Paolo Longobardi, presidente di Unimpresa, quali sono le priorità immediate per Europa e Stati Uniti di fronte al rafforzamento dell’asse Cina–Russia–India?
«L’Occidente deve svegliarsi. E non è uno slogan. È la constatazione che il mondo si sta riorganizzando attorno a filiere economiche e logistiche alternative a quelle occidentali. Cina, India e Russia cooperano per convenienza: energia, manifattura, pagamenti. Se restiamo fermi, rischiamo di perdere peso negoziale e standard industriali. “Svegliarsi” vuol dire rimettere al centro competitività, innovazione, sicurezza degli approvvigionamenti e regole del commercio. Con lucidità, senza crociate».
Quali riforme e strumenti comuni servono perché l’Ue riesca a esprimere la forza politica necessaria in questa fase straordinaria, superando lentezze, veti e frammentazioni attuali?
«L’Unione europea, così com’è, non garantisce la forza politica necessaria. L’Unione è un’architettura preziosa, ma troppo lenta e frammentata. La logica del veto, l’eccesso di procedure, la mancanza di strumenti comuni su energia, difesa, tecnologica e politica industriale impediscono di parlare con una sola voce. Così perdiamo posizioni. Servono decisioni a maggioranza qualificata su esteri e sicurezza economica, un bilancio europeo più ambizioso per investimenti strategici e un’unica regia su materie prime critiche, semiconduttori, batterie».
In concreto, che cosa dovrebbe fare l’Europa nei prossimi dodici mesi?
«Tre cose. Primo: una vera “politica delle catene” - corridoi logistici alternativi, sburocratizzazione dei porti e dei valichi, accordi con Mediterraneo, Balcani e Africa per ridurre tempi e costi. Secondo: un’architettura dei pagamenti che permetta alle nostre imprese di operare in più valute in modo sicuro, con strumenti europei di trade finance e garanzie Sace/Simest potenziate. Terzo: un’azione industriale comune su transizione energetica e tecnologie abilitanti, evitando che ogni Stato vada per conto proprio».
E l’Italia? Dove può muoversi subito?
«Accelerare su energia a prezzi competitivi - rinnovabili, gas di transizione, reti - e su logistica: Zes, ultimo miglio ferroviario, digitalizzazione doganale. Poi una cabina di regia pubblico-privata per l’internazionalizzazione delle pmi: formazione manageriale sui mercati asiatici, sportelli “sanzioni e compliance”, supporto contrattuale per clausole multi-valuta e gestione del rischio. Infine, una strategia Paese sull’India: joint venture industriali, trasferimento tecnologico, campus formativi condivisi».
Il governo italiano ha oggi la forza e la stabilità per farci giocare da protagonisti sulla scena internazionale?
«Sì. Per la prima volta dopo molti anni l’Italia si presenta con un esecutivo forte e stabile, capace di dare continuità alle scelte e credibilità ai tavoli che contano. Questo si vede nei dossier del Mediterraneo allargato, dell’energia, delle catene di fornitura e nei rapporti con India e Asean. La stabilità consente di programmare: corridoi logistici, porti e intermodale, sostegno all’export (Sace e Simest), Zes unica e politiche industriali più coerenti. Alle imprese chiediamo pragmatismo; allo Stato chiediamo tempi rapidi e meno burocrazia. Con queste condizioni, l’Italia può davvero essere protagonista e non semplice spettatrice».
Come gestire il rapporto con la Cina senza alimentare tensioni o dipendenze eccessive?
«Con pragmatismo. Difendere gli interessi strategici e la sicurezza delle filiere, ma mantenere un canale di dialogo commerciale dove ci sono convenienze reciproche. Diversificare non vuol dire chiudere: significa evitare la “single-risk exposure” e costruire alternative credibili in Asean, India, Turchia, Mediterraneo allargato».
Alcuni temono che questa sia una stagione di nuovo protezionismo.
«Il rischio c’è. Ma la risposta non può essere l’autarchia: servono regole chiare, rapide difese contro pratiche distorsive e, allo stesso tempo, politiche attive per l’innovazione. L’Occidente deve tornare a dettare standard: su sostenibilità, sicurezza dei dati, qualità dei prodotti. È lì che si gioca la competizione, non sulle barriere».
In che modo tutto questo tocca le piccole e medie imprese?
«In modo diretto: materie prime, componenti, tempi di consegna e costi di finanziamento. Le nostre pmi hanno bisogno di strumenti semplici e veloci: accesso al credito per l’export, coperture assicurative, assistenza sui pagamenti in yuan, dirham o rupie quando necessario, e piattaforme di e-commerce B2B verso l’Asia con regole certe. La politica deve togliere attriti, non aggiungerne».
Un suo suggerimento al mondo delle imprese?
«Tenere la barra dritta: ridondanza dei fornitori, pianificazione logistica, contratti multi-valuta con clausole di compliance, formazione continua. Unimpresa farà la sua parte: accompagnare le aziende, proporre correttivi normativi e chiedere a governo e Unione europea quella visione che oggi manca. È il modo più serio per “svegliarsi” senza alzare la voce, ma alzando l’ambizione».





