È giallo sull’inserimento in cdm del decreto per la gestione della pandemia. Intanto il ministro punta a fare approvare una clausola che permetta il ritorno alla libertà a patto che non si superi una certa soglia di casi.
È giallo sull’inserimento in cdm del decreto per la gestione della pandemia. Intanto il ministro punta a fare approvare una clausola che permetta il ritorno alla libertà a patto che non si superi una certa soglia di casi.«Cautela», «prudenza», «rigore». Il dizionario secondo Roberto Speranza. Non gli basta trasferire interamente al suo ministero i poteri del commissario straordinario, escludendo la Protezione civile, come da ipotesi circolate ieri; né che la tabella di marcia per il ritorno alla normalità abbia, di suo, il freno a mano tirato. Il vero obiettivo del ministro delle chiusure è far inserire, nel prossimo decreto Covid, una «clausola» per bloccare la road map, in caso di risalita dei contagi. Fonti di governo confermano alla Verità che «c’è una discussione sul punto». E intanto è giallo sul cdm, dal quale dovrebbe uscire il testo della norma. Si pensava si riunisse oggi, è slittato a domani. In giornata, era venuto fuori che, mancando un accordo politico in tema Covid, il vertice si sarebbe occupato solo della crisi energetica. Però era il 18 febbraio, quando Mario Draghi prometteva che la road map per la ripartenza sarebbe stata stilata «il più presto possibile». È trascorso quasi un mese. Così, in serata, Palazzo Chigi ha fatto sapere che «tirerà dritto, la quadra verrà trovata» e si cercherà di «aprire il più possibile». Restano oscuri i criteri in virtù dei quali dovrebbe scattare la tagliola di Speranza. A quanti contagi sarebbe fissata la soglia di guardia? Il 15 marzo 2021 registrammo 15.267 casi, 70.021 in meno di ieri, con un tasso di positività dell’8,5%, contro il 14,5% di ieri. I morti, tuttavia, furono 354, cioè 174 in più di ieri. È la prova che il polso della situazione non lo danno tanto le infezioni accertate, quanto l’andamento dei ricoveri e dei decessi. Che senso avrebbe vincolare la road map, già inutilmente impostata come una via crucis, a un eventuale innalzamento della curva epidemica, se poi esso non si traduce in un incremento sensibile delle ospedalizzazioni e delle vittime? La ragion d’essere delle restrizioni, per come ce l’hanno sempre raccontata, era quella: evitare che il sistema sanitario collassasse, che i nosocomi si riempissero di malati di Covid, che non si trovassero più posti in rianimazione per chi aveva bisogno della ventilazione artificiale e che ne uscisse compromessa anche l’assistenza dei pazienti affetti da altre patologie. Non a caso, lo scorso luglio, fu modificato il meccanismo dei «semafori»: le Regioni avrebbero cambiato colore, passando nelle fasce con maggiori limitazioni, anzitutto in rapporto al tasso di occupazione di reparti ordinari e terapie intensive. Con quale faccia, adesso, ci vengono a dire che il lungo addio a mascherine e green pass - che, comunque, resterà almeno fino a giugno sui luoghi di lavoro - dovrebbe venire ritardato, qualora il virus si diffondesse un po’ di più? Considerato anche che, nei mesi caldi, la sintomatologia tende ad affievolirsi? E poi, se i vaccini ci hanno davvero salvato, perché ci comportiamo come se non avessero cambiato il quadro?Nel frattempo, più si avvicina il momento di partorire l’agognato decreto, più s’intensifica la campagna mediatica sulla quinta ondata. Archiviata la fase delle rassicurazioni, riparte la processione di esperti, a insufflare la dose di allarmismo che dovrebbe scoraggiare gli afflati aperturisti. Ieri, è stato il turno di Sergio Abrignani, esponente di spicco dell’ormai pensionando Cts. Il professore, sentito da Repubblica, s’è giocato il jolly: ne ha stroncati più il coronavirus che la guerra. «Dal primo gennaio al 28 febbraio», ha sottolineato l’immunologo, «sono morte 17.000 persone per il Covid». Sorvolando, ovviamente, sulla sottile, benché decisiva distinzione: «con» o «a causa del» Covid? Delle vittime, «circa il 55% non aveva fatto il vaccino. Vuol dire più di 9.000 cittadini. […] Si stima che in Ucraina fino ad ora ci sono stati 2.000 morti civili, cioè, in proiezione, 6.000 in due mesi». Deduzione matematica: «Da noi, nello stesso lasso di tempo, il virus ha ucciso di più». Non bastava il temerario paragone con le bombe nell’Est? Abrignani ha riservato ai lettori anche un classico del repertorio pandemico: i contagi risalgono per colpa dei «non vaccinati, sia adulti che bambini, che quando incontrano Omicron e le sue sottovarianti si infettano di sicuro». Ritornello trito, stantio, avariato, che pure l’assessore alla Sanità del Lazio, Alessio D’Amato, ha provato a rifilare al Messaggero. Basterebbe ripescare la felice sortita di Anna Teresa Palamara, dell’Iss, intervistata il 13 gennaio dal Tg5: «La variante sta colpendo soprattutto persone vaccinate e soprattutto persone vaccinate con la terza dose». Il pressing dei cervelloni, comunque, punta altrove: a domanda sull’obbligo vaccinale per over 50, che decadrebbe il 15 giugno, mentre il governo vorrebbe anticipare la fine dell’obbligo di esibire la carta verde rafforzata in fabbriche e uffici, Abrignani ha sottolineato «quante persone non sarebbero morte se si fossero vaccinate». Quindi, «non ha senso toglierlo». Eccoli là. Punturine coatte, quarta dose, mascherine, green pass eterno, clausola Speranza: in troppi non si rassegnano all’idea di tornare alla vecchia vita. Si prodigano con tutte le forze per cristallizzare la «nuova normalità». E nelle stanze del potere, ahinoi, trovano spesso le porte aperte.
Andy Mann for Stefano Ricci
Così la famiglia Ricci difende le proprie creazioni della linea Sr Explorer, presentata al Teatro Niccolini insieme alla collezione Autunno-Inverno 2026/2027, concepita in Patagonia. «Più preserveremo le nostre radici, meglio costruiremo un futuro luminoso».
Il viaggio come identità, la natura come maestra, Firenze come luogo d’origine e di ritorno. È attorno a queste coordinate che si sviluppa il nuovo capitolo di Sr Explorer, il progetto firmato da Stefano Ricci. Questa volta, l’ottava, è stato presentato al Teatro Niccolini insieme alla collezione Autunno-Inverno 2026/2027, nata tra la Patagonia e la Terra del Fuoco, terre estreme che hanno guidato una riflessione sull’uomo, sulla natura e sul suo fragile equilibrio. «Guardo al futuro e vedo nuovi orizzonti da esplorare, nuovi territori e un grande desiderio di vivere circondato dalla bellezza», afferma Ricci, introducendo il progetto. «Oggi non vi parlo nel mio ruolo di designer, ma con lo spirito di un esploratore. Come un grande viaggiatore che ha raggiunto luoghi remoti del Pianeta, semplicemente perché i miei obiettivi iniziavano dove altri vedevano dei limiti».
Aimo Moroni e Massimiliano Alajmo
Ultima puntata sulla vita del grande chef, toscano di nascita ma milanese d’adozione. Frequentando i mercati generali impara a distinguere a occhio e tatto gli ingredienti di qualità. E trova l’amore con una partita a carte.
Riprendiamo con la seconda e conclusiva puntata sulla vita di Aimo Moroni. Cesare era un cuoco di origine napoletana che aveva vissuto per alcuni anni all’estero. Si era presentato alla cucina del Carminati con una valigia che, all’interno, aveva ben allineati i ferri del mestiere, coltelli e lame.
Davanti agli occhi curiosi dei due ragazzini l’esordio senza discussioni: «Guai a voi se me li toccate». In realtà una ruvidezza solo di apparenza, in breve capì che Aimo e Gialindo avevano solo il desiderio di apprendere da lui la professione con cui volevano realizzare i propri sogni. Casa sua divenne il laboratorio dove insegnò loro i piccoli segreti di una vita, mettendoli poi alla prova nel realizzare i piatti con la promozione o bocciatura conseguente.
Alessandra Coppola ripercorre la scia di sangue della banda neonazi Ludwig: fanatismo, esoterismo, violenza e una rete oscura che il suo libro Il fuoco nero porta finalmente alla luce.
La premier nipponica vara una manovra da 135 miliardi di dollari Rendimenti sui bond al top da 20 anni: rischio calo della liquidità.
Big in Japan, cantavano gli Alphaville nel 1984. Anni ruggenti per l’ex impero del Sol Levante. Il boom economico nipponico aveva conquistato il mondo con le sue esportazioni e la sua tecnologia. I giapponesi, sconfitti dall’atomica americana, si erano presi la rivincita ed erano arrivati a comprare i grattacieli di Manhattan. Nel 1990 ci fu il top dell’indice Nikkei: da lì in poi è iniziata la «Tokyo decadence». La globalizzazione stava favorendo la Cina, per cui la nuova arma giapponese non era più l’industria ma la finanza. Basso costo del denaro e tanto debito, con una banca centrale sovranista e amica dei governi, hanno spinto i samurai e non solo a comprarsi il mondo.





