(Ansa)
Il ministro dell'Interno e' intervenuto, insieme al capo della Polizia Vittorio Pisani, alla presentazione dell'edizione 2026 del calendario della Polizia di Stato alle Terme di Diocleziano a Roma.
Il ministro dell'Interno e' intervenuto, insieme al capo della Polizia Vittorio Pisani, alla presentazione dell'edizione 2026 del calendario della Polizia di Stato alle Terme di Diocleziano a Roma.
Parlerò, in modo un po’ «accattivante», di tre argomenti, fin troppo maltrattati, ma cruciali per noi oggi e perfettamente correlati fra loro: vita e natalità, consumismo, ambientalismo.
Nell’Antico Testamento, nel Libro di Giobbe (7,1) è scritto: «La vita dell’uomo sulla terra è una milizia». L’uomo cioè deve apprendere l’arte della guerra, secondo la sua epoca, deve apprendere a difendersi non solo da minacce, ma anche da inganni. Solo così può restare libero e responsabile. Oggi ci sono rischi di dittature culturali, anche autoritarie, che riguardano il valore della vita umana, lasciando ben intendere che è necessaria la riduzione del numero della popolazione, con la scusa della difesa ideologica dell’ambiente. Questa cosiddetta «dittatura» incombe sulla nostra civiltà imponendo «leggi universali», che è necessario capire se si vuole restare liberi di decidere. Sarò necessariamente un po’ «satirico» stavolta, riferendomi con un minimo di ironia a varie «leggi», da me inventate e così battezzate, per incuriosire il lettore. Per esempio la «legge di Margherita», quella di Sant’Agostino, quella di Innocenzo III, ed infine la legge di Ratzinger e quella di Donald Trump.
La «legge di Margherita» («Come osate? Non sprecate le “nostre” risorse…!» ) si può sospettare che, più che di una legge a difesa dell’ambiente, sia una inconsulta legge antinatalità, visto che necessariamente consegue che considera il prossimo, cioè la creatura umana, un cancro della natura, da estinguere al più presto. Non credo sia necessario saper usare la logica aristotelica per intendere che riducendo le nascite (nell’Occidente ricco e dotto, ma ad economia matura ), si riduce la crescita economica, da compensare con esponenziale consumismo individuale, che genera più uso di risorse e più inquinamento. Non è vero che la scelta per la denatalità (nel mondo occidentale ) è legata a scarsi redditi o scarse risorse economiche, bensì proprio il contrario. La denatalità rende poveri, deboli, vulnerabili, crea rischi imprevedibili nel mondo globale e provoca paradossalmente consumismo... ma a debito.
Parallelamente alla legge di Margherita, la mia fantasia ha inventato la legge di papa Innocenzo III, difensore della vita e della terra (insieme). Papa Innocenzo III è quello che ingaggiò (XIII secolo) la lotta al «catarismo». La cosiddetta eresia catara pretendeva, in sintesi estrema, di ridurre la popolazione, rifiutando i bisogni del corpo per liberare lo spirito dalla materia. Ma non per salvare la terra, perché opera del male, creata da un Demiurgo che non era Dio, bensì per tutelare lo spirito. Interessante no? I catari rifiutavano la vita e la terra per tutelare lo spirito, gli «ambientalisti ideologici» rifiutano la vita e lo spirito per tutelare la terra.
La legge di Sant’Agostino e dell’illuminista Denis Diderot (un santo e un saggio laico) permette una sintesi sul valore morale del consumismo, trattato nelle due leggi precedenti. Il santo (Agostino) dice che si vede ciò che i ricchi hanno, ma non si vede ciò di cui mancano… Il saggio illuminista (Diderot) lo conferma con la sua famosa sentenza chiamata «l’effetto Diderot» (nel saggio Rimpianti per la mia vecchia vestaglia). Scrive Diderot che il consumismo nasce dalla insoddisfazione di ciò che si possiede di materiale e dal compulsivo desiderio di sostituirlo acquistando cose diverse, per colmare il senso di vuoto proprio prodotto dal consumismo. Diderot, nel saggio citato, fa l’esempio della sua schiavitù verso una nuova vestaglia rossa che gli impose di cambiare tutto l’arredamento che non si intonava al rosso. Scoprendo più tardi che, prima era padrone lui della vecchia vestaglia, dopo era diventato schiavo della nuova.
Così anche il grande intellettuale francese, amico personale di papa Paolo VI, Jean Guitton, scrisse che ciò che manca realmente all’uomo non è quello che non ha e vorrebbe avere, perché l’uomo possiede realmente solo ciò di cui può fare a meno, altrimenti sono le cose di cui non si può fare a meno che lo possiedono. Ma persino un filosofo ambientalista come H. Thoreau scrisse che un uomo è ricco in funzione delle cose di cui può fare a meno… Sul consumismo illustri intellettuali laici e cattolici si trovano d’accordo. Forse perché saggezza cristiana e laica talvolta coincidono, anche se ispirate a valori diversi? Perché allora il consumismo resta controverso e avversato fattore imprescindibile per la crescita economica che apparentemente nessuno apprezza, soprattutto se genera «crisi»? Forse perché il dissidio sta in come risolvere detta crisi? Per governare una situazione di crisi ci son state recentemente fornite due spiegazioni.
La prima (la battezzerò la legge di Ratzinger) ci viene da papa Benedetto XVI, che nell’enciclica Caritas in Veritate spiega che per risolvere una grande crisi non sono gli strumenti (per es. la forma di capitalismo) che vanno cambiati, ma il cuore dell’uomo, ed è compito della Chiesa riuscirci, non di un cardiochirurgo.
La seconda, su cui riflettere, (la battezzerò legge di Donald) mi viene ispirata dal presidente Trump che per risolvere la grande crisi di leadership degli Usa sta cercando di cambiare l’uso degli strumenti, ma anche il cuore dell’uomo. Per cambiare l’uso degli strumenti sta cambiando la governance del Paese, ridimensionando i ben otto deep state che controllano gli Usa ed influenzano il suo governo rendendolo spesso ingovernabile. Per cambiare il cuore degli americani ha scelto come vicepresidente J.D. Vance, cattolico, che sta riscoprendo e proponendo i veri valori necessari a rafforzare lo spirito di una grande nazione, oggi. Oggi, come ho scritto all’inizio di questo articolo, è il momento di imparare a difendersi da minacce e inganni e saper rifiutare quelle dittature culturali che direttamente e indirettamente mettono a rischio il valore della vita umana riducendola a considerarsi un bacillo sfuggito alla evoluzione, cancro della natura e pertanto da estinguere al più presto. Ma si deve cercare di cambiare la governance anche per riuscire a poter cambiare il cuore dell’uomo.
Quello che accadrà negli Usa lo vedremo nei fatti, in funzione del valore dato alla vita umana anzitutto. E comprenderemo subito se la crisi verrà realmente risolta e torneremo «a riveder le stelle» o no. (Dante, ultimo verso dell’Inferno XXXIV, 139)
«Le Figaro» ha ritrovato una conversazione con lo scrittore francese risalente al 1960 e mai uscita prima. Si tratta del solito Céline: geniale, estremo, provocatorio. Ma sempre godibile.
È un periodo fortunato, per i fan di Louis-Ferdinand Céline. Prima, infatti, c'è stato il ritrovamento dei suoi romanzi inediti, che piano piano stanno uscendo in libreria. Adesso Le Figaro ha ritrovato anche una lunga intervista mai uscita, realizzata nel 1960 da Roger Mauge di Paris Match, nel periodo in cui uscì Nord. Nella lunga conversazione c'è il solito Céline, pronto a sparare a zero su tutto e a fornire opinioni taglienti e definitive su qualsiasi argomento. «Ho un sogno. È quello di avere i due Nobel, perché questo mi tirerebbe fuori dai guai: quello della pace e quello della letteratura. L'ho chiesto, chiedo ovunque. Non viene», spiega lo scrittore. Secondo il quale, il razionalismo dei gesuiti e di Cartesio non regge alla prova dell'esperienza: «C'è il bene, c'è il male».
Il solido buon senso, no? Cioè, tutto deve essere logico. Uno più uno fa due, e due più due fa quattro, più uno: cinque, per me. Siamo abbastanza lontani dall'Oriente da dove sono venute tutte le arti, in fondo, dove sai che tutto ciò che era logico è stato cancellato. Solo l'irrazionale contava. Noi siamo l'opposto. Prima c'è il ragionevole. Non è vero però, perché alle sorgenti della vita... Oh! È una parola grossa... voglio dire: coito. BENE ! Sfido un uomo a coitare ragionevolmente. Puoi fare un sacco di cose ragionevoli - questo è quello che ha detto Savy, il biologo -; disse, no? “Quando diciamo nella Scrittura: 'In principio della vita era il Verbo', beh non è vero. All'inizio della vita c'era l'emozione”. È l'emozione che conta. La parola porta via tutto. È l'emozione che conta. Un'ameba protozoica, che è la più semplice della serie animale, la tocchi e si contrae. Essa non parla. I bambini di 2 o 3 anni, sai che sono molto più dotati a 2 o 3 o 4 anni rispetto a quando iniziano a parlare. Quando iniziano a parlare, smettono di cercare. Sopra i 4 anni si inizia a balbettare. La parola porta via tutto. Chiacchierano e non osservano più. Si lasciano trasportare dalle parole mentre è l'emozione che conta». Dopodiché, Céline passa a una serie di bizzarre teorie antropologiche: «Anatomicamente, l'uomo è infelice. È infelice perché è costretto dalla natura a stare in piedi. Vale a dire che è l'unico animale che si regge sulle zampe. Poi, su due piedi, la gravità lo abbatte. Le tette inevitabilmente cadono, le natiche uguali».
Non manca una riflessione sull’ultima guerra e su come è stata condotta da parte dei tedeschi: «Adolf Hitler non aveva il genio di Napoleone. Era un empirico, Hitler. Un empirico, deve vincere. Ha perso il suo treno il giorno in cui non è sbarcato subito in Inghilterra. Aveva quello che ci voleva. Avrebbe potuto riuscirci. Hanno sganciato bombe dalle Azzorre che avrebbero potuto annientare l'Inghilterra. Perché, sai, non è stato obbedito. Ha dato l'ordine. Un dittatore che non vince subito è perché viene disobbedito. Non aveva il genio giusto. Era un bastardo. Stava andando bene. Era una star ma non aveva alcun genio militare».
Che la doppia ecatombe di Hiroshima e Nagasaki non sia stata ancora riconosciuta come un «crimine contro l’umanità» è certamente scandaloso, e conferma una volta di più la vecchia logica della Storia scritta dai vincitori. Converrebbe, tuttavia, fare un passo indietro, e prendere atto che la nozione stessa di «crimine contro l’umanità», come più in generale la teoria e la retorica dei «diritti umani», è espressione della cultura universalista e omologante nata dalla Rivoluzione francese (e americana). Di quella cultura tuttora egemone che ha meritato al Novecento le definizione di «secolo americano» (Geminello Alvi).
La nozione di «crimine contro l’umanità» è, insomma, un prodotto tipico dell’ideologia liberale, comparso per la prima volta nel 1915 in riferimento al genocidio armeno ed è, a esaminarla da vicino, un monstrum giuridico e un arrogante paradosso concettuale. Propugnarne l’estensione ad altri massacri e tragedie (Dresda, Hiroshima, Nagasaki) significa accettare a priori la logica o, meglio, l’ideologia che l’ha imposta: sarebbe come criticare la politica pseudo-umanitaria dell’Unesco e propugnare poi l’inclusione di nuovi siti nel famoso Patrimonio dell’umanità, che catalogando e «tutelando» i tesori del pianeta lavora ormai da decenni per la vecchia utopia dello «Stato mondiale».
Si tratta, dunque, di esaminarla da vicino e di «decostruirla», sconfinando - è inevitabile - sul terreno teorico-filosofico. Per riprendere una celebre massima di Pierre-Joseph Proudhon, già ripresa a suo tempo da Carl Schmitt e rievocata da Danilo Zolo in un prezioso contributo di ormai vent’anni fa, «chi dice umanità, sta cercando di ingannarti».
Nel lessico ordinario, ogni «crimine» comporta un responsabile e una vittima, dove entrambi, l’autore e la vittima, possono essere soggetti collettivi. Nel caso, diventato paradigmatico, della Shoah, l’autore del crimine-genocidio è ovviamente l’intero regime hitleriano, mentre la vittima è l’intero popolo ebraico in quanto tale (oltre a gruppi minoritari come zingari e omosessuali, destinati anch’essi in quanto gruppi alla Ausrottung: a essere «estirpati» come erbacce infestanti il puro terreno ariano). Sulle dimensioni del genocidio c’è ormai poco da discutere, e non è questo il punto.
Trasformare con la bacchetta magica il crimine-genocidio (armeno, Shoah, Hiroshima-Nagasaki) in un «crimine contro l’umanità» è, invece, una strana operazione dalla fisionomia ambivalente: nel momento stesso in cui si vorrebbe enfatizzare la gravità del crimine, estendendolo in qualche modo all’umanità intera (come «vittima indiretta»), in quello stesso momento l’operazione sostituisce alla vittima reale una vittima in certo senso immaginaria o astratta, dai contorni amplissimi e sfocati.
Ma c’è di più. Questa operazione in certo modo sostitutiva, che non sembra avere precedenti nella storia del diritto, ne ha in realtà uno formidabile in tutt’altro ambito: nella teologia. Ed è perciò un caso singolarissimo di «teologia politica», di transfert dal teologico al politico. Il precedente specifico è infatti la nozione religiosa di «peccato», inteso, secondo la definizione della dottrina cattolica, come un’«offesa a Dio». Non nel senso ovvio della bestemmia che ha il nome di Dio come bersaglio diretto, ma nel senso che ogni peccato, a cominciare da quelli commessi ai danni di altri individui umani come la violenza, il furto, la menzogna, il raggiro, coinvolge sempre Dio indirettamente, come «vittima seconda» (e come vittima primaria nell’ordine etico-metafisico).
L’analogia è vistosa: in entrambi i casi - il peccato e il «crimine contro l’umanità» - alla vittima immediata e concreta si sovrappone un Soggetto che è giocoforza scrivere con la maiuscola, perché viene chiamato in causa in nome della sua ubiquità, della sua misteriosa immanenza alle azioni umane.
Questo soggetto è Dio, o quel surrogato di Dio che diventa l’Umanità nell’ideologia secolarizzata dei «crimini contro l’umanità». Se dal punto di vista teologico questa estensione è evidentemente un abuso, anzi una parodia, perché sostituisce il Dio della fede religiosa con l’Umanità come dio mortale e in sostanza la divinizza, dal punto di vista del diritto introduce surrettiziamente un paradigma teologico (l’Umanità come nuovo dio) di cui gli stessi giuristi sembrano essere in larga misura inconsapevoli. Come lo sono i teologi e gli ecclesiastici, sostenitori perlopiù entusiasti e ignari della nuova ideologia «dirittista».
Capire che cosa è realmente in gioco in questa doppia ignoranza (l’ignoranza, da parte dei teologi come dei giuristi, della portata pseudo-teologica dell’operazione), e che cosa è realmente in gioco nell’idea, per fortuna ancora fantagiuridica, di un «Tribunale dell’Umanità», è il vero cuore del problema.
L’articolo di Marcello Veneziani, persona di grande cultura, che mi onoro di considerare un amico, condividendo gran parte delle sue riflessioni, in tema di allarme demografico per sovrappopolazione mondiale, mi ha spinto a cercare di approfondire la delicatissima questione della cosiddetta «limitazione delle nascite». Prescindo dalla mia personale appartenenza religiosa che mi rende profondamente convinto che ogni nuova vita è un grande e prezioso dono di Dio, vorrei esporre ed analizzare i fatti utilizzando argomentazioni esclusivamente razionali e tecniche, partendo da dati certi e verificabili. Dunque, quante persone possono vivere sul nostro pianeta? Il punto di partenza è la conoscenza e la valutazione delle terre coltivate (e coltivabili) valutandone la capacità di produrre «alimentazione». I tecnici parlano di «superficie agricola utilizzata» (Sau), intendendo seminagioni, alberi da frutto, terreni destinati a pascolo, coltivazioni agrarie diverse, prati permanenti. Chiaramente sono escluse le aree occupate da fabbricati, ma anche quelle destinate a bosco libero o a bosco da legna. Dunque, la superficie agricola totale (Sat) è data dalla somma della Sau (quella già utilizzata) più quella non ancora utilizzata. Ora, la superficie totale delle terre emerse è di circa 15 miliardi di ettari e la Sau è circa un terzo del totale, cioè 5 miliardi di ettari, e di questi 1,5 miliardi di ettari sono di terre arabili. Si aggiunga che - ad oggi - sono 140 milioni gli ettari destinati a coltivazioni permanenti (frutteti, vigneti, the, caffè). A questi dati, va collegato un altro importante parametro: la cosiddetta «resa agricola» che in poche e semplici parole significa la capacità «produttiva» in termini alimentari del terreno. Per evitare calcoli troppo complessi, possiamo riferirci alle due coltivazioni più diffuse: mais e frumento. Ogni chilo di frumento vale circa 3.390 calorie, e ogni persona adulta richiede mediamente (naturalmente con tutte le possibili variabili) 3.000 calorie al giorno (cioè 1 milione e 100.000 calorie in un anno). Oggi, siamo in grado di produrre circa 10 miliardi di tonnellate di frumento all’anno. Moltiplicando la quantità di calorie per tonnellata di frumento (3.390.000 calorie) e tenendo conto che con circa 3.000 calorie al giorno possiamo adeguatamente nutrire una persona, risulta che - ad oggi - il nostro pianeta è in grado di mantenere 30 miliardi di umani. Va precisato che i dati riportati sono calcolati ad oggi, cioè in base allo sviluppo scientifico, tecnologico, strumentale e sociale che caratterizza il nostro mondo attuale, e la storia dell’uomo ci insegna quante impensabili ed inaspettate risorse l’«homo sapiens sapiens» sia in grado di mettere in atto, soprattutto quando si trova in condizioni di necessità. Del resto, è sufficiente farsi un giretto per il nostro bel Paese per vedere quanti miracoli «agroalimentari» siamo stati capaci di costruire in poco più di 100 anni, così che al tempo dell’Unità d’Italia ancora si moriva di fame, ed oggi - purtroppo - si muore di sovralimentazione! Le capacità della nostra mente di trovare strade sempre nuove, di elaborare mezzi tecnici sempre più utili ed affidabili (chi, solo 30 anni fa, avrebbe mai pensato che saremmo stati in grado di produrre pomodori, zucchini, pesche o olive resistenti alle muffe o ai batteri!) ci autorizzano ad essere prudentemente ottimisti: con i piedi in terra, possiamo essere convinti che il pianeta ha in riserbo per noi ancora tantissime risorse, che ci consentono di continuare a credere che ogni nuova vita è sempre, ma proprio sempre, una ricchezza. E, per chi è credente come me, è segno che Dio non si è stancato dell’umanità, nonostante tutti i crimini contro la vita di cui è costellata la nostra società. Ma questa è un’altra storia.

