Ecco #DimmiLaVerità del 19 febbraio 2025. Ospite l'on.Ubaldo Pagano, capogruppo del Pd in Commissione Bilancio. L'argomento del giorno é: "Bollette alle stelle, le proposte dei Dem e i rischi di ulteriori rincari".
A marzo, la guerra ha causato un’impennata che non si vedeva da 31 anni: +6,7% su base annua. Rincari massimi su energia (+53%) e carburanti (+38%). Su anche i prezzi degli alimenti. Male il resto d’Europa: in Germania gli aumenti sono i più alti dall’unificazione.
Dopo 31 anni che non era così alta, l’inflazione in Italia, a marzo 2022, ha raggiunto il suo massimo storico. Secondo quanto comunica l’Istat, dopo nove mesi di galoppata, il costo della vita nel nostro Paese ha toccato quota 6,7% su base annua (1,2% su base mensile), valore che non si registrava dal luglio 1991.
Complice la crisi russo-ucraina, sono stati ancora i beni energetici non regolamentati a far salire i prezzi alle stelle, anche se le tensioni inflazionistiche hanno fatto salire il costo della vita di molti beni di prima necessità, quelli che vengono definiti i prodotti del «carrello della spesa». Proprio questi ultimi sono saliti in media, a marzo, di un punto percentuale, a +5%. Per fortuna, a contenere queste tensioni, ci sono i prezzi dei servizi che, secondo l’Istituto nazionale di statistica, stanno seguendo un andamento moderato (+1,8%). D’altro canto, i prezzi delle merci sono arrivati alle stelle con un incremento a doppia cifra (+10,2%).
Con questi valori, l’inflazione acquisita per il 2022 è stata pari a +5,3% per l’indice generale e a +1,6% per la componente di fondo. Più in dettaglio, l’indice dei prezzi al consumo è aumentato del 2,6% su base mensile, principalmente per effetto della fine dei saldi invernali, e del 7% su base annua (rispetto a un aumento del 6,2% di febbraio). Come detto, la vera botta arriva dai costi dell’energia, saliti dai 45,9% di febbraio al 52,9% di marzo. Più contenuti, ma pur sempre marcati, i prezzi dei beni alimentari, passati da 3,1% a 4%. I beni non lavorati, invece, sono saliti da +6,9% a 8%, mentre quelli durevoli sono saliti dall’1,2 all’1,9%. I servizi relativi ai trasporti, invece, sono scesi dall’1,4% a 1%).
Dando uno sguardo alle singole merci, trai i maggiori rincari ci sono quelli legati ai prezzi del gasolio per i mezzi di trasporto (da 24% a 38,3% su anno), della benzina (da 21,9% a 31%) e del diesel per riscaldamento (da 24,6% a 37,4%). Verso l’alto anche tutti gli altri carburanti altri carburanti (da 38,7% a 45,3%) e l’energia elettrica mercato libero (da 64,9% a 65,5%). In particolare, i prezzi della componente regolamentata dei beni energetici sono quasi raddoppiati con aumenti del 94,6% rispetto a febbraio 2021.
Nel caso degli alimentari, cresciuti in media del 4,6% da febbraio e del 5,5% su base annua, sono saliti i cibi lavorati (passati da +3,1% a +4%) e quelli non lavorati (da +6,9% a +8%; +0,6% sul mese). In particolare, i prezzi di questi ultimi sono stati influenzati da quelli della frutta fresca e refrigerata (da +6,8% a +8,1% su anno) e di quelli dei vegetali freschi o congelati: a marzo sono cresciuti del 17,8% su anno dal 16,8% di febbraio.
Il Codacons ha definito questi rialzi una vera «tragedia», calcolando una maggiore spesa che potrebbe arrivare a 2.674 euro annui a famiglia a causa della fiammata dei prezzi. «Le nostre peggiori previsioni trovano purtroppo conferma nei dati Istat, l’inflazione al 6,7%, considerata la totalità dei consumi di una famiglia, si traduce in una stangata da +2.058 euro annui per la famiglia tipo, e addirittura +2.674 euro annui per un nucleo con due figli», spiega il presidente dell’associazione, Carlo Rienzi. «Il caro carburante e i rialzi delle bollette energetiche», ha continuato, «hanno spinto al rialzo i prezzi al dettaglio in tutti i settori, ma sul tasso di inflazione di marzo pesano anche vere e proprie speculazioni legate alla guerra in Ucraina. Sull’andamento dei prezzi attendiamo ora l’esito delle indagini aperte da Antitrust e dalle Procure di tutta Italia grazie agli esposti presentati dal Codacons e, se sarà accertato che l’aumento dei listini è stato determinato da fenomeni speculativi, avvieremo una maxi class action contro i responsabili, per conto di milioni di famiglie e imprese», ha concluso.
«Prosegue l’impennata dei prezzi per il nono mese consecutivo, i rialzi investono anche il carrello della spesa», spiega una nota di Confesercenti, che invita le istituzioni ad «agire in fretta». «Certamente», continua la nota, «i comparti che registrano gli incrementi maggiori sono quelli investiti dalla situazione critica in campo energetico, con particolare riferimento ai servizi di alloggio e ristorazione che subiscono l’aumento sia del prezzo dell’energia elettrica che del gas e a cui si sono recentemente aggiunte anche le tensioni registrate nel settore alimentare», sottolinea l’organizzazione.
Va detto che l’inflazione italiana segue l’andamento di quella europea. In Spagna il costo della vita è schizzato al +9,8%. In Germania è balzato al +7,3%, il valore più alto dalla riunificazione. In Francia, i prezzi al consumo sono salitii meno rispetto ad altri Paesi Ue, con aumenti del 4,5% a marzo, secondo le stime diffuse dall’Istituto nazionale di statistica francese Insee.
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Il rincaro del costo di gas ed energia, schizzato di quasi il 23% dal 2020, fa accelerare l'aumento generale dei prezzi: 2,9% in un anno. Arriva l'allarme delle imprese: costrette allo stop della produzione per contenere i consumi di elettricità ed evitare la mazzata.
L'assessore allo Sviluppo economico della Regione Lombardia, Guido Guidesi, ha lanciato ieri un allarme sui rincari dei prezzi energetici, affermando che alcune aziende lombarde hanno deciso di sospendere la produzione nel mese di dicembre. «Sono molto preoccupato, ci vogliono interventi urgenti da parte del governo e dell'Europa», ha proseguito Guidesi in una dichiarazione ripresa dall'Ansa.
Il presidente di Confindustria Lombardia, Francesco Buzzella, si è unito alla preoccupazione dell'assessore lombardo: «Come Confindustria Lombardia ci risulta che alcune aziende, in particolare medie imprese, stanno valutando di attuare lockdown energetici mirati per fermare la produzione nei mesi di maggior consumo energetico». Ciò sta accadendo anche altrove, ad esempio in Sardegna, dove la Portovesme Srl (gruppo Glencore), attiva nella lavorazione di zinco e piombo, ha già rallentato la produzione e attivato la procedura per la cassa integrazione straordinaria di quasi 600 dipendenti. Si sta verificando esattamente quanto La Verità ha scritto diversi mesi fa e ancora di recente. Molte imprese hanno difficoltà a sostenere i costi dell'energia e si vedono costrette a concentrare la produzione in tempi più stretti o a rallentare e rimandare l'evasione degli ordini, sperando che i prezzi calino nel frattempo. A livello stagionale, il picco dei consumi di energia elettrica, che usualmente si verifica tra fine novembre e i primi quindici giorni di dicembre, quest'anno potrebbe mostrare volumi nettamente inferiori rispetto al passato, segnalando dunque una minore produzione industriale. Non sono da escludere anche problemi di liquidità per le aziende, a fronte di importi per la fattura energetica decisamente fuori scala.
Gli appelli al governo e all'Europa rischiano però di non sortire grandi effetti. Soluzioni reali, a breve termine, non ci sono. Il governo Draghi è già intervenuto a giugno e a settembre, stanziando complessivamente 4,7 miliardi per la riduzione degli oneri in bolletta. Nella legge di bilancio appena presentata il governo ha poi ipotizzato altri 2 miliardi per il 2022 per abbassare gli oneri in bolletta.
Tuttavia queste cifre appaiono insufficienti ad alleggerire in maniera sostanziale il carico su famiglie e imprese, anche perché i rincari che si stanno verificando riguardano anche benzina, gasolio e metano da autotrazione, per i quali nessuna salvaguardia è stata disposta. Inoltre, il prezzo di molti semilavorati dipende da quello di gas ed energia elettrica e hanno già subito rincari record. Nei giorni scorsi, l'associazione di categoria che raggruppa le aziende del settore gomma e plastica, Unionplast, ha comunicato di non essere più in grado di internalizzare l'aumento dei costi e dunque alzerà i prezzi.
È vero che le dichiarazioni concilianti di Vladimir Putin nei giorni scorsi sembrano aver tranquillizzato i mercati, tanto che oggi il gas al TTF per il mese di dicembre si paga 69 €/MWh, contro i 162 €/MWh del 6 ottobre scorso.
Tuttavia, occorre considerare che lo sconquasso sui mercati è avvenuto prima che la stagione autunnale cominciasse, il che, per una commodity stagionale come il gas, è indizio di un problema prospettico. Se è vero che un prezzo alto è indice della scarsità di un bene, il primo freddo in arrivo potrebbe riportare le quotazioni, che si trovano ancora in condizione di estrema volatilità, ai livelli record già visti. Novembre sarà un mese importante, un vero e proprio banco di prova per la tenuta dell'intero sistema energetico europeo.
L'Europa, dal canto suo, ha già dato una riposta nei giorni scorsi. Il Consiglio europeo una settimana fa ha deciso di non decidere nulla, rimandando l'esame di qualunque ipotesi di modifica alle regole del mercato interno e lasciando ai singoli Stati di agire con gli strumenti di breve termine consigliati, la cosiddetta tool box. Ancora due giorni fa il vicepresidente della Commissione europea Frans Timmermans, in una intervista al giornale tedesco Die Welt, ha ribadito che, nonostante l'esplosione dei prezzi, nulla cambia nei piani di decarbonizzazione già decisi. In questo panorama non proprio rassicurante, ieri l'Istat ha diffuso il dato preliminare dell'inflazione per il mese di ottobre, che su base tendenziale è salita al 2,9%. Lo spaccato del dato aggregato mostra un +4% per i beni e un +1,3% per i servizi. Se si esamina il dettaglio delle variazioni tendenziali per tipologia di prodotto, i prezzi dei beni energetici risultano in crescita rispetto all'ottobre del 2020 di ben il 22,9%, portando l'inflazione acquisita per il 2021 a 12,6%. Tra i servizi, invece, spicca il +2,4% nei trasporti, i cui prezzi dipendono largamente dai costi dei combustibili. Il possibile rallentamento della produzione industriale e l'inflazione dei prossimi due mesi probabilmente non incideranno molto sul 6,1% di crescita del Pil già acquisita per il 2021. Tuttavia, il problema potrebbe manifestarsi più chiaramente nel primo trimestre del 2022.
In qualche ovattata stanza di Palazzo Berlaymont a Bruxelles, prestigiosa sede della Commissione europea, intanto, ci si immagina che stia proseguendo la discussione che dovrebbe sancire una volta per tutte se gas e nucleare sono da considerarsi fonti finanziabili ai fini della transizione energetica. Ma a questo punto della storia la tassonomia verde assomiglia sempre di più a un certo signor Godot.
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Con la scusa del «pericolo fascista», il governo ipotizza di blindare i cortei. Oltre al pass, infatti, a montare la tensione ci penseranno le stangate: per pane, olio, caffè, latte e carne previsti aumenti del 20%. Impennata pure per carburanti, materie prime e bollette
Se non fosse che pasta e formaggio rincarano si potrebbe dire che al ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese, e al presidente del Consiglio, Mario Draghi, l’assalto criminale alla Cgil è cascato come il cacio sui maccheroni. Tra Viminale e Palazzo Chigi, con ovvio supporto del Pd a cui le piazze piacciono solo se le riempiono i sindacati alla vigilia del voto amministrativo (il silenzio elettorale? e che gli fa…) si fa un gran parlare di vietare i cortei, di dare un giro di vite alle manifestazioni. Dopo il caos di sabato - non hanno fatto nulla per fermarlo, va detto - temono che venerdì si replichi e soprattutto c’è in vista il G20 e Draghi, l’uomo che tutto può, non può però permettersi una brutta figura planetaria. Sanno che la gente ha moltissimi motivi per essere arrabbiata: la carta verde è solo uno dei tanti. Si comincia a sentire il vento gelido della miseria, ma non si può consentire al popolo - come invece prescrive la Costituzione antifascista - di manifestare il dissenso mettendo in crisi la narrazione delle magnifiche sorti e progressive del governo, col ministro della pubblica amministrazione, Renato Brunetta, entusiasta perché, con il ritorno al lavoro in presenza dei pubblici dipendenti, «il Pil farà più 6,3 %». L’unico segno più che gli italiani stanno percependo è un aumento abnorme dei prezzi, con l’inflazione a settembre certificata dall’Istat al più 2,6, con un balzo che non si vedeva da dieci anni. In ottobre le premesse sono da incubo. In Europa siamo al 3,4% e credere che la Bce - ha l’ obbligo statutario di tenere l’inflazione sotto il 2% - non riduca più prima che poi il programma di acquisto titoli antipandemico sembra ottimistico.
Se Christine Lagarde stringe i cordoni della borsa e alza i tassi, ci accorgeremo che il Pnrr è una fregatura. Però il ministro economico Daniele Franco si bea che il Fondo monetario internazionale certifichi un’Italia al più 5,8% a fine anno! Nel 2020 abbiamo perso il 9, ma c’è il salvifico Pnrr. Ma ha cominciato a capire - e su La Verità è stato spiegato a più riprese - che in Europa non ci sono pasti gratis. La maratona che Mario Draghi sta imponendo ai ministri sulle riforme - non importa come - è per tentare di soddisfare le condizionalità pesantissime messe da Bruxelles. Ci sta che non bastino e potrebbe essere che l’Europa ci chieda di aumentare le tasse. Perché visti gli andamenti economici (la Cina si sta piantando, mancano le materie prime con centinaia di navi ferme in rada per la crisi dei porti e da venerdì, se si fermano i camalli di Trieste e di Genova che protestano per il green pass, si fanno due risate, le fiammate inflazionistiche, i prezzi dell’energia fuori controllo) a Bruxelles i «frugali» cominciano a domandarsi se il debito dell’Italia sia sostenibile. Converrà al governo una lettura approfondita dei Promessi Sposi. Ci siamo liberati del Giuseppe Conte-zio, ma lo scenario è drammaticamente manzoniano: dopo la peste ci fu l’assalto ai forni. Fermarlo per decreto diventa difficile anche perché i listini non mentono. In un mese il pane è aumentato di un euro al chilo, la pasta di 40 centesimi, dall’olio al caffé, dal latte alla carne si prevedono aumenti medi sopra al 20%. L’allarme lo ha dato la Coldiretti, ma non lo ascoltano. S’impennano i costi di trasporto, sempre che con il green pass obbligatorio i camion non si fermino proprio, aumentano le materie prime: dai foraggi per gli animali agli imballaggi. C’è l’insostenibile pesantezza del pieno con il metano oltre i 2 euro, la benzina idem, per non dire di elettricità e gas domestici che si avviano a rincari tra il 27 e il 40%. C’è chi ha fatto i conti e per le famiglie la «ripartenza grazie al green pass» significa una spesa annua in più compresa tra 1.300 e 1.880 euro. Una stima credibile s’aggira sui 1.560 euro di aumenti: 475 per scaldarsi, 768 tra alimentari, carburanti e trasporti e 500 euro di bollette. In pratica gli italiani si sono già giocati uno stipendio. Sempre che il green pass non aumenti la disoccupazione e che le fabbriche funzionino. A guardare a quello che accade all’Iveco di Brescia non c’è da stare tranquilli. Dal 18 al 22 ottobre chiude per mancanza di materie prime. E non è un caso isolato. Col green pass però si riparte e con il green deal si respira meglio. Anche su questo non si ha il coraggio di dire la verità: la transizione ecologica per andare dietro alle intemerate di Greta Thunberg ha un costo altissimo. Il ministro Roberto Cingolani peraltro lo ha spiegato: ci sarà una forte tensione sull’energia. Tutti dicono che è una febbre passeggera. Intanto il petrolio sta sopra gli 80 dollari al barile e il metano continua una corsa senza freni.
I tre miliardi messi dal governo per sterilizzare le bollette sono già finiti: il prossimo trimestre sono previsti rincari ulteriori per oltre il 40%. E ora comincia a far freddo! La Deutsche Bank lo ha previsto: se volete queste politiche ambientali dovete instaurare un’ eco-dittatura. Pare che il governo mettendo sotto chiave le piazze per il pericolo fascista si stia portando avanti col lavoro.
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Attutita l'impennata del 40% che doveva scattare il 1° ottobre: Iva sul gas dimezzata e zero oneri per l'elettricità fino al 2022.
L'intervento del governo non scongiura del tutto l'aumento delle bollette. Secondo esperti del settore energetico gli italiani si troveranno infatti a ottobre un rincaro di circa l'11% sul prezzo dell'energia. Percentuale che sarebbe potuta arrivare al 40% nel caso in cui il governo non fosse intervenuto. D'altra parte l'esecutivo ha confermato, nel dl approvato ieri dal Consiglio dei ministri, come il suo obiettivo sia quello di «contenere (e non annullare, ndr) gli effetti degli aumenti dei prezzi nel settore elettrico, confermando per il quarto trimestre dell'anno 2021». E dunque, all'interno del testo approvato ieri dal cdm sono previste tre macro misure di intervento.
La prima riguarda l'annullamento per il quarto trimestre 2021 (ottobre-dicembre) delle aliquote relative agli oneri generali di sistema applicate alle bollette delle utenze domestiche e non in bassa tensione (potenza disponibile fino a 16,5 kW). I costi di questa misura sono compensati parzialmente tramite l'uso di 700 milioni di euro provenienti dalle aste delle quote di emissione di anidride carbonica. E in secondo luogo, trasferendo alla Cassa per i servizi energetici e ambientali, entro il 15 dicembre 2021, 1,3 miliardi di euro.
La seconda misura decisa ieri nel Consiglio dei ministri riguarda invece l'abbassamento dell'Iva al 5% per il settore del gas naturale. E dunque nel dl si legge come le «somministrazioni di gas metano usato per combustione per gli usi civili e industriali contabilizzate nelle fatture emesse per i consumi stimati o effettivi dei mesi di ottobre, novembre e dicembre 2021, sono assoggettate all'aliquota Iva del 5%». Nel caso in cui le somministrazioni, riferite ai mesi presi in considerazione dal decreto, siano contabilizzate sulla base di consumi stimati, l'Iva del 5% «si applica anche alla differenza derivante dagli importi ricalcolati sulla base dei consumi effettivi riferibili, anche percentualmente, ai mesi di ottobre, novembre e dicembre 2021», specifica il documento. Per far fronte a questa misura vengono trasferiti 480 milioni di euro alla Cassa per i servizi energetici e ambientali sempre entro il 15 dicembre.
La terza disposizione riguarda invece i più fragili. E dunque è stata prevista una revisione delle agevolazioni relative alle tariffe elettriche e del gas per i clienti domestici che sono in gravi condizioni di salute o che sono economicamente svantaggiati. L'Autorità di regolazione per energia, reti e ambiente, si legge nel testo del dl, al fine di minimizzare gli incrementi della spesa per la fornitura, previsti per il quarto trimestre 2021, dovrà dunque rivedere le agevolazioni concesse fino a oggi. La misura viene compensata con 450 milioni di euro da trasferire alla Cassa per i servizi energetici e ambientali entro il 15 dicembre 2021.
Stando dunque al testo uscito dal Consiglio dei ministri ieri, il governo agirà per cercare di calmierare l'aumento del prezzo in bolletta fino al 31 dicembre 2021. Per i mesi a seguire non è ancora stato deciso nulla. E questa mancanza è stata sottolineata da Confcommercio: «L'intervento del governo non è però ancora sufficiente a risolvere in maniera duratura e strutturale i nodi che attanagliano il nostro sistema energetico. Occorre risolvere i limiti dell'attuale configurazione del sistema di prelievo che, ancora oggi, pone a carico degli utenti finali il costo degli oneri generali di sistema, ovvero degli incentivi economici alla produzione da fonti rinnovabili, alla cogenerazione, alle industrie energivore e i costi fissi connessi, tra l'altro, allo smantellamento delle centrali elettronucleari dismesse. Tali oneri ammontano a circa 15 miliardi di euro annui cui dovranno aggiungersi, da gennaio 2022, ulteriori 2 miliardi di euro (capacity market) necessari per assicurare la sicurezza e la stabilità del sistema energetico». E Assoutenti rincara la dose sottolineando come «il governo doveva e poteva fare di più, anche in considerazione dell'andamento dei prezzi delle materie prime che produrrà nel 2022 nuovi rialzi sul fronte delle tariffe energetiche», conclude il comunicato.
Secondo esperti del settore energia, l'intervento del governo non si concluderà però con questa decisione. Sarebbe infatti previsto un secondo step, che ruoterebbe, un'altra volta, attorno agli oneri generali di sistema. Questa volta però in maniera definiva. Si pensa quindi che l'esecutivo potrebbe decidere di inserire una volta per tutte queste voci all'interno della fiscalità generale. Potrebbe dunque accadere che a partire dal 2022 il peso degli oneri generali passerà dal mondo energia all'interno di quello fiscale. E come risultato finale si avrebbero bollette più «leggere» , compensate però da spese fiscali più pensanti.
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