2023-07-09
Il blitz della commissione scaduta rimette il vitalizio in tasca ai senatori
Con un schiaffo agli elettori, ripristinate le cifre tagliate dal governo gialloblu. Si fregano le mani Francesco Rutelli, Goffredo Bettini, Ugo Sposetti e tanti altri. Giuseppe Conte si indigna (a ragione) ma sbaglia bersaglio: il non voto decisivo è dei dem.Possibile che sia considerato un diritto intoccabile? Quel vitalizio da 3.108 euro al mese per una settimana di «lavoro» in Parlamento («lavoro», si fa per dire, ovviamente): possibile che venga ripristinato così, come se niente fosse? E possibile che ripristinarlo sia considerato addirittura un atto di giustizia? Possibile che non si riesca a intervenire nemmeno su un privilegio così assurdo? Un privilegio che è un affronto per milioni di italiani che, una somma del genere, non la incassano nemmeno dopo 40 anni di sudore e contributi Possibile che la piccola sforbiciata a quel vitalizio da 3.108 euro per una settimana di «lavoro», arrivata dopo anni di battaglie e di proteste, venga oggi cancellata in un pomeriggio di luglio, come se fosse stata un errore volerla? Come se fosse normale che a vincere sia sempre la casta, e gli italiani debbano solo tacere e pagare altrimenti sono degli orrendi populisti? Piero Craveri, ex radicale, senatore per ben sette giorni, dal 2 al 9 luglio 1987, è uno dei miracolati di questo sogno di mezza estate della casta vincente. Pur essendo stato in carica per appena una settimana, infatti, incassa un vitalizio dal 1998, cioè da quando aveva 60 anni. Fino al 2018 il vitalizio era di 3.108 euro lordi al mese, oltre 2.000 euro netti. Nel 2018 è arrivato il taglio: da 3.108 a 1.636 euro lordi. 1.636 euro vi sembrano pochi per sette giorni di durissimo «lavoro» in Parlamento? Al Consiglio di garanzia del Senato evidentemente sì: infatti l’altro giorno, cancellando il taglio del 2018 e ripristinando gli antichi vitalizi, il Consiglio ha stabilito che il professor Piero Craveri deve tornare a incassare 3.108 euro al mese, come prima. La ritiene una giusta ricompensa, evidentemente, per il grande servizio reso alla Patria in quella lontana settimana del 1987. Conti alla mano: dal 1998 a oggi, il professore Craveri è costato alle casse dello Stato oltre 1.200.000 euro. Di contributi ha versato appena 60.000 euro. Il resto, cioè, 1.140.000 euro ce li abbiamo messi noi, di tasca nostra. Con tutto il rispetto per questo stimato storico, un prezzo un po’ salato per sette giorni di «lavoro», senza aver per altro mai messo piede in Senato, non vi pare? Ma quello dell’ex senatore Piero Craveri è solo uno dei vitalizi ripristinati l’altro giorno dal Consiglio di garanzia del Senato. Prendete l’ex segretario del Psdi Carlo Vizzini: poteva sopravvivere con appena 7.903 euro al mese? Macché: gli sono stati restituiti i suoi 10.631 euro al mese. E Francesco Rutelli poteva sopravvivere con appena 7.801 euro al mese? Macché: gli sono stati restituiti i suoi 9.512 euro al mese. E l’ex sindaco di Catania Enzo Bianco, già condannato per il dissesto finanziario della sua città, si sa che ama spendere: come poteva farcela con «appena» 6.171 euro al mese? Per fortuna ora riavrà 8.082 euro al mese, che paiono il minimo per uno come lui. Così l’ex Dc, Udc, Ccd, Pd, già vice di Berlusconi e già uomo di fiducia di Veltroni, Marco Follini passerà da 5.330 euro a 8.062 euro a mese; l’ex ministro leghista Francesco Speroni passerà da 4.026 euro a 6.590 euro al mese; e l’ex tesoriere del Pd Ugo Sposetti passerà da 5.970 a 7.709 euro al mese. Fra i beneficiati anche Domenico Scilipoti (da 1.636 a 1.989 euro al mese), Antonio Razzi (da 2.285 a 3.232 euro al mese), Nicola La Torre, ex Pd e attuale direttore generale dell’agenzia che raduna le attività industriali del ministero della Difesa (da 4.065 a 6.217 euro al mese) nonché il banchiere Giuseppe Guzzetti, per oltre 20 anni presidente della Fondazione Cariplo, che potrà riavere finalmente i suoi 4.725 euro l’anno, senza i quali, ne siamo sicuri, non saprebbe come sbarcare il lunario. «Quel taglio era illegittimo», ha detto il presidente del Consiglio di garanzia del Senato, Luigi Vitali. A dire la verità pure lui avrà un incremento nel vitalizio (da 4.300 a 4.800 euro al mese), ma Vitali giura e stragiura che il beneficio personale non ha influito sulla decisione. Lui sostiene di aver agito solo per spirito di giustizia. Sarà. Ma che giustizia ci sia nel ripristinare i suddetti privilegi è difficile da spiegare a chi lavora una vita al tornio o in fonderia per una pensione da fame. Il provvedimento del 2018, una delle poche cose buone fatte dal governo gialloblu, cercava proprio di mettere un argine a questa odiosa discrepanza, ricalcolando i vitalizi in base ai contributi versati (come avviene per tutti gli italiani) ed eliminando così qualche eccesso. Quello sì un piccolo atto di giustizia, diciamo il minimo sindacale della giustizia, che, per altro, aveva portato alle casse pubbliche un risparmio di 60 milioni di euro l’anno: non moltissimo, ma nemmeno da buttare via. Troppo bello per essere vero? A quanto pare. Nel 2020, infatti, c’era già stato il primo ripensamento: i tagli erano stati tagliati, il risparmio era stato ridotto da 60 a 40 milioni di euro. L’altro giorno il definitivo colpo di spugna. Tutto come prima. Scusate, abbiamo scherzato. Casta la vittoria, siempre. Ciò che impressiona è che tutto avviene nel silenzio generale, senza che nessuno più si indigni. Alla chetichella, come ha detto il leader M5s, Giuseppe Conte. Il quale è stato uno dei pochi a protestare prendendosela però con il bersaglio sbagliato: ha infatti attaccato il governo, che non c’entra niente. A decidere il ripristino dei vitalizi, infatti, è stato il Consiglio di garanzia del Senato (quindi organo parlamentare) e per di più quello della passata legislatura. Operava infatti da settembre in regime di prorogatio per dinamiche incomprensibili ai più. Quella dell’altro giorno era la sua ultima riunione, prima dell’entrata in vigore del nuovo Consiglio, espressione del nuovo Parlamento. E già questo pone una domanda di opportunità: è giusto che una decisione così importante, come quella sui vitalizi, destinata a influire così pesantemente sull’immagine delle istituzioni e sulle tasche dei contribuenti, venga presa da un organo scaduto da nove mesi, formato da ormai ex parlamentari, uno dei quali (il presidente) godrà pure del privilegio appena ripristinato? Ma non è tutto. Che il governo e la maggioranza non c’entrino nulla lo dimostra anche l’esame del voto: dei cinque componenti del Consiglio di garanzia i due che hanno detto no al ripristino sono stati quelli della Lega (Pasquale Pepe) e di Fratelli d’Italia (Alberto Balboni). A favore invece ha votato, oltre all’ex Forza Italia Luigi Vitali (il cui voto da presidente vale doppio), proprio un ex grillino, Ugo Grassi (oggi Noi Moderati). E decisiva è stata l’astensione della senatrice Pd, Valeria Valente, napoletana cresciuta a pane e politica all’ombra di Bassolino. Dunque le responsabilità sono chiare. Ma, al di là del gioco dello scaricabarile e della solita lite tra maggioranza e opposizione, resta la pessima immagine che, con questa vicenda, viene di nuovo riflessa dalle istituzioni: ancora una volta si ha l’impressione che chi popola i palazzi della politica lo faccia per difendere più i suoi interessi che quelli degli italiani, più i suoi privilegi che i miseri stipendi dei lavoratori, più i 3.108 euro del senatore per una settimana che le pensioni da fame. È vero che dopo la delusione a 5 stelle la rivolta anticasta ha perso smalto, e la gente è più propensa a rassegnarsi che a protestare. Ma non s’illudano lorsignori di poter tirare troppo la corda (e soprattutto non si stupiscano se poi nessuno li va a votare).ha collaborato Antonio Di Francesco