2022-08-17
Crimini contro l’umanità, il grande inganno
Hiroshima dopo la bomba atomica del 6 agosto 1945 (Ansa)
È un concetto analogo a quello di peccato: in entrambi i casi, alla vittima immediata (popoli sterminati o persone che subiscono violenze) si sovrappone un soggetto più alto: Dio o l’essere umano divinizzato. Strada che condurrà a un unico Tribunale mondiale.Che la doppia ecatombe di Hiroshima e Nagasaki non sia stata ancora riconosciuta come un «crimine contro l’umanità» è certamente scandaloso, e conferma una volta di più la vecchia logica della Storia scritta dai vincitori. Converrebbe, tuttavia, fare un passo indietro, e prendere atto che la nozione stessa di «crimine contro l’umanità», come più in generale la teoria e la retorica dei «diritti umani», è espressione della cultura universalista e omologante nata dalla Rivoluzione francese (e americana). Di quella cultura tuttora egemone che ha meritato al Novecento le definizione di «secolo americano» (Geminello Alvi). La nozione di «crimine contro l’umanità» è, insomma, un prodotto tipico dell’ideologia liberale, comparso per la prima volta nel 1915 in riferimento al genocidio armeno ed è, a esaminarla da vicino, un monstrum giuridico e un arrogante paradosso concettuale. Propugnarne l’estensione ad altri massacri e tragedie (Dresda, Hiroshima, Nagasaki) significa accettare a priori la logica o, meglio, l’ideologia che l’ha imposta: sarebbe come criticare la politica pseudo-umanitaria dell’Unesco e propugnare poi l’inclusione di nuovi siti nel famoso Patrimonio dell’umanità, che catalogando e «tutelando» i tesori del pianeta lavora ormai da decenni per la vecchia utopia dello «Stato mondiale».Si tratta, dunque, di esaminarla da vicino e di «decostruirla», sconfinando - è inevitabile - sul terreno teorico-filosofico. Per riprendere una celebre massima di Pierre-Joseph Proudhon, già ripresa a suo tempo da Carl Schmitt e rievocata da Danilo Zolo in un prezioso contributo di ormai vent’anni fa, «chi dice umanità, sta cercando di ingannarti». Nel lessico ordinario, ogni «crimine» comporta un responsabile e una vittima, dove entrambi, l’autore e la vittima, possono essere soggetti collettivi. Nel caso, diventato paradigmatico, della Shoah, l’autore del crimine-genocidio è ovviamente l’intero regime hitleriano, mentre la vittima è l’intero popolo ebraico in quanto tale (oltre a gruppi minoritari come zingari e omosessuali, destinati anch’essi in quanto gruppi alla Ausrottung: a essere «estirpati» come erbacce infestanti il puro terreno ariano). Sulle dimensioni del genocidio c’è ormai poco da discutere, e non è questo il punto.Trasformare con la bacchetta magica il crimine-genocidio (armeno, Shoah, Hiroshima-Nagasaki) in un «crimine contro l’umanità» è, invece, una strana operazione dalla fisionomia ambivalente: nel momento stesso in cui si vorrebbe enfatizzare la gravità del crimine, estendendolo in qualche modo all’umanità intera (come «vittima indiretta»), in quello stesso momento l’operazione sostituisce alla vittima reale una vittima in certo senso immaginaria o astratta, dai contorni amplissimi e sfocati. Ma c’è di più. Questa operazione in certo modo sostitutiva, che non sembra avere precedenti nella storia del diritto, ne ha in realtà uno formidabile in tutt’altro ambito: nella teologia. Ed è perciò un caso singolarissimo di «teologia politica», di transfert dal teologico al politico. Il precedente specifico è infatti la nozione religiosa di «peccato», inteso, secondo la definizione della dottrina cattolica, come un’«offesa a Dio». Non nel senso ovvio della bestemmia che ha il nome di Dio come bersaglio diretto, ma nel senso che ogni peccato, a cominciare da quelli commessi ai danni di altri individui umani come la violenza, il furto, la menzogna, il raggiro, coinvolge sempre Dio indirettamente, come «vittima seconda» (e come vittima primaria nell’ordine etico-metafisico). L’analogia è vistosa: in entrambi i casi - il peccato e il «crimine contro l’umanità» - alla vittima immediata e concreta si sovrappone un Soggetto che è giocoforza scrivere con la maiuscola, perché viene chiamato in causa in nome della sua ubiquità, della sua misteriosa immanenza alle azioni umane. Questo soggetto è Dio, o quel surrogato di Dio che diventa l’Umanità nell’ideologia secolarizzata dei «crimini contro l’umanità». Se dal punto di vista teologico questa estensione è evidentemente un abuso, anzi una parodia, perché sostituisce il Dio della fede religiosa con l’Umanità come dio mortale e in sostanza la divinizza, dal punto di vista del diritto introduce surrettiziamente un paradigma teologico (l’Umanità come nuovo dio) di cui gli stessi giuristi sembrano essere in larga misura inconsapevoli. Come lo sono i teologi e gli ecclesiastici, sostenitori perlopiù entusiasti e ignari della nuova ideologia «dirittista».Capire che cosa è realmente in gioco in questa doppia ignoranza (l’ignoranza, da parte dei teologi come dei giuristi, della portata pseudo-teologica dell’operazione), e che cosa è realmente in gioco nell’idea, per fortuna ancora fantagiuridica, di un «Tribunale dell’Umanità», è il vero cuore del problema.
Nicola Pietrangeli (Getty Images)
Gianni Tessari, presidente del consorzio uva Durella
Lo scorso 25 novembre è stata presentata alla Fao la campagna promossa da Focsiv e Centro sportivo italiano: un percorso di 18 mesi con eventi e iniziative per sostenere 58 progetti attivi in 26 Paesi. Testimonianze dal Perù, dalla Tanzania e da Haiti e l’invito a trasformare gesti sportivi in aiuti concreti alle comunità più vulnerabili.
In un momento storico in cui la fame torna a crescere in diverse aree del pianeta e le crisi internazionali rendono sempre più fragile l’accesso al cibo, una parte del mondo dello sport prova a mettere in gioco le proprie energie per sostenere le comunità più vulnerabili. È l’obiettivo della campagna Sport contro la fame, che punta a trasformare gesti atletici, eventi e iniziative locali in un supporto concreto per chi vive in condizioni di insicurezza alimentare.
La nuova iniziativa è stata presentata martedì 25 novembre alla Fao, a Roma, nella cornice del Sheikh Zayed Centre. Qui Focsiv e Centro sportivo italiano hanno annunciato un percorso di 18 mesi che attraverserà l’Italia con eventi sportivi e ricreativi dedicati alla raccolta fondi per 58 progetti attivi in 26 Paesi.
L’apertura della giornata è stata affidata a mons. Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede presso Fao, Ifad e Wfp, che ha richiamato il carattere universale dello sport, «linguaggio capace di superare barriere linguistiche, culturali e geopolitiche e di riunire popoli e tradizioni attorno a valori condivisi». Subito dopo è intervenuto Maurizio Martina, vicedirettore generale della Fao, che ha ricordato come il raggiungimento dell’obiettivo fame zero al 2030 sia sempre più lontano. «Se le istituzioni faticano, è la società a doversi organizzare», ha affermato, indicando iniziative come questa come uno dei modi per colmare un vuoto di cooperazione.
A seguire, la presidente Focsiv Ivana Borsotto ha spiegato lo spirito dell’iniziativa: «Vogliamo giocare questa partita contro la fame, non assistervi. Lo sport nutre la speranza e ciascuno può fare la differenza». Il presidente del Csi, Vittorio Bosio, ha invece insistito sulla responsabilità educativa del mondo sportivo: «Lo sport costruisce ponti. In questa campagna, l’altro è un fratello da sostenere. Non possiamo accettare che un bambino non abbia il diritto fondamentale al cibo».
La campagna punta a raggiungere circa 150.000 persone in Asia, Africa, America Latina e Medio Oriente. Durante la presentazione, tre soci Focsiv hanno portato testimonianze dirette dei progetti sul campo: Chiara Concetta Starita (Auci) ha descritto l’attività delle ollas comunes nella periferia di Lima, dove la Olla común 8 de octubre fornisce pasti quotidiani a bambini e anziani; Ornella Menculini (Ibo Italia) ha raccontato l’esperienza degli orti comunitari realizzati nelle scuole tanzaniane; mentre Maria Emilia Marra (La Salle Foundation) ha illustrato il ruolo dei centri educativi di Haiti, che per molti giovani rappresentano al tempo stesso luogo di apprendimento, rifugio e punto sicuro per ricevere un pasto.
Sul coinvolgimento degli atleti è intervenuto Michele Marchetti, responsabile della segreteria nazionale del Csi, che ha spiegato come gol, canestri e chilometri percorsi nelle gare potranno diventare contributi diretti ai progetti sostenuti. L’identità visiva della campagna accompagnerà questo messaggio attraverso simboli e attrezzi di diverse discipline, come illustrato da Ugo Esposito, Ceo dello studio di comunicazione Kapusons.
Continua a leggereRiduci
Mark Zuckerberg (Getty Images)