2024-01-10
Tangenti per oltre tre milioni dall’editore Bianchi: condannata Giovanna Boda
Giovanna Boda (Imagoeconomica)
Due anni e due mesi per corruzione e rivelazione di segreto all’ex dirigente del Miur. I garantisti da salotto si scatenarono contro il nostro giornale per lo «scoop» sgradito.Il garantismo pelosetto qualche volta ti presenta il conto. E il caso di Giovanna Boda è lì a testimoniarlo. Infatti la clamorosa gazzarra mediatica scatenata in sua difesa non è servita a nulla e l’ex capo dipartimento del ministero dell’Istruzione, finita a processo per un giro di mazzette e varie utilità del valore di 3,2 milioni di euro versate dall’imprenditore Federico Bianchi di Castelbianco, è stata condannata ieri in primo grado a 2 anni e 2 mesi per corruzione e rivelazione di segreti d’ufficio all’amico editore, famelico accaparratore di appalti al Miur (ministero dell’Istruzione, università e ricerca).Nel luglio del 2022 la Boda aveva già fatto importanti ammissioni con il pm Carlo Villani che in aula ha evidenziato la «collaborazione» fornita dall’imputata e il suo «pentimento», confermato anche dalla confessione di due episodi di corruzione non rilevati dalle indagini.A questa resipiscenza si deve la modesta entità della pena: la cosiddetta Spazzacorrotti prevede l’«attenuante speciale» per chi collabora, con conseguente riduzione di due terzi della condanna; un altro terzo è stato scalato per le cosiddette attenuanti generiche e un ulteriore terzo per la scelta del rito abbreviato.In pratica la dirigente, almeno a livello teorico, rischiava di prendere 15 anni.Un anno e mezzo fa la Boda si era così giustificata con gli inquirenti: «In quel periodo mi ero sottoposta a una forte cura ormonale che mi ha portato ad avere forti comportamenti compulsivi, depressione e alterazione della realtà». Una condizione che l’avrebbe portata alla rovina: «Mi ha indotto a spendere tutti i soldi che mi dava Bianchi di Castelbianco oltre a quello che guadagnavo con il mio stipendio, tanto è vero che non ho più niente, come risulta anche dal fatto che il sequestro nei miei confronti è stato di circa soli 30.000 euro».La Boda, anche per la mancanza di risparmi, al contrario di altri imputati, non è riuscita a patteggiare e il Gup l’ha condannata a pagare una provvisionale, a titolo di risarcimento del danno d’immagine del ministero, di 100.000 euro, in attesa di una quantificazione definitiva in sede civile.Ma di fronte alla sentenza e alle ammissioni di una donna che ha sofferto al punto di tentare il suicidio gettandosi dalla finestra dello studio del suo avvocato, non possiamo non ricordare il plotone di esecuzione che attaccò La Verità, colpevole di aver dato la notizia dell’inchiesta, e, persino, gli inquirenti che avevano messo sotto indagine una dipendente pubblica sino a quel momento considerata al di sopra di ogni sospetto, moglie di magistrato, amica di toghe eccellenti (una di queste fece un sopralluogo dopo il lancio nel vuoto della donna), organizzatrice della nave della legalità e di altre iniziative antimafia, vincitrice de premio Falcone-Borsellino, legata a politici, soprattutto d’area progressista (la madre è stata sindaco dem) e molto considerata dal Quirinale con cui organizzava l’inaugurazione dell’anno scolastico e le visite da Istituto Luce del presidente negli istituti. Addirittura Maria Elena Boschi, che l’aveva avuta come collaboratrice alle Pari opportunità, avrebbe sponsorizzato il suo nome come possibile ministro dell’Istruzione nel governo Draghi.Di fronte a cotanto curriculum e a una rete di amicizie e sponsor così imponente, venimmo accusati persino di istigazione al suicidio.Matteo Renzi domandò sui social: «Come si può permettere che la gogna mediatica stritoli la vita delle persone?». La giornalista della Repubblica Concita De Gregorio arrivò ad augurare notti insonni al presunto sicofante che avrebbe inguaiato la signora. Il Foglio schierò una batteria di firme per cantarcele e suonarcele.In tv denunciarono una presunta gogna mediatico-giudiziaria l’ex parlamentare pd Paola Binetti, che presiedeva il comitato scientifico di una fondazione riconducibile a Bianchi, e suor Anna Monia Alfieri, frequentatrice dell’ufficio ministeriale della dirigente e particolarmente accesa nella difesa della sua dante causa. Siamo certi che, dopo la cantonata presa, da donna di fede, in futuro eviterà di trinciare giudizi e, magari, per penitenza, reciterà qualche Pater noster. Ci morse i polpacci pure il presidente delle Camere penali Gian Domenico Caiazza, che, guarda un po’, è difensore di Bianchi e della Boschi. All’assalto dei cronisti colpevoli di aver dato una notizia si unirono Il Giornale, che pubblicò sulle sue pagine la storia di un inesistente fascicolo per istigazione al suicidio che ci avrebbe dovuto coinvolgere, e Nando Dalla Chiesa, il quale, dopo aver assolto l’amica indagata sul Fatto quotidiano, arrivò a ipotizzare che dietro al nostro articolo ci fossero fantomatici suggeritori legati alla criminalità organizzata. Chi frequentava i suoi stessi salotti o consessi non poteva accettare di sentirsi accusato di riflesso e per questo la Boda andava difesa a prescindere.L’accusa della ProcuraAdesso la decisione del Tribunale di Roma ha rimesso a posto le cose, chiarendo chi faccia cronaca e chi invece usi i media per difendere gli amici e bastonare i nemici a priori, senza aver neppure letto una carta giudiziaria.Secondo l’accusa, Boda, incaricata della realizzazione delle procedure per selezionare progetti scolastici, avrebbe «indebitamente» ricevuto 1,2 milioni di euro e altri 2 sarebbero finiti a una sessantina di persone a lei legate, assunte o, comunque, remunerate da Bianchi. Tra i beneficiati persino Daniele Piccirillo, fratello dell’allora capo di gabinetto del ministero della Giustizia, Raffaele, e cognato dell’ex capo della Direzione Antimafia e, oggi, parlamentare grillino Federico Cafiero De Raho. Sarebbero finiti a libro paga anche una parente del marito della Boda e un nipote della tifosa laziale suor Paola. Assunte da Bianchi pure due collaboratrici della Boschi: una le curava i profili social e l’altra era la sua consulente legale. Anche la «moglie di Vittorio Sgarbi», che «doveva recuperare soldi per un progetto», era finita nella lista che la Boda aveva consegnato al suo «bancomat» umano.I pm hanno contestato all’ex dirigente del Miur anche di aver rivelato all’amico imprenditore «notizie d’ufficio che avrebbero dovuto rimanere segrete». In particolare, la donna avrebbe anticipato via email all’imprenditore la bozza di un bando scolastico e avrebbe fatto partecipare il presunto corruttore, garantendogli potere decisionale, a riunioni ministeriali nelle quali si doveva stabilire la ripartizione dei finanziamenti alle scuole.L’importo degli appalti aggiudicati ammonta a 23 milioni di euro. Per molte di queste assegnazioni non sarebbe stato trovato alcun rendiconto e gli inquirenti non sono riusciti a comprendere che cosa le società di Bianchi abbiano fatto concretamente. L’editore è accusato anche di aver fatto pagare al ministero, sotto forma di spese, parte degli stipendi dei suoi dipendenti; l’uomo avrebbe, inoltre, scaricato alcune «corruzioni» come costi delle sue società (consulenze e rimborsi spese fittizi) così da evitare anche il pagamento delle tasse.Le altre posizioniIeri è stato condannato pure Fabio Condoleo, l’autista calabrese messo a disposizione della Boda da Bianchi. Per lui il Gup ha disposto una pena di 3 anni e 4 mesi. Assolti, invece, dall’accusa di corruzione per l’esercizio della funzione, Alessandro Ascoli, funzionario del ministero che, per i pm, avrebbe ricevuto dall’imprenditore una moto e un pc, e Maria Beatrice Mirel Morano, sospettata, nella sua qualità «componente delle commissioni di valutazione dei progetti», di aver intascato da Bianchi 2.000 euro. Dichiarato innocente anche Edoardo Burdi, a cui erano contestate violazioni fiscali in veste di presunto prestanome di Bianchi. Nell’ambito dello stesso procedimento è già iniziato il rito ordinario che vede alla sbarra lo stesso Bianchi e altre otto persone. Nei mesi scorsi sono usciti dal processo sei imputati, che hanno patteggiato una pena che è diventata definitiva. Erano sotto inchiesta, a vario titolo, per corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio e turbativa d’asta, contestazione, quest’ultima, collegata alle sanzioni più lievi. Le condanne? Un anno e 11 mesi per Chiara Calandriello, collaboratrice di Bianchi ed Evelina Roselli, funzionaria del ministero; 1 anno e 4 mesi per Sara Panatta, collaboratrice della Boda; 5 mesi e 120 euro di multa per Marco Lombardo, dipendente di una delle società di Bianchi; 4 mesi e una sanzione da 500 euro per Lucia Porcelli, altra dipendente dell’editore. La pena più pesante, 2 anni, è stata patteggiata da Valentina Franco, segretaria della Boda al ministero, stipendiata, però, da Bianchi, attraverso una delle sue società. Dopo essere finita ai domiciliari, nel settembre 2021, la Franco aveva iniziato a collaborare, svelando «un sistema operativo ben strutturato e altamente vantaggioso per tutti i suoi protagonisti».In conclusione l’inchiesta è stata un successo per il pm Villani e, più in generale, per la Procura di Roma che ha visto riconosciuto quasi per intero il suo impianto accusatorio. Sconfitti, invece, su tutta la linea i garantisti da salotto che scattano ogni qualvolta finisce sotto indagine un loro simile.
Pier Silvio Berlusconi (Ansa)