Data l’età è comprensibile che Ilona Staller, 73 anni di professione fu pornostar, non abbia più le generose, per dimensioni e costanza, entrate di un tempo. Sono ricordi quelli di quando era Cicciolina e Pito Pito, un serpentone, l’accompagnava in scena. Folgorata dai radicali sulla via dei diritti civili - sappia Elly Schlein che ci sono state battaglie per la libertà sessuale assai esplicite anche prima che lei nascesse -Ilona Staller, nativa di Budapest quando ancora Viktor Orban era in mente Dei, scoperta in tutti i sensi da Riccardo Schicchi: è stata la prima in Italia ad esibire il nudo integrale, venne eletta nel 1987 alla Camera dei deputati come seconda solo dietro a Marco Pannella nelle liste del Partito Radicale. Si presentò a Montecitorio svestita di veli e contornata da una coroncina di fiori. Ma quando cinque anni dopo si presentò con la sua collega Moana Pozzi nella lista del Partito dell’Amore gli italiani la rimandarono a casa. Ma ora batte cassa: «Voglio10milioni di risarcimento» e si è posta alla testa dei 1.300 ex parlamentari che pretendono il ripristino degli assegni vitalizi. Cicciolina fu l’emblema della campagna che Luigi Di Maio, oggi disperso nelle sabbie sahariane, ai tempi potente ministro dei 5 Stelle nel 2018 aveva iniziato contro i «privilegi» degli eleti. Giggino ’a gazzosa- per il suo pregresso impegno al servizio dello stadio Maradona di Napoli - aveva scelto la Staller come bersaglio nobile della campagna anti-vitalizio. Per i suoi cinque anni da onorevole radicale Cicciolina percepiva circa 2.400 euro. Oggi la Staller chiede non solo il ripristino dell’assegno, ma anche i danni con tanto d’interessi e fa causa allo Stato. La patrocina l’avvocato Luca Di Carlo che conferma la richiesta dei 10 milioni di euro che andranno in beneficenza anche se mesi fa la Staller aveva fatto presente che per lei quei 1.000 euro di vitalizio che le erano rimasti erano indispensabili per campare visto che ora si sostenta vendendo un po’ di suoi quadri e poco d’altro. Tra i 1.300 che si sono opposti alla cancellazione degli assegni c’è chi prendeva cinque volte tanto i soldi di Cicciolina perché i vitalizi erano parametrati agli anni di onorevole servizio. Il ricorso è pendente e se ne sta occupando il collegio d’appello di Montecitorio presieduto dall’onorevole di Fratelli d’Italia Yelena Lucaselli che ha per ora preso in esame le domande di 900 ex deputati a cui Roberto Fico, allora presidente della Camera ed esponente di punta dei Cinque stelle, aveva cassato i vitalizi. Nell’elenco dei ricorrenti c’è l’album di famiglia della prima e della seconda Repubblica. Ci sono alcuni come Antonio Bassolino, come Claudio Martelli, come Fabrizio Cicchitto che hanno fatto la storia della sinistra, hanno tutti oggi un’altra occupazione e un’altra pensione. Paolo Guzzanti una delle firme di punta del giornalismo nazionale - che ha in comune con Cicciolina la passione per la pittura - ha rivendicato il suo diritto ad avere il vitalizio nonostante - come gli ha fatto notare ieri mattina il nostro direttore Maurizio Belpietro nell’editoriale su La Verità - riceva una non trascurabile pensione per la sua attività di giornalista che peraltro non si esaurisce mai. Per integrare la pensione se non gli basta -gli suggerisce Belpietro - «Puoi scrivere andare in televisione. Lo hai sempre fatto e nel migliore dei modi e puoi continuare a farlo. Oltretutto come ci hanno insegnato Montanelli, Biagi e perfino Scalfari (il fu direttore di “Repubblica” dove Guzzanti ha lavorato per anni fu parlamentare del Psi per evitare l’arresto dopo la denuncia del caso Sifar ha sempre riscosso il vitalizio per quell’unica legislatura, ndr) scrivere aiuta. A mantenersi giovani.» Ma se i professionisti -dagli avvocati ai medici passando per giornalisti e ingegneri - possono continuare a svolgere anche da parlamentari il loro lavoro, i dipendenti pubblici - siano essi magistrati o professori e gli annali sono pieni di casi clamorosi di personaggi che hanno messo insieme triple pensioni, da Giuliano Amato ad Anna Finocchiaro a Giuseppe Ayala per non dire di Cirino Pomicino che cumula due assegni, di Romano Prodi che ne mette in fila tre - vanno in aspettativa senza stipendio, maturano i contributi e scatti di carriera. Insomma è vero che la Costituzione, e giustamente, prevede che chi fa il parlamentare poiché presta servizio al Paese debba ricevere durante il suo mandato uno stipendio (nel caso dei nostri appare più che adeguato, per dirla in maniera elegante) che assicuri loro anche l’indipendenza, ma quando scendono dal seggio dovrebbero tornare alla vita e allo stipendio normale. E invece no. Ecco il ricorso. Paladino del plotone dei devitalizzati è l’avvocato Maurizio Paniz, già parlamentare Pdl-Fi, patrocinatore dei ricorsi di circa 650 deputati, ma che ha già fatto e vinto la battaglia al Senato. Sostiene Paniz: «Anche i parlamentari, come tutti i politici che dedicano decine di anni all’attività pubblica hanno diritto ad avere un trattamento pensionistico: il vitalizio non è un regalo, ma solo una pensione, che matura al sessantacinquesimo anno di età e che è strettamente legata ai contributi corrisposti in vita.» La decisione del collegio di appello di Montecitorio è attesa a giorni, forse a metà della prossima settimana. Una cosa è certa a Cicciolina la richiesta di vitalizio non pare oscena, anzi spera di ritrovare, se non tutte, almeno parte delle entrate di una volta.
Possibile che sia considerato un diritto intoccabile? Quel vitalizio da 3.108 euro al mese per una settimana di «lavoro» in Parlamento («lavoro», si fa per dire, ovviamente): possibile che venga ripristinato così, come se niente fosse? E possibile che ripristinarlo sia considerato addirittura un atto di giustizia? Possibile che non si riesca a intervenire nemmeno su un privilegio così assurdo? Un privilegio che è un affronto per milioni di italiani che, una somma del genere, non la incassano nemmeno dopo 40 anni di sudore e contributi Possibile che la piccola sforbiciata a quel vitalizio da 3.108 euro per una settimana di «lavoro», arrivata dopo anni di battaglie e di proteste, venga oggi cancellata in un pomeriggio di luglio, come se fosse stata un errore volerla? Come se fosse normale che a vincere sia sempre la casta, e gli italiani debbano solo tacere e pagare altrimenti sono degli orrendi populisti?
Piero Craveri, ex radicale, senatore per ben sette giorni, dal 2 al 9 luglio 1987, è uno dei miracolati di questo sogno di mezza estate della casta vincente. Pur essendo stato in carica per appena una settimana, infatti, incassa un vitalizio dal 1998, cioè da quando aveva 60 anni. Fino al 2018 il vitalizio era di 3.108 euro lordi al mese, oltre 2.000 euro netti. Nel 2018 è arrivato il taglio: da 3.108 a 1.636 euro lordi. 1.636 euro vi sembrano pochi per sette giorni di durissimo «lavoro» in Parlamento? Al Consiglio di garanzia del Senato evidentemente sì: infatti l’altro giorno, cancellando il taglio del 2018 e ripristinando gli antichi vitalizi, il Consiglio ha stabilito che il professor Piero Craveri deve tornare a incassare 3.108 euro al mese, come prima. La ritiene una giusta ricompensa, evidentemente, per il grande servizio reso alla Patria in quella lontana settimana del 1987. Conti alla mano: dal 1998 a oggi, il professore Craveri è costato alle casse dello Stato oltre 1.200.000 euro. Di contributi ha versato appena 60.000 euro. Il resto, cioè, 1.140.000 euro ce li abbiamo messi noi, di tasca nostra. Con tutto il rispetto per questo stimato storico, un prezzo un po’ salato per sette giorni di «lavoro», senza aver per altro mai messo piede in Senato, non vi pare?
Ma quello dell’ex senatore Piero Craveri è solo uno dei vitalizi ripristinati l’altro giorno dal Consiglio di garanzia del Senato. Prendete l’ex segretario del Psdi Carlo Vizzini: poteva sopravvivere con appena 7.903 euro al mese? Macché: gli sono stati restituiti i suoi 10.631 euro al mese. E Francesco Rutelli poteva sopravvivere con appena 7.801 euro al mese? Macché: gli sono stati restituiti i suoi 9.512 euro al mese. E l’ex sindaco di Catania Enzo Bianco, già condannato per il dissesto finanziario della sua città, si sa che ama spendere: come poteva farcela con «appena» 6.171 euro al mese? Per fortuna ora riavrà 8.082 euro al mese, che paiono il minimo per uno come lui. Così l’ex Dc, Udc, Ccd, Pd, già vice di Berlusconi e già uomo di fiducia di Veltroni, Marco Follini passerà da 5.330 euro a 8.062 euro a mese; l’ex ministro leghista Francesco Speroni passerà da 4.026 euro a 6.590 euro al mese; e l’ex tesoriere del Pd Ugo Sposetti passerà da 5.970 a 7.709 euro al mese. Fra i beneficiati anche Domenico Scilipoti (da 1.636 a 1.989 euro al mese), Antonio Razzi (da 2.285 a 3.232 euro al mese), Nicola La Torre, ex Pd e attuale direttore generale dell’agenzia che raduna le attività industriali del ministero della Difesa (da 4.065 a 6.217 euro al mese) nonché il banchiere Giuseppe Guzzetti, per oltre 20 anni presidente della Fondazione Cariplo, che potrà riavere finalmente i suoi 4.725 euro l’anno, senza i quali, ne siamo sicuri, non saprebbe come sbarcare il lunario.
«Quel taglio era illegittimo», ha detto il presidente del Consiglio di garanzia del Senato, Luigi Vitali. A dire la verità pure lui avrà un incremento nel vitalizio (da 4.300 a 4.800 euro al mese), ma Vitali giura e stragiura che il beneficio personale non ha influito sulla decisione. Lui sostiene di aver agito solo per spirito di giustizia. Sarà. Ma che giustizia ci sia nel ripristinare i suddetti privilegi è difficile da spiegare a chi lavora una vita al tornio o in fonderia per una pensione da fame. Il provvedimento del 2018, una delle poche cose buone fatte dal governo gialloblu, cercava proprio di mettere un argine a questa odiosa discrepanza, ricalcolando i vitalizi in base ai contributi versati (come avviene per tutti gli italiani) ed eliminando così qualche eccesso. Quello sì un piccolo atto di giustizia, diciamo il minimo sindacale della giustizia, che, per altro, aveva portato alle casse pubbliche un risparmio di 60 milioni di euro l’anno: non moltissimo, ma nemmeno da buttare via. Troppo bello per essere vero? A quanto pare. Nel 2020, infatti, c’era già stato il primo ripensamento: i tagli erano stati tagliati, il risparmio era stato ridotto da 60 a 40 milioni di euro. L’altro giorno il definitivo colpo di spugna. Tutto come prima. Scusate, abbiamo scherzato. Casta la vittoria, siempre.
Ciò che impressiona è che tutto avviene nel silenzio generale, senza che nessuno più si indigni. Alla chetichella, come ha detto il leader M5s, Giuseppe Conte. Il quale è stato uno dei pochi a protestare prendendosela però con il bersaglio sbagliato: ha infatti attaccato il governo, che non c’entra niente. A decidere il ripristino dei vitalizi, infatti, è stato il Consiglio di garanzia del Senato (quindi organo parlamentare) e per di più quello della passata legislatura. Operava infatti da settembre in regime di prorogatio per dinamiche incomprensibili ai più. Quella dell’altro giorno era la sua ultima riunione, prima dell’entrata in vigore del nuovo Consiglio, espressione del nuovo Parlamento. E già questo pone una domanda di opportunità: è giusto che una decisione così importante, come quella sui vitalizi, destinata a influire così pesantemente sull’immagine delle istituzioni e sulle tasche dei contribuenti, venga presa da un organo scaduto da nove mesi, formato da ormai ex parlamentari, uno dei quali (il presidente) godrà pure del privilegio appena ripristinato?
Ma non è tutto. Che il governo e la maggioranza non c’entrino nulla lo dimostra anche l’esame del voto: dei cinque componenti del Consiglio di garanzia i due che hanno detto no al ripristino sono stati quelli della Lega (Pasquale Pepe) e di Fratelli d’Italia (Alberto Balboni). A favore invece ha votato, oltre all’ex Forza Italia Luigi Vitali (il cui voto da presidente vale doppio), proprio un ex grillino, Ugo Grassi (oggi Noi Moderati). E decisiva è stata l’astensione della senatrice Pd, Valeria Valente, napoletana cresciuta a pane e politica all’ombra di Bassolino. Dunque le responsabilità sono chiare. Ma, al di là del gioco dello scaricabarile e della solita lite tra maggioranza e opposizione, resta la pessima immagine che, con questa vicenda, viene di nuovo riflessa dalle istituzioni: ancora una volta si ha l’impressione che chi popola i palazzi della politica lo faccia per difendere più i suoi interessi che quelli degli italiani, più i suoi privilegi che i miseri stipendi dei lavoratori, più i 3.108 euro del senatore per una settimana che le pensioni da fame. È vero che dopo la delusione a 5 stelle la rivolta anticasta ha perso smalto, e la gente è più propensa a rassegnarsi che a protestare. Ma non s’illudano lorsignori di poter tirare troppo la corda (e soprattutto non si stupiscano se poi nessuno li va a votare).
ha collaborato
Antonio Di Francesco
Eppure dobbiamo sperare che il taglio dei vitalizi regga. Lo so che i portavoce dei vampiri in queste ore stanno festeggiando: l'accoglimento di quattro ricorsi, da parte del collegio di giurisdizione della Camera, è un primo duro colpo per la riforma varata dalla maggioranza gialloblù. E i difensori del privilegio antico già pregustano la vittoria finale, con sentenze in grado di abbattere, colpo dopo colpo, tutti i tagli e di ripristinare lo status quo del vitalizio intoccabile assoluto. Il rischio c'è, è chiaro. Ma sarebbe un guaio se diventasse realtà.
Intanto cerchiamo di capire quello che è successo. I ricorsi di cui stiamo parlando non sono quelli presentati (in massa) ai tribunali di tutta Italia, ma quelli presentati allo stesso Parlamento. L'ufficio di presidenza della Camera, infatti, nell'approvare la norma si era detto disponibile a rivederla e aggiustarla nel caso si fosse dimostrata troppo penalizzate per qualcuno. Così è stato. Duecento persone hanno presentato ricorso a Montecitorio per ottenere una sospensiva. E in quattro casi questa richiesta è stata ritenuta legittima. Quindi, per questi casi, il taglio dei vitalizi, che dovrebbe essere operativo dal 1° gennaio, verrà rimandato. O, in alcuni casi, direttamente cancellato.
A prendere questa decisione (lo ripetiamo) non sono stati i giudici, ma la stessa Camera dei deputati. Fra l'altro il collegio di giurisdizione è formato da tre parlamentari, uno del Pd, uno della Lega e uno dei 5 stelle: quindi si può dire che non si tratta di una «bocciatura» che viene dall'esterno, ma di una «correzione» della norma da parte della stessa maggioranza che l'ha varata, relativamente ad alcuni casi specifici. Di che casi si tratta? Una è una vedova di 97 anni che non avrebbe più i soldi per pagare l'ospizio che la ospita. Poi c'è un'altra vedova, anziana e malata, assistita da una badante 24 ore su 24, che vive con la reversibilità del marito di 1.970 euro netti al mese. Poi c'è un'ex onorevole comasco, 93 anni, ex deputato socialista e poi del Psiup, anch'egli in difficoltà economiche.
Certo: qualcuno potrebbe chiedersi se dalle istituzioni viene riservata tanta attenzione anche agli italiani che non sono stati parlamentari e che pure si trovano nelle stesse condizioni (e non sono pochi). Così come ci si potrebbe chiedere chi paga la badante a chi ha lavorato per 40 anni in fabbrica, senza nemmeno avere la fortuna di un vitalizio in tenera età o di un maxi stipendio da parlamentare per una parte rilevante della propria vita. Domande legittime, sia chiaro. Eppure penso che la sospensione per quei casi sia stata giusta: nessuno può festeggiare se una vedova di 97 anni viene sbattuta fuori dall'ospizio o se un novantatreenne che è stato parlamentare della Repubblica negli anni orgogliosi del dopoguerra finisce in mezzo a una strada.
Per cui bene hanno fatto, io penso, i parlamentari della Lega e dei 5 stelle ad «aggiustare» la norma. Ancora una volta, infatti, nonostante i suoi numerosi errori, questa maggioranza dimostra di avere più buon senso di coloro che la attaccano a testa bassa. E nel caso specifico si dimostra che il taglio dei vitalizi non ha, in sé, nulla di punitivo o di vendicativo, non si basa sulla voglia di rivalsa sociale o sul desiderio di vedere qualche ex parlamentare ridotto a mendicante. Al contrario è un modo di abolire un privilegio insensato, che non è tollerato dagli italiani e che contribuisce in modo evidente a creare quel distacco dalla politica e dalle istituzioni che mina la nostra Repubblica.
Per questo tagliare i vitalizi insensati, e accettare questo taglio, è il modo migliore per aiutare la democrazia nel nostro Paese. E per questo è ancora più indisponente e irritante l'esultanza dei Maurizio Paniz di turno e di tutti gli altri difensori d'ufficio dei vampiri. Perché un conto è evitare che una novantasettenne vedova di un parlamentare venga sbattuta fuori dall'ospizio. Un altro conto è difendere il privilegio dei vari Sergio D'Antoni, Luciano Violante, Paolo Cirino Pomicino, Lamberto Dini, Angelo Pezzana, Piero Craveri, eccetera, quelli che pretendono doppia o tripla pensione, che incassano il vitalizio oltre a un assegno Inps che gli abbiamo regalato con i contributi figurativi, quelli che si mettono in tasca 2.000 euro netti ogni mese pur avendo «lavorato» (si fa per dire) una settimana in Parlamento, eccetera eccetera. E usare la vedova novantasettenne, salvata da un intervento di buon senso, per cercare di salvare l'ingordigia dei vecchi notabili è una strada di certo percorribile, perché tutto può succedere in questo Paese. Ma è una strada ricoperta di vergogna. E anche di pericoli. Perché il buon senso non è detto che duri per sempre…
Sì della Camera al taglio di un privilegio introdotto 64 anni fa. L'ufficio presieduto dal grillino Roberto Fico approva la delibera che ricalcola, dal primo gennaio 2019, le indennità di 1.338 ex deputati con metodo contributivo. Un risparmio di oltre 40 milioni.
- All'interno l'elenco dei vitalizi.
Il taglio ai vitalizi è diventato realtà. Ieri alla Camera l'ufficio presieduto da Roberto Fico ha approvato la delibera presentata lo scorso 27 giugno che ricalcola, a decorrere dal primo gennaio 2019, le indennità dei ex deputati (sono 1.338) con metodo contributivo, con un risparmio che supererà i 40 milioni di euro.
«Sono molto soddisfatto perché oggi abbiamo posto fine a una grande ingiustizia che ha rappresentato tanti anni della nostra Repubblica», ha commentato al termine del consiglio il presidente Fico. «I cittadini e le cittadine sentivano in maniera molto forte l'esigenza di porre fine ai vitalizi degli ex parlamentari così come li abbiamo conosciuti, perché il punto di principio fondamentale è che oggi ripariamo finalmente a un'ingiustizia sociale, dove i parlamentari avevano un trattamento e i cittadini fuori godevano di tutt'un altro trattamento. Oggi ricongiungiamo questo in nome della Repubblica italiana e in nome dei cittadini italiani e ripariamo soprattutto delle ferite». Venendo ai dettagli del voto, da tabulato ufficiale risulta che i voti totali a favore sono stati 12: 9 della maggioranza (M5s e Lega), uno del Partito democratico, e 2 di Fratelli d'Italia. Tre i voti di astensioni, dei 3 esponenti di Forza Italia. Non hanno partecipato al voto l'esponente di Leu e quello del gruppo Misto. Non appena è stato approvato il taglio, su piazza Montecitorio si sono riversati il vicepremier Luigi Di Maio, ministri, parlamentari e militanti 5 stelle per festeggiare con un flash mob i cui ingredienti sono stati palloncini gialli con la scritta «Bye bye vitalizi» e fiumi di Santero sempre in tinte grilline. «Giornata storica che gli italiani aspettavano da sessant'anni», ha esultato Di Maio, che rilancia sulle pensioni d'oro: «Saranno tagliate quelle sopra i 4.000 euro per ridare alle minime». Soddisfazione anche da parte del vicepremier Matteo Salvini: «Stop a vecchi e assurdi privilegi, con la Lega dalle parole ai fatti».
A margine del voto al provvedimento La Verità ha incontrato Marzio Liuni, membro dell'ufficio di presidenza in quota Lega, che ci ha spiegato come è si è svolta la giornata che ha portato al voto di ieri: «Dopo ampia discussione, dopo che tutte le forze politiche hanno presentato le loro ragioni, il provvedimento è stato votato e approvato. Chiaramente ci siamo dovuti fidare del parare della Camera, dell'Avvocatura di Stato, ci siamo fidati anche degli enti preposti come ad esempio l'Inps, l'Istat». La delibera è passata «con accoglimento dell'emendamento di Ettore Rosato del Partito democratico (Il collegio dei questori può, in presenza di motivate situazioni particolari, dovute a condizioni di salute, anagrafiche o socio-economiche, ricalcolare la rideterminazione degli assegni vitalizi dimezzando il taglio, ndr), a cui però abbiamo aggiunto una postilla perché in origine esso diceva che chi, nonostante un'invalidità o una condizione di salute particolarmente delicata, avesse un altro reddito o una casa di proprietà, avrebbe comunque subito il ricalcolo in base al metodo contributivo e questo ci sembrava ingiusto, anche perché non era chiaro se per “altro reddito" si intendesse anche la pensione e ciò avrebbe significato mettere anziani in mezzo alla strada, senza neppure la possibilità di pagare una casa di riposo».
A questa modifica si aggiunge anche lo slittamento al primo gennaio dell'entrata in vigore dei tagli, come abbiamo già detto in principio, inizialmente prevista per il primo novembre 2018. Liuni ha voluto commentare anche la frase di Fico in cui ha ribadito che vorrà mantenere tutte le promesse fatte nel suo discorso di insediamento, con un avvertimento: «Tutti i prossimi provvedimenti verranno decisi insieme, per cui se il presidente Roberto Fico ha delle idee deve discuterne con la Lega e poi decideremo se è una cosa da portare avanti o no. Ogni tanto fa dei salti in avanti, ma io gli ho consigliato di stare tranquillo perché non vorrei arrivare allo scontro». E sul rumor che relega il voto favorevole al taglio come un ticket della Lega per riavere i voucher, commenta: «È una scemenza totale, noi i vitalizi li abbiamo sempre voluti ricalcolare». La stoccata arriva pure sulle modalità di festeggiamento del taglio da parte dei 5 stelle: «La politica ha bisogno di sobrietà, io eviterei queste carnevalate, la materia è seria, siamo tutti d'accordo che c'è stato un tempo in cui la politica probabilmente approfittava della sua posizione, cioè nel '54 sono stati introdotti i vitalizi e sono sempre aumentati, non aveva assolutamente senso che qualcuno a 45 anni prendesse questo tipo di “pensione" se così possiamo chiamarla e i precedenti governi hanno sempre avuto occasione per ridimenzionarla ma nessuno lo ha mai fatto e anzi, hanno lavorato per accrescere questo privilegio, ma non è più il tempo. Sulla delibera ci si poteva ragionare un po' di più, l'ultima tabella con i coefficienti è arrivata l'atro ieri sera (martedì 10, ndr) ma il presidente ha deciso di premere l'acceleratore. Forse ci poteva essere un latro metodo meno attaccabile, ma secondo me (gli ex parlamentari, ndr) ci avrebbero attaccato anche se avessimo tagliato 1 solo euro». E chiude con una speranza per Palazzo Madama: «Il Senato credo sia stato a guardare cosa faceva la Camera e ora si presume farà lo stesso. So che hanno chiesto dei pareri ulteriori rispetto a noi (attraverso l'audizione del presidente dell'Inps Tito Boeri e il parere del Consiglio di Stato, ndr)».
Da Forza Italia giungono malumori, la vicepresidente della Camera, Mara Carfagna, ha lasciato la sala dopo il voto con il volto contrito e ha fatto sapere con una nota: «In Ufficio di
presidenza ci siamo astenuti: siamo a favore del taglio ai vitalizi, ma contrari ad imbrogliare gli italiani. Oggi non assistiamo alla fine dei vitalizi come sostengono i 5 stelle, ma al futuro arricchimento degli ex parlamentari e dei loro avvocati. Approvare una delibera che nasce già viziata da incostituzionalità costringerà infatti la Camera e i suoi organi a doversi difendere in giudizio dalla pioggia di ricorsi che sono già pronti sulle scrivanie degli avvocati. A rimetterci, alla fine, saranno quindi sempre le tasche degli italiani. C'è dunque poco da festeggiare».
bisogno), l’abolizione dei vitalizi agli ex onorevoli è questo: il tentativo di ricucire un rapporto che si era spezzato. Perché quando i parlamentari votano per anni in silenzio provvedimenti che massacrano le pensioni di chi ha lavorato 40 anni, e poi però insorgono a difendere il «diritto acquisito» del vitalizio per chi ha lavorato in Parlamento 7 giorni appena, inevitabilmente fanno sorgere un sospetto nei cittadini. Il sospetto, cioè, che i rappresentanti dei cittadini non rappresentano più una beata mazza. Cioè stanno su quelle seggiole non per difendere chi li ha eletti. Ma soltanto sé stessi.
Oggi è un giorno importante perché, abbattendo i vitalizi, si comincia ad abbattere quel sospetto. Per questo penso che opporsi al taglio sia sbagliato, almeno se davvero si ha a cuore la democrazia in Italia, e non solo il proprio portafogli. Si capisce, per l’amor del cielo: l’egoismo è un sentimento umano. A nessuno fa piacere vedersi togliere qualche spicciolo dal portafoglio, anche se è maturato in modo clamorosamente ingiusto, anche se non è essenziale per vivere perché magari si sta svolgendo un’altra professione o si prendono altre due o tre pensioni. Per cui tutte le proteste sono comprensibili. Però, vi prego cari onorevoli, non dite che lo state facendo per difendere i diritti degli altri, perché sapete benissimo che non è così. State difendendo solo i vostri interessi. Come avete sempre fatto.
E poi, vi supplico, difendetevi come volete, ma evitate di seminare il panico fra i pensionati, come state facendo in queste ore. È vergognoso dire che si comincia dai vitalizi per finire a tagliare le pensioni delle vedove. Non è così, lo sapete benissimo perché i vitalizi, storicamente, non sono mai stati considerati pensioni, ma privilegi extra, come le auto blu o i viaggi in aereo gratis. Togliere le auto blu significa impedire agli italiani di comprarsi un’auto? Evidentemente no. Così tagliare i vitalizi non vuol dire tagliare le pensioni.
È ovvio, si capisce, che pacta sunt servanda. Ma i patti devono essere leciti. Altrimenti non sono da conservare. Se io vado a truffare una vecchietta, e ingannandola le faccio sottoscrivere un accordo capestro, quando mi arrestano dicono che pacta sunt servanda? O liberano la vecchietta dall’obbligo di assolvere il contratto? Ecco: oggi gli italiani sono liberati da un patto scellerato che i parlamentari avevano fatto con loro stessi. A loro vantaggio. A nostra insaputa. E facendocelo pagare di nascosto per anni.
Un’altra balla che si sente ripetere spesso, infatti, è quello del vitalizio come baluardo della democrazia, nobile istituto voluto dai padri costituenti per proteggere il diritto di tutti di fare politica. Falso. Fu introdotto alla vigilia di Natale 1954, mentre gli italiani erano distratti dal cenone, proprio con una riunione dell’Ufficio di presidenza della Camera. A porte chiuse. Ed erano così consapevoli che stavano facendo una porcata che un parlamentare, l’onorevole trentino Giuseppe Veronesi, si dimise denunciando l’atto indegno. Ora una delibera dell’Ufficio di presidenza della Camera mette fine a quell’ingiustizia. Cosa c’è di più lineare? Del resto: se la famosa autodichia (cioè la possibilità del Parlamento di autoregolarsi) va bene per introdurre i privilegi, perché non dovrebbe andare bene per eliminarli?
Molti dicono: sarebbe stata meglio una legge. Come aveva provato a fare Matteo Richetti (Pd) nella passata legislatura: approvata dalla Camera, fu bloccata al Senato. Invece la delibera dell’Ufficio di Presidenza ha un vantaggio: è immediatamente operativa. A novembre i 1338 ex parlamentari si vedranno decurtare l’assegno, zac, è fatta, non sono più necessari altri passaggi. L’unica cosa che può bloccare questo sacrosanto provvedimento sono i vostri ricorsi, cari ex onorevoli. E perciò io voglio proprio guardarvi mentre li presenterete. Voglio vedere con che faccia di tolla lo farete. Se avrete, poi, ancora il coraggio di guardare negli occhi i comuni cittadini.
Voglio proprio sentirvi dire che il ricalcolo delle pensioni non si può fare. Voglio sentirvelo dire perché in realtà già oggi il ricalcolo avviene regolarmente senza che nessuno si sogni di presentare ricorso alla Consulta. E lo sapete per chi avviene? Per esempio per le anziane con la pensione minima, quando rimangono vedove: in quel momento incassano la reversibilità del marito, ma il loro assegno minimo viene decurtato. E se la reversibilità del marito supera i 5.800 euro l’anno (l’anno!) l’assegno sparisce. Qualcuno mi sa spiegare perché il ricalcolo va bene per la vedova che prende meno di 5.800 euro l’anno e non per l’ex onorevole Giuseppe Gambale che prende 8.455 euro al mese (al mese), da quando aveva 48 anni, mentre lavora da medico in un ambulatorio pubblico?
Io non lo capisco. E penso che sia difficile da spiegare agli italiani. Dicono: ma così la gente si è fatta un progetto di vita e lo deve cambiare. Pofferbacco, che disdetta. Ci dispiace assai. Ma gli italiani che si sono messi a lavorare in fabbrica pensando di poter andare in pensione dopo 30 anni e invece non ci riescono nemmeno dopo 40? E quelli che arrivati alla soglia dell’agognato riposo si sono sentiti dire: devi lavorare ancora 5 anni? Per loro non vale il progetto di vita? Vale solo per gli ex parlamentari?
Per carità, cari onorevoli, andate pure avanti, fate pure ricorso. Magari riuscirete pure a convincere i giudici. Magari alla fine la Corte costituzionale, che da sempre dei privilegi è culla, e che vede fra i suoi esponenti di spicco Giuliano Amato, uno che prima di essere nominato prendeva una pensione da 31.000 euro al mese, vi darà persino soddisfazione. Si sa che in Italia non c’è nulla di storto come il diritto. Ma sappiate che l’ingiustizia è così evidente che gli italiani non vi capiranno mai. Anzi, gli italiani si aspetterebbero che oggi, dopo la Camera, partissero subito i tagli dei vitalizi dei senatori e poi quelli degli ex consiglieri regionali. Se non lo faranno, se vogliono anche loro, come voi, alzare barricate e trincerarsi dietro i loro privilegi, facciano pure. Fate pure. Ma poi non lamentatevi se gli italiani continueranno a dire che la politica fa schifo.







