti. L’appello del titolare dell’Economia («Le banche tornino a fare le banche») aveva colpito nel segno, un invito accorato che seguiva un preciso filo logico. «Il rafforzamento degli istituti di credito», aveva spiegato il numero uno del Mef, «è stato reso possibile anche per l’azione sinergica di interventi legislativi e di sostengo pubblico. Però questo rafforzamento non si è sempre tradotto in condizioni più favorevoli al credito ma in una riduzione delle erogazioni alle imprese, con prestiti alle aziende ridotti di un terzo dal 2021». Quindi? «Il governo e il Mef hanno fatto la loro parte», chiosava l’uomo che governa il bilancio dello Stato, «mi attenderei che gli istituti approfittino di questo quadro mutato e tornino a fare le banche».Difficile dire la stretta del credito da chi dipenda. Perché i fattori che determinano una riduzione delle erogazioni sono molteplici e non tutti possono essere attribuiti agli istituti. Lo stock di fidi concessi dipende ovviamente dalle domande delle imprese, e quindi dalla decisione di rischiare e investire, e dalle garanzie che a queste richieste sono associate. Così come non va dimenticato che soprattutto negli ultimi anni si è ampliata a dismisura l’offerta di liquidità alternativa al canale bancario. Insomma, difficile dare una risposta precisa all’interrogativo sollevato sopra (di chi è la colpa della stretta?). Quello che si può dire è che di certo le banche non hanno risposto con sollecitudine alla svolta espansiva (peraltro tardiva) della Banca centrale europea. Da maggio 2024 a maggio 2025 la Bce ha abbassato il tasso di riferimento di 250 punti base, passando dal 4,50% al 2%. Una discesa abbastanza lineare, con tagli concentrati nella seconda metà del 2024 e nella prima parte del 2025. Eppure le banche italiane non hanno seguito lo stesso ritmo. «Per i prestiti fino a 1 milione di euro», spiega l’ufficio analisi e ricerche Fabi (la federazione autonoma dei bancari italiani), «il tasso medio è sceso dal 5,91% (maggio 2024) al 4,43% (maggio 2025): una riduzione di 148 punti base. Per quelli sopra il milione, il calo è stato leggermente più marcato: dal 5,49% al 3,50%, ovvero 199 punti base in meno nello stesso periodo».Morale della favola: lo spread tra il tasso di Francoforte e quello applicato dalle banche è oggi di 243 punti base per i prestiti inferiori al milione e di 150 punti base per quelli superiori. A inizio 2022, quando il tasso della Bce era ancora allo 0%, questi spread erano pari a 220 punti (prestiti piccoli) e 77 punti (prestiti grandi): il gap si è allargato e, soprattutto, si è consolidato anche durante la fase di discesa dei tassi ufficiali.«Questa asimmetria», spiega ancora la Fabi, «ha due risvolti molto importanti. Il primo è di tipo congiunturale: nella fase di rialzo dei tassi tra il 2022 e il 2023, le banche hanno reagito molto rapidamente, adeguando in fretta i tassi al nuovo scenario. Nella fase successiva, quella espansiva, la discesa è risultata molto più graduale e meno proporzionale, segno di una trasmissione imperfetta della politica monetaria. Il secondo è più strutturale ma altrettanto importante: la forbice tra prestiti sotto e sopra il milione non si è mai chiusa, neppure nei momenti di massimo allentamento. Anche quando il tasso Bce è stato tagliato sotto il 3%, i tassi bancari sui piccoli prestiti sono rimasti abbondantemente sopra il 4,5%».Un problema, soprattutto per un tessuto economico come quello italiano che si concentra sulle piccole e medie imprese e quindi sulla richiesta di prestiti spesso di piccola taglia e comunque inferiori al milione. L’analisi sugli impieghi colpisce ancor di più le famiglie a caccia di un mutuo per comprare casa. È un dato di fatto che dopo i tagli dei tassi decisi dalla Banca centrale europea, a partire dal giugno 2024, l’erogazione dei mutui sia tornata a crescere. Negli ultimi 12 mesi c’è stato un incremento superiore ai 10 miliardi (il totale a maggio è arrivato a quota 431,5 miliardi), ma la trasmissione della politica monetaria dalle banche alle famiglie si è arrestata. «Se da gennaio 2024 gli istituti di credito avevano addirittura anticipato la discesa del costo del denaro», spiega ancora la Fabi, «da settembre dello stesso anno i tassi applicati sui nuovi mutui si sono stabilizzati ben al di sopra dei livelli del tasso di riferimento della Bce, fermandosi tra il 3,6% e il 3,9% nonostante i tassi ufficiali siano scesi al 2%». Un differenziale tra tasso Bce e interessi bancari superiore a 1,5 punti percentuali, mentre a settembre questo spread era praticamente inesistente.
Giancarlo Giorgetti (Ansa)
Cambia l’emendamento alla manovra di Fdi sulle riserve di Bankitalia: appartengono al popolo italiano. Il ministro Giorgetti apre ad aiuti per accedere alle paritarie. Un’altra idea porta a finanziare gli istituti per acquistare i testi da dare in prestito agli studenti.
Fratelli d’Italia non molla sul tema delle riserve auree della Banca d’Italia e riformula l’emendamento alla manovra che era stato bocciato. Un fascicolo che rimette insieme i segnalati dai gruppi, infatti, contiene il riferimento al fatto che «le riserve appartengono allo Stato». Il nuovo emendamento prevede una interpretazione autentica dell'articolo riguardante la gestione delle riserve auree del testo unico delle norme di legge in materia valutaria che, si legge, «si interpreta nel senso che le riserve auree gestite e detenute dalla Banca d'Italia appartengono al Popolo Italiano». Sparisce il riferimento al trasferimento della proprietà allo Stato.
Ansa
Al liceo Giulio Cesare di Roma spunta su un muro una «lista stupri», con accanto i nomi delle studentesse. Un gesto orribile, che viene subito cavalcato dalla sinistra per rilanciare la pasticciata norma sul consenso e le lezioni di «sessuoaffettività».
Ansa
Gli antagonisti, tra cui qualche ex brigatista, manifestano insieme a imam radicalizzati e maranza. Come Omar Boutere, italo marocchino ricercato dopo gli scontri a Torino, ritrovato a casa della leader di Askatasuna. Una saldatura evidente che preoccupa gli inquirenti.
La saldatura che preoccupa investigatori e intelligence ormai non è più un’ipotesi, è una fotografia scattata nelle piazze: gli antagonisti, compreso qualche indomito ex brigatista, manifestano contro Israele, marciano accanto agli imam radicalizzati comparsi in inchieste sul terrorismo jihadista e applaudono a predicatori salafiti che arringano la folla tra le bandiere rosse e quelle palestinesi. È tutto lì, in una sola immagine: anarchici, jihadisti, vecchio terrorismo rosso e sigle filopalestinesi fusi negli stessi cortei, con gli stessi slogan, contro gli stessi nemici. Una convergenza che non è spontanea: è il risultato di un’ideologia vecchia di 20 anni, quella di Nadia Desdemona Lioce, che aveva già teorizzato che «le masse arabe e islamiche espropriate e umiliate sono il naturale alleato del proletariato metropolitano».
Ansa
Solidarietà bipartisan alla «Stampa» per l’aggressione. Ma i progressisti glissano sugli antagonisti e usano il loro lessico. Francesca Albanese: «Sbagliato, ma sia un monito». Giorgia Meloni: «Parole gravi». La replica: «Vi faccio paura».
Alla fine, meno male che ci sono i social, dove impazzano le foto delle scritte sui muri della redazione della Stampa. «Free Palestine», «Giornali complici di Israele», «Free Shamin» (l’imam di Torino espulso), «Stampa complice del genocidio». Si può vedere questo e altro anche sui canali web di Intifada Studentesca Torino. Vedere la saldatura tra alcuni ambienti antagonisti e la frangia violenta dei pro Pal è ormai alla portata di tutti. Ma anche ieri gran parte della sinistra che ha espresso solidarietà alla redazione del quotidiano degli Elkann ha faticato a fare il più classico dei 2+2. E lo stesso vale anche per i giornalisti di Stampa e Repubblica, che nei loro comunicati ufficiali hanno completamente sorvolato sulla matrice dell’irruzione di venerdì, per nascondersi dietro espressioni generiche come «squadrismo» e «manifestanti».






