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2022-01-30
La sovrappopolazione è un enigma risolto
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L’articolo di Marcello Veneziani, persona di grande cultura, che mi onoro di considerare un amico, condividendo gran parte delle sue riflessioni, in tema di allarme demografico per sovrappopolazione mondiale, mi ha spinto a cercare di approfondire la delicatissima questione della cosiddetta «limitazione delle nascite». Prescindo dalla mia personale appartenenza religiosa che mi rende profondamente convinto che ogni nuova vita è un grande e prezioso dono di Dio, vorrei esporre ed analizzare i fatti utilizzando argomentazioni esclusivamente razionali e tecniche, partendo da dati certi e verificabili. Dunque, quante persone possono vivere sul nostro pianeta? Il punto di partenza è la conoscenza e la valutazione delle terre coltivate (e coltivabili) valutandone la capacità di produrre «alimentazione». I tecnici parlano di «superficie agricola utilizzata» (Sau), intendendo seminagioni, alberi da frutto, terreni destinati a pascolo, coltivazioni agrarie diverse, prati permanenti. Chiaramente sono escluse le aree occupate da fabbricati, ma anche quelle destinate a bosco libero o a bosco da legna. Dunque, la superficie agricola totale (Sat) è data dalla somma della Sau (quella già utilizzata) più quella non ancora utilizzata. Ora, la superficie totale delle terre emerse è di circa 15 miliardi di ettari e la Sau è circa un terzo del totale, cioè 5 miliardi di ettari, e di questi 1,5 miliardi di ettari sono di terre arabili. Si aggiunga che - ad oggi - sono 140 milioni gli ettari destinati a coltivazioni permanenti (frutteti, vigneti, the, caffè). A questi dati, va collegato un altro importante parametro: la cosiddetta «resa agricola» che in poche e semplici parole significa la capacità «produttiva» in termini alimentari del terreno. Per evitare calcoli troppo complessi, possiamo riferirci alle due coltivazioni più diffuse: mais e frumento. Ogni chilo di frumento vale circa 3.390 calorie, e ogni persona adulta richiede mediamente (naturalmente con tutte le possibili variabili) 3.000 calorie al giorno (cioè 1 milione e 100.000 calorie in un anno). Oggi, siamo in grado di produrre circa 10 miliardi di tonnellate di frumento all’anno. Moltiplicando la quantità di calorie per tonnellata di frumento (3.390.000 calorie) e tenendo conto che con circa 3.000 calorie al giorno possiamo adeguatamente nutrire una persona, risulta che - ad oggi - il nostro pianeta è in grado di mantenere 30 miliardi di umani. Va precisato che i dati riportati sono calcolati ad oggi, cioè in base allo sviluppo scientifico, tecnologico, strumentale e sociale che caratterizza il nostro mondo attuale, e la storia dell’uomo ci insegna quante impensabili ed inaspettate risorse l’«homo sapiens sapiens» sia in grado di mettere in atto, soprattutto quando si trova in condizioni di necessità. Del resto, è sufficiente farsi un giretto per il nostro bel Paese per vedere quanti miracoli «agroalimentari» siamo stati capaci di costruire in poco più di 100 anni, così che al tempo dell’Unità d’Italia ancora si moriva di fame, ed oggi - purtroppo - si muore di sovralimentazione! Le capacità della nostra mente di trovare strade sempre nuove, di elaborare mezzi tecnici sempre più utili ed affidabili (chi, solo 30 anni fa, avrebbe mai pensato che saremmo stati in grado di produrre pomodori, zucchini, pesche o olive resistenti alle muffe o ai batteri!) ci autorizzano ad essere prudentemente ottimisti: con i piedi in terra, possiamo essere convinti che il pianeta ha in riserbo per noi ancora tantissime risorse, che ci consentono di continuare a credere che ogni nuova vita è sempre, ma proprio sempre, una ricchezza. E, per chi è credente come me, è segno che Dio non si è stancato dell’umanità, nonostante tutti i crimini contro la vita di cui è costellata la nostra società. Ma questa è un’altra storia.
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Chi si spaventa per l’affollamento del pianeta e teme per il futuro, spesso non tiene conto delle conquiste tecniche dell’umanità. Attualmente siamo 8 miliardi, tuttavia ci è possibile sfamarne ben 30. Dio ci ha donato la vita e la sapienza per preservarla. L’articolo di Marcello Veneziani, persona di grande cultura, che mi onoro di considerare un amico, condividendo gran parte delle sue riflessioni, in tema di allarme demografico per sovrappopolazione mondiale, mi ha spinto a cercare di approfondire la delicatissima questione della cosiddetta «limitazione delle nascite». Prescindo dalla mia personale appartenenza religiosa che mi rende profondamente convinto che ogni nuova vita è un grande e prezioso dono di Dio, vorrei esporre ed analizzare i fatti utilizzando argomentazioni esclusivamente razionali e tecniche, partendo da dati certi e verificabili. Dunque, quante persone possono vivere sul nostro pianeta? Il punto di partenza è la conoscenza e la valutazione delle terre coltivate (e coltivabili) valutandone la capacità di produrre «alimentazione». I tecnici parlano di «superficie agricola utilizzata» (Sau), intendendo seminagioni, alberi da frutto, terreni destinati a pascolo, coltivazioni agrarie diverse, prati permanenti. Chiaramente sono escluse le aree occupate da fabbricati, ma anche quelle destinate a bosco libero o a bosco da legna. Dunque, la superficie agricola totale (Sat) è data dalla somma della Sau (quella già utilizzata) più quella non ancora utilizzata. Ora, la superficie totale delle terre emerse è di circa 15 miliardi di ettari e la Sau è circa un terzo del totale, cioè 5 miliardi di ettari, e di questi 1,5 miliardi di ettari sono di terre arabili. Si aggiunga che - ad oggi - sono 140 milioni gli ettari destinati a coltivazioni permanenti (frutteti, vigneti, the, caffè). A questi dati, va collegato un altro importante parametro: la cosiddetta «resa agricola» che in poche e semplici parole significa la capacità «produttiva» in termini alimentari del terreno. Per evitare calcoli troppo complessi, possiamo riferirci alle due coltivazioni più diffuse: mais e frumento. Ogni chilo di frumento vale circa 3.390 calorie, e ogni persona adulta richiede mediamente (naturalmente con tutte le possibili variabili) 3.000 calorie al giorno (cioè 1 milione e 100.000 calorie in un anno). Oggi, siamo in grado di produrre circa 10 miliardi di tonnellate di frumento all’anno. Moltiplicando la quantità di calorie per tonnellata di frumento (3.390.000 calorie) e tenendo conto che con circa 3.000 calorie al giorno possiamo adeguatamente nutrire una persona, risulta che - ad oggi - il nostro pianeta è in grado di mantenere 30 miliardi di umani. Va precisato che i dati riportati sono calcolati ad oggi, cioè in base allo sviluppo scientifico, tecnologico, strumentale e sociale che caratterizza il nostro mondo attuale, e la storia dell’uomo ci insegna quante impensabili ed inaspettate risorse l’«homo sapiens sapiens» sia in grado di mettere in atto, soprattutto quando si trova in condizioni di necessità. Del resto, è sufficiente farsi un giretto per il nostro bel Paese per vedere quanti miracoli «agroalimentari» siamo stati capaci di costruire in poco più di 100 anni, così che al tempo dell’Unità d’Italia ancora si moriva di fame, ed oggi - purtroppo - si muore di sovralimentazione! Le capacità della nostra mente di trovare strade sempre nuove, di elaborare mezzi tecnici sempre più utili ed affidabili (chi, solo 30 anni fa, avrebbe mai pensato che saremmo stati in grado di produrre pomodori, zucchini, pesche o olive resistenti alle muffe o ai batteri!) ci autorizzano ad essere prudentemente ottimisti: con i piedi in terra, possiamo essere convinti che il pianeta ha in riserbo per noi ancora tantissime risorse, che ci consentono di continuare a credere che ogni nuova vita è sempre, ma proprio sempre, una ricchezza. E, per chi è credente come me, è segno che Dio non si è stancato dell’umanità, nonostante tutti i crimini contro la vita di cui è costellata la nostra società. Ma questa è un’altra storia.
Il motore è un modello di ricavi sempre più orientato ai servizi: «La crescita facile basata sulla forbice degli interessi sta inevitabilmente assottigliandosi, con il margine di interesse aggregato in calo del 5,6% nei primi nove mesi del 2025», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert Scf. «Il settore ha saputo, però, compensare questa dinamica spingendo sul secondo pilastro dei ricavi, le commissioni nette, che sono cresciute del 5,9% nello stesso periodo, grazie soprattutto alla focalizzazione su gestione patrimoniale e bancassurance».
La crescita delle commissioni riflette un’evoluzione strutturale: le banche agiscono sempre più come collocatori di prodotti finanziari e assicurativi. «Questo modello, se da un lato genera profitti elevati e stabili per gli istituti con minori vincoli di capitale e minor rischio di credito rispetto ai prestiti, dall’altro espone una criticità strutturale per i risparmiatori», dice Gaziano. «L’Italia è, infatti, il mercato in Europa in cui il risparmio gestito è il più caro», ricorda. Ne deriva una redditività meno dipendente dal credito, ma con un tema di costo per i clienti. La «corsa turbo» agli utili ha riacceso il dibattito sugli extra-profitti. In Italia, la legge di bilancio chiede un contributo al settore con formule che evitano una nuova tassa esplicita.
«È un dato di fatto che il governo italiano stia cercando una soluzione morbida per incassare liquidità da un settore in forte attivo, mentre in altri Paesi europei si discute apertamente di tassare questi extra-profitti in modo più deciso», dice l’esperto. «Ad esempio, in Polonia il governo ha recentemente aumentato le tasse sulle banche per finanziare le spese per la Difesa. È curioso notare come, alla fine, i governi preferiscano accontentarsi di un contributo una tantum da parte delle banche, piuttosto che intervenire sulle dinamiche che generano questi profitti che ricadono direttamente sui risparmiatori».
Come spiega David Benamou, responsabile investimenti di Axiom alternative investments, «le banche italiane rimangono interessanti grazie ai solidi coefficienti patrimoniali (Cet1 medio superiore al 15%), alle generose distribuzioni agli azionisti (riacquisti di azioni proprie e dividendi che offrono rendimenti del 9-10%) e al consolidamento in corso che rafforza i gruppi leader, Unicredit e Intesa Sanpaolo. Il settore in Italia potrebbe sovraperformare il mercato azionario in generale se le valutazioni rimarranno basse. Non mancano, tuttavia, rischi come un moderato aumento dei crediti in sofferenza o gli choc geopolitici, che smorzano l’ottimismo».
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Il 29 luglio del 2024, infatti, Axel Rudakubana, cittadino britannico con genitori di origini senegalesi, entra in una scuola di danza a Southport con un coltello in mano. Inizia a colpire chiunque gli si pari davanti, principalmente bambine, che provano a difendersi come possono. Invano, però. Rudakubana vuole il sangue. Lo avrà. Sono 12 minuti che durano un’eternità e che provocheranno una carneficina. Rudakubana uccide tre bambine: Alice da Silva Aguiar, di nove anni; Bebe King, di sei ed Elsie Dot Stancombe, di sette. Altri dieci bimbi rimarranno feriti, alcuni in modo molto grave.
Nel Regno Unito cresce lo sdegno per questo ennesimo fatto di sangue che ha come protagonista un uomo di colore. Anche Michael dice la sua con un video di 12 minuti su Facebook. Viene accusato di incitamento all’odio razziale ma, quando va davanti al giudice, viene scagionato in una manciata di minuti. Non ha fatto nulla. Era frustrato, come gran parte dei britannici. Ha espresso la sua opinione. Tutto è bene quel che finisce bene, quindi. O forse no.
Due settimane dopo, infatti, il consiglio di tutela locale, che per legge è responsabile della protezione dei bambini vulnerabili, gli comunica che non è più idoneo a lavorare con i minori. Una decisione che lascia allibiti molti, visto che solitamente punizioni simili vengono riservate ai pedofili. Michael non lo è, ovviamente, ma non può comunque allenare la squadra della figlia. Di fronte a questa decisione, il veterano prova un senso di vergogna. Decide di parlare perché teme che la sua comunità lo consideri un pedofilo quando non lo è. In pochi lo ascoltano, però. Quasi nessuno. Il suo non è un caso isolato. Solamente l’anno scorso, infatti, oltre 12.000 britannici sono stati monitorati per i loro commenti in rete. A finire nel mirino sono soprattutto coloro che hanno idee di destra o che criticano l’immigrazione. Anche perché le istituzioni del Regno Unito cercano di tenere nascoste le notizie che riguardano le violenze dei richiedenti asilo. Qualche giorno fa, per esempio, una studentessa è stata violentata da due afghani, Jan Jahanzeb e Israr Niazal. I due le si avvicinano per portarla in un luogo appartato. La ragazza capisce cosa sta accadendo. Prova a fuggire ma non riesce. Accende la videocamera e registra tutto. La si sente pietosamente dire «mi stuprerai?» e gridare disperatamente aiuto. Che però non arriva. Il video è terribile, tanto che uno degli avvocati degli stupratori ha detto che, se dovesse essere pubblicato, il Regno Unito verrebbe attraversato da un’ondata di proteste. Che già ci sono. Perché l’immigrazione incontrollata sull’isola (e non solo) sta provocando enormi sofferenze alla popolazione locale. Nel Regno, certo. Ma anche da noi. Del resto è stato il questore di Milano a notare come gli stranieri compiano ormai l’80% dei reati predatori. Una vera e propria emergenza che, per motivi ideologici, si finge di non vedere.
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Una fotografia limpida e concreta di imprese, giustizia, legalità e creatività come parti di un’unica storia: quella di un Paese, il nostro, che ogni giorno prova a crescere, migliorarsi e ritrovare fiducia.
Un percorso approfondito in cui ci guida la visione del sottosegretario alle Imprese e al Made in Italy Massimo Bitonci, che ricostruisce lo stato del nostro sistema produttivo e il valore strategico del made in Italy, mettendo in evidenza il ruolo della moda e dell’artigianato come forza identitaria ed economica. Un contributo arricchito dall’esperienza diretta di Giulio Felloni, presidente di Federazione Moda Italia-Confcommercio, e dal suo quadro autentico del rapporto tra imprese e consumatori.
Imprese in cui la creatività italiana emerge, anche attraverso parole diverse ma complementari: quelle di Sara Cavazza Facchini, creative director di Genny, che condivide con il lettore la sua filosofia del valore dell’eleganza italiana come linguaggio culturale e non solo estetico; quelle di Laura Manelli, Ceo di Pinko, che racconta la sua visione di una moda motore di innovazione, competenze e occupazione. A completare questo quadro, la giornalista Mariella Milani approfondisce il cambiamento profondo del fashion system, ponendo l’accento sul rapporto tra brand, qualità e responsabilità sociale. Il tema di responsabilità sociale viene poi ripreso e approfondito, attraverso la chiave della legalità e della trasparenza, dal presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione Giuseppe Busia, che vede nella lotta alla corruzione la condizione imprescindibile per la competitività del Paese: norme più semplici, controlli più efficaci e un’amministrazione capace di meritarsi la fiducia di cittadini e aziende. Una prospettiva che si collega alla voce del presidente nazionale di Confartigianato Marco Granelli, che denuncia la crescente vulnerabilità digitale delle imprese italiane e l’urgenza di strumenti condivisi per contrastare truffe, attacchi informatici e forme sempre nuove di criminalità economica.
In questo contesto si introduce una puntuale analisi della riforma della giustizia ad opera del sottosegretario Andrea Ostellari, che illustra i contenuti e le ragioni del progetto di separazione delle carriere, con l’obiettivo di spiegare in modo chiaro ciò che spesso, nel dibattito pubblico, resta semplificato. Il suo intervento si intreccia con il punto di vista del presidente dell’Unione Camere Penali Italiane Francesco Petrelli, che sottolinea il valore delle garanzie e il ruolo dell’avvocatura in un sistema equilibrato; e con quello del penalista Gian Domenico Caiazza, presidente del Comitato «Sì Separa», che richiama l’esigenza di una magistratura indipendente da correnti e condizionamenti. Questa narrazione attenta si arricchisce con le riflessioni del penalista Raffaele Della Valle, che porta nel dibattito l’esperienza di una vita professionale segnata da casi simbolici, e con la voce dell’ex magistrato Antonio Di Pietro, che offre una prospettiva insolita e diretta sui rapporti interni alla magistratura e sul funzionamento del sistema giudiziario.
A chiudere l’approfondimento è il giornalista Fabio Amendolara, che indaga il caso Garlasco e il cosiddetto «sistema Pavia», mostrando come una vicenda giudiziaria complessa possa diventare uno specchio delle fragilità che la riforma tenta oggi di correggere. Una coralità sincera e documentata che invita a guardare l’Italia con più attenzione, con più consapevolezza, e con la certezza che il merito va riconosciuto e difeso, in quanto unica chiave concreta per rendere migliore il Paese. Comprenderlo oggi rappresenta un'opportunità in più per costruire il domani.
Per scaricare il numero di «Osservatorio sul Merito» basta cliccare sul link qui sotto.
Merito-Dicembre-2025.pdf
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