2025-07-29
Il Tar si contraddice e alla fine stronca l’urbanistica creativa
Beppe Sala (Imagoeconomica)
I giudici amministrativi ribaltano un precedente verdetto e sposano la linea della Procura: «Caratteristiche diverse».Beppe Sala insiste sulla vendita: «In aula a settembre, vedremo come reagirà il Consiglio».Lo speciale contiene due articoliC’è una cosa che a Milano sta crescendo ancora più in fretta dei grattacieli: le sentenze sull’urbanistica. E a leggere l’ultima decisione del Tar Lombardia (giudici Russo-Zucchini-Cozzi), pubblicata ieri, viene da pensare che anche la giustizia amministrativa stia rafforzando la linea del rigore tracciata da mesi dalla Procura, mettendo fine all’uso disinvolto dei titoli edilizi «creativi». In sintesi, la magistratura amministrativa si sta progressivamente riallineando a quella penale, con un impatto diretto su decine di cantieri, varianti e progetti ancora in fase di istruttoria o già autorizzati in modo dubbio. L’ultima storia è questa. Una Scia presentata da una società immobiliare per demolire un edificio di due piani e costruirne uno da cinque — più interrato — era stata annullata dal Comune nel 2024. La società, Tenkai real estate, aveva fatto ricorso. Il Tar ha detto no. E ha fatto molto di più: ha spiegato che l’annullamento era giustificato, e che «adeguarsi alla linea della Procura è compatibile con l’interesse pubblico».Un passaggio tutt’altro che secondario, in una città dove l’inchiesta sull’urbanistica, esplosa nel 2024, ha già travolto tecnici, costruttori, funzionari pubblici, e lambisce anche i piani alti: tra gli indagati figura il sindaco Beppe Sala, al centro di approfondimenti per il ruolo politico in alcune trasformazioni oggi contestate e soprattutto per la conferma di Giuseppe Marinoni alla presidenza della commissione paesaggio. La Procura, guidata da Marcello Viola, ha chiesto l’arresto per sei persone, con le accuse di corruzione, induzione indebita, falso, e un impianto che descrive un sistema in cui cariche pubbliche e interessi privati si intrecciano a danno della trasparenza. Tra i nomi spiccano Giancarlo Tancredi, ex assessore alla Rigenerazione urbana, Manfredi Catella, fondatore e numero uno di Coima, Giuseppe Marinoni, ex presidente della Commissione Paesaggio. Con loro, anche l’imprenditore Andrea Bezziccheri, l’ex manager Federico Pella, e l’architetto Alessandro Scandurra.Secondo i magistrati, quei comportamenti sono «indubbiamente deviati verso il favore per il conflitto di interessi e la corruzione delle funzioni» e vanno fermati per evitare di alimentare quella che definiscono una «spirale di affari» e di presunte tangenti nell’urbanistica. Le recenti dimissioni degli indagati - Tancredi sospeso da dirigente comunale, Catella fuori dai rapporti istituzionali, Pella e Scandurra fuori dalle rispettive società- non bastano, secondo l’accusa, a spezzare il rischio di reiterazione del reato. Per questo motivo, anche dopo gli interrogatori del 23 luglio, le richieste di misure cautelari (quattro carcerarie, due domiciliari) sono state confermate e questa settimana il gip Mattia Fiorentini dovrà decidere se adottarle o, eventualmente, ridurle a interdizioni.Negli anni della Milano verticale e delle residenze di lusso «chiavi in mano», la scorciatoia preferita dai costruttori è stata spesso la Scia (Segnalazione certificata di inizio attività), usata al posto del più complesso permesso di costruire. Spesso presentata come «ristrutturazione», anche quando si trattava di vere e proprie nuove costruzioni con altezze triplicate.È lo schema finito nel mirino dei magistrati. Il caso emblematico resta quello delle Park Tower di via Crescenzago, oggi a processo per abusi edilizi. Ma non è l’unico. L’uso disinvolto della Scia ha portato alla luce decine di interventi in città che, secondo l’accusa, avrebbero dovuto seguire un iter più severo, con piani attuativi, convenzioni e controlli urbanistici veri.A segnare una svolta è arrivata, il 21 luglio scorso, anche la Cassazione, che ha confermato il sequestro delle Residenze Lac nel Parco delle Cave. Tre torri alte fino a 43 metri erano state realizzate con Scia, senza piano attuativo. Per i giudici della Suprema Corte, si tratta di un «guasto urbanistico»: un intervento che non può essere considerato legittimo, perché costruito in assenza di pianificazione particolareggiata, malgrado le semplificazioni del Dl 2020. Il principio è netto: sopra i 25 metri, serve un piano. E la buona fede degli acquirenti non è sufficiente a sanare l’abuso.Ora, con la sentenza Tenkai, anche il Tar sembra chiudere i rubinetti dell’ambiguità. I giudici scrivono che «la trasformazione produce un carico urbanistico ampiamente superiore» e che non si può qualificare come ristrutturazione qualcosa che ha «caratteristiche del tutto diverse dall’edificio demolito». È un cambio di passo rispetto ad altre pronunce recenti.Ad esempio, la scorsa settimana, nel caso di via Rezza, dove era stato contestato un edificio oltre i 25 metri autorizzato senza piano attuativo, il Tar aveva ritenuto ammissibile la Scia presentata, giudicando legittima la scelta del Comune in un’area già urbanizzata. Ma in quella sentenza, i giudici si erano pronunciati esclusivamente sulla legittimità urbanistica, senza entrare nel merito delle contestazioni penali ben più gravi: falsi documentali, omissioni procedurali e soprattutto la mancata richiesta di non-verbalizzazione dell’intervento in Commissione Paesaggio. Su questi punti, l’impianto accusatorio della Procura resta solido. Anche in un caso minore, ma simbolico, segnalato dall’Agi, il Tar ha appena respinto il ricorso di una cittadina contro la demolizione di una serra bioclimatica costruita su una terrazza con semplice Scia. Il titolo edilizio, ha spiegato il tribunale, non può prevalere sul parere negativo della Soprintendenza, che resta vincolante. In sostanza, ancora una volta, i giudici hanno confermato che la tutela pubblica del paesaggio e della legalità urbanistica ha la precedenza su ogni scorciatoia procedurale.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/tar-urbanistica-milano-beppe-sala-2673774419.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="il-pd-milanese-a-caccia-della-polizza-contro-il-danno-erariale-dello-stadio" data-post-id="2673774419" data-published-at="1753741518" data-use-pagination="False"> Il Pd milanese a caccia della polizza contro il danno erariale dello stadio A Palazzo Marino c’è un passaparola che circola da giorni: diversi consiglieri comunali del Partito democratico starebbero valutando la sottoscrizione di una polizza assicurativa, non per viaggi o infortuni, ma per tutelarsi da possibili richieste di risarcimento personale per danno erariale. Motivo: la prossima votazione - in Consiglio comunale, prevista a settembre - della delibera che autorizza la vendita dell’area di San Siro a Inter e Milan. L’intera operazione, finora annunciata dalla Giunta come ormai definita, diventa ora una possibile fonte di responsabilità contabile condivisa. Ieri a margine del Consiglio comunale il sindaco Beppe Sala ha ribadito: «Confermo la mia intenzione di lavorarci in settembre, poi vedremo un po’ come reagirà il Consiglio. I tempi sono stretti, ma possiamo comunque farcela». Ma secondo i documenti ufficiali e le valutazioni critiche circolate negli ambienti tecnici e politici, il valore reale dell’area - calcolato secondo i parametri di monetizzazione aggiornati al secondo semestre 2024 - si aggirerebbe intorno ai 184 milioni di euro, contro i 124 milioni fissati dalla Giunta nella delibera. Una differenza di circa 60 milioni che potrebbe configurare un danno erariale. Se la Corte dei conti accertasse la fondatezza delle contestazioni, la responsabilità verrebbe condivisa tra il sindaco Sala e la giunta, ma anche tra dirigenti e i consiglieri che voteranno a favore. In questo scenario, secondo i calcoli fatti e riportati da Luigi Corbani, ex vicesindaco, se la differenza fosse confermata e applicabile il tetto massimo previsto per la colpa grave (pari al 30%), il risarcimento totale ammonterebbe a 18 milioni di euro. Divisi su un numero stimato di circa 46 soggetti coinvolti - tra consiglieri, assessori e dirigenti favorevoli - la media sarebbe di circa 390.000 euro a testa, una cifra sufficiente a spiegare l’interesse verso un’assicurazione preventiva. Anche perché esistono polizze di questo tipo, pensate per tutelare il patrimonio personale di chi ricopre ruoli decisionali in enti pubblici o società, in caso di richieste di risarcimento per atti compiuti nell’esercizio delle proprie funzioni. Corbani non usa mezzi termini: «Adesso, dopo che hanno portato avanti l’affare San Siro, annunciando la vendita di stadio e area come cosa fatta, Sala e il suo direttore generale Malangone vogliono coprirsi le spalle con il Consiglio Comunale, così da aumentare la platea di chi pagherà il danno erariale». Parole che pesano non solo sul piano politico ma anche su quello legale: «Hanno costruito questa operazione fin dall’inizio con l’idea di blindarla, e ora vogliono che il Consiglio metta il timbro, così da condividere le responsabilità. È una mossa cinica, ma efficace dal punto di vista legale». Secondo Corbani, l’operazione poggia su stime discutibili: «Con il valore minimo della zona D28 - Caprilli, Ippodromo, Monte Stella - a 615 euro al metro quadro, i fondi americani avrebbero dovuto pagare 172 milioni. E allora? Si abbassa il prezzo con giustificazioni fantasiose». Tra queste, una norma del 2008 che consente uno sconto del 25% per interventi di «riforma economico-sociale: una farsa». Sullo sfondo dell’affaire San Siro, il clima nella maggioranza è teso. Nel centrosinistra, nessun nuovo incontro è previsto con il sindaco Sala, e tensioni si avvertono su più fronti. La partita del successore di Tancredi resta sul tavolo, ma relegata ai margini: il nome di Federico d’Andrea, ex generale della Guardia di finanza, circola come possibile consulente all’Urbanistica «pro tempore». Per ora la delega resta alla vicesindaca Anna Scavuzzo. Ma la priorità resta chiara: l’operazione San Siro.