
Palazzo Chigi contro il terzo mandato di Jean-Marc Chery. Ma serve l’ok dell’esecutivo d’Oltralpe. Si accende lo scontro sul rinnovo del consiglio d’amministrazione di Stm da portare all’assemblea di maggio. Sono in corso le trattative all’interno del consiglio di sorveglianza che riunisce i grandi azionisti. Rappresentano i governi di Roma e Parigi con una quota del 27,5% ciascuno. Al centro dello scontro l’amministratore delegato Jean-Marc Chery. Ricopre la carica dal 2018, e le sue decisioni sono state ritenute insoddisfacenti dal governo italiano. Le critiche più forti riguardano la gestione dei tagli (circa 3.000 persone pari al 6% dell’organico) e la distribuzione degli investimenti. Roma lo accusa di aver gestito l’azienda in modo palesemente favorevole agli interessi di Parigi, appoggiandosi a un comitato esecutivo in cui gli italiani sono passati da 4 su 9 a 3 su 8. Nell’elenco delle doglianze anche la decisione di avviare una nuova produzione di componenti elettronici non lontano da Grenoble grazie a un contributo del governo francese di 2,9 miliardi Questa preferenza fa il paio con le accuse di minori investimenti nel nostro Paese, nonostante l’annuncio avvenuto lo scorso maggio della costruzione in Sicilia del primo impianto in carburo di silicio. Sul tavolo l’ampliamento dell’impianto catanese che dovrebbe beneficiare di un programma pluriennale di investimenti da 5 miliardi, di cui 2 miliardi pubblici.La situazione è peggiorata con i recenti risultati finanziari della società che hanno evidenziato un utile in calo del 63% nel 2024, portando a una crescente insoddisfazione da parte del governo italiano. La posizione di Palazzo Chigi è stata chiara: il rinnovo di Jean-Marc Chery per un terzo mandato è inaccettabile, in particolare alla luce di una gestione ritenuta «sconsiderata e pericolosa». Per dare un segnale forte di rottura settimana scorsa sono state annunciate le dimissioni del vicepresidente del consiglio di sorveglianza, Maurizio Tamagnini (che è pure amministratore delegato del fondo Fsi). Era stato nominato nel 2023. Tuttavia, come ricorda il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, per allontanare Chery è necessario un accordo con il governo francese.La tensione resta alta. Il conflitto si inserisce in un contesto più ampio di difficoltà con il possibile ridimensionamento della sua forza lavoro. Secondo fonti vicine all’azienda, Stm starebbe considerando un taglio che potrebbe arrivare fino al 6% dei dipendenti, circa 2.000-3.000 lavoratori. Questa ristrutturazione ha sollevato preoccupazioni anche sul piano sociale, con il governo italiano che ha cercato di negoziare con l’azienda per minimizzare gli effetti sull’occupazione. Nonostante il piano di pensionamenti anticipati e uscite volontarie, l’incertezza resta alta, e le ripercussioni potrebbero essere pesanti, in particolare per l’impianto di Agrate, in Brianza.Lo scontro all’interno del colosso dei chip è molto più di una semplice questione di governance aziendale. È un conflitto che coinvolge dinamiche politiche complesse tra Italia e Francia, con il futuro di una delle aziende più strategiche nel settore della tecnologia al centro del dibattito. Il governo italiano ha ribadito l’intenzione di cambiare governance ma dovrà fare i conti con il governo francese. Visti gli attuali rapporti fra Roma e Parigi sarà tutt’altro che facile.
Elly Schlein (Ansa)
Corteo a Messina per dire no all’opera. Salvini: «Nessuna nuova gara. Si parte nel 2026».
I cantieri per il Ponte sullo Stretto «saranno aperti nel 2026». Il vicepremier e ministro dei Trasporti, Matteo Salvini, snocciola dati certi e sgombera il campo da illazioni e dubbi proprio nel giorno in cui migliaia di persone (gli organizzatori parlano di 15.000) sono scese in piazza a Messina per dire no al Ponte sullo Stretto. Il «no» vede schierati Pd e Cgil in corteo per opporsi a un’opera che offre «comunque oltre 37.000 posti di lavoro». Nonostante lo stop arrivato dalla Corte dei Conti al progetto, Salvini ha illustrato i prossimi step e ha rassicurato gli italiani: «Non è vero che bisognerà rifare una gara. La gara c’è stata. Ovviamente i costi del 2025 dei materiali, dell’acciaio, del cemento, dell’energia, non sono i costi di dieci anni fa. Questo non perché è cambiato il progetto, ma perché è cambiato il mondo».
Luigi Lovaglio (Ansa)
A Milano si indaga su concerto e ostacolo alla vigilanza nella scalata a Mediobanca. Gli interessati smentiscono. Lovaglio intercettato critica l’ad di Generali Donnet.
La scalata di Mps su Mediobanca continua a produrre scosse giudiziarie. La Procura di Milano indaga sull’Ops. I pm ipotizzano manipolazione del mercato e ostacolo alla vigilanza, ritenendo possibile un coordinamento occulto tra alcuni nuovi soci di Mps e il vertice allora guidato dall’ad Luigi Lovaglio. Gli indagati sono l’imprenditore Francesco Gaetano Caltagirone; Francesco Milleri, presidente della holding Delfin; Romolo Bardin, ad di Delfin; Enrico Cavatorta, dirigente della stessa holding; e lo stesso Lovaglio.
Leone XIV (Ansa)
- La missione di Prevost in Turchia aiuta ad abbattere il «muro» del Mediterraneo tra cristianità e Islam. Considerando anche l’estensione degli Accordi di Abramo, c’è fiducia per una florida regione multireligiosa.
- Leone XIV visita il tempio musulmano di Istanbul ma si limita a togliere le scarpe. Oggi la partenza per il Libano con il rebus Airbus: pure il suo velivolo va aggiornato.
Lo speciale contiene due articoli.
Pier Carlo Padoan (Ansa)
Schlein chiede al governo di riferire sull’inchiesta. Ma sono i democratici che hanno rovinato il Monte. E il loro Padoan al Tesoro ha messo miliardi pubblici per salvarlo per poi farsi eleggere proprio a Siena...
Quando Elly Schlein parla di «opacità del governo nella scalata Mps su Mediobanca», è difficile trattenere un sorriso. Amaro, s’intende. Perché è difficile ascoltare un appello alla trasparenza proprio dalla segretaria del partito che ha portato il Monte dei Paschi di Siena dall’essere la banca più antica del mondo a un cimitero di esperimenti politici e clientelari. Una rimozione selettiva che, se non fosse pronunciata con serietà, sembrerebbe il copione di una satira. Schlein tuona contro «il ruolo opaco del governo e del Mef», chiede a Giorgetti di presentarsi immediatamente in Parlamento, sventola richieste di trasparenza come fossero trofei morali. Ma evita accuratamente di ricordare che l’opacità vera, quella strutturale, quella che ha devastato la banca, porta un marchio indelebile: il Pci e i suoi eredi. Un marchio inciso nella pietra di Rocca Salimbeni, dove negli anni si è consumato uno dei più grandi scempi finanziari della storia repubblicana. Un conto finale da 8,2 miliardi pagato dallo Stato, cioè dai contribuenti, mentre i signori del «buon governo» locale si dilettavano con le loro clientele.






