Il rincaro del costo di gas ed energia, schizzato di quasi il 23% dal 2020, fa accelerare l'aumento generale dei prezzi: 2,9% in un anno. Arriva l'allarme delle imprese: costrette allo stop della produzione per contenere i consumi di elettricità ed evitare la mazzata.
Il rincaro del costo di gas ed energia, schizzato di quasi il 23% dal 2020, fa accelerare l'aumento generale dei prezzi: 2,9% in un anno. Arriva l'allarme delle imprese: costrette allo stop della produzione per contenere i consumi di elettricità ed evitare la mazzata.L'assessore allo Sviluppo economico della Regione Lombardia, Guido Guidesi, ha lanciato ieri un allarme sui rincari dei prezzi energetici, affermando che alcune aziende lombarde hanno deciso di sospendere la produzione nel mese di dicembre. «Sono molto preoccupato, ci vogliono interventi urgenti da parte del governo e dell'Europa», ha proseguito Guidesi in una dichiarazione ripresa dall'Ansa. Il presidente di Confindustria Lombardia, Francesco Buzzella, si è unito alla preoccupazione dell'assessore lombardo: «Come Confindustria Lombardia ci risulta che alcune aziende, in particolare medie imprese, stanno valutando di attuare lockdown energetici mirati per fermare la produzione nei mesi di maggior consumo energetico». Ciò sta accadendo anche altrove, ad esempio in Sardegna, dove la Portovesme Srl (gruppo Glencore), attiva nella lavorazione di zinco e piombo, ha già rallentato la produzione e attivato la procedura per la cassa integrazione straordinaria di quasi 600 dipendenti. Si sta verificando esattamente quanto La Verità ha scritto diversi mesi fa e ancora di recente. Molte imprese hanno difficoltà a sostenere i costi dell'energia e si vedono costrette a concentrare la produzione in tempi più stretti o a rallentare e rimandare l'evasione degli ordini, sperando che i prezzi calino nel frattempo. A livello stagionale, il picco dei consumi di energia elettrica, che usualmente si verifica tra fine novembre e i primi quindici giorni di dicembre, quest'anno potrebbe mostrare volumi nettamente inferiori rispetto al passato, segnalando dunque una minore produzione industriale. Non sono da escludere anche problemi di liquidità per le aziende, a fronte di importi per la fattura energetica decisamente fuori scala. Gli appelli al governo e all'Europa rischiano però di non sortire grandi effetti. Soluzioni reali, a breve termine, non ci sono. Il governo Draghi è già intervenuto a giugno e a settembre, stanziando complessivamente 4,7 miliardi per la riduzione degli oneri in bolletta. Nella legge di bilancio appena presentata il governo ha poi ipotizzato altri 2 miliardi per il 2022 per abbassare gli oneri in bolletta. Tuttavia queste cifre appaiono insufficienti ad alleggerire in maniera sostanziale il carico su famiglie e imprese, anche perché i rincari che si stanno verificando riguardano anche benzina, gasolio e metano da autotrazione, per i quali nessuna salvaguardia è stata disposta. Inoltre, il prezzo di molti semilavorati dipende da quello di gas ed energia elettrica e hanno già subito rincari record. Nei giorni scorsi, l'associazione di categoria che raggruppa le aziende del settore gomma e plastica, Unionplast, ha comunicato di non essere più in grado di internalizzare l'aumento dei costi e dunque alzerà i prezzi. È vero che le dichiarazioni concilianti di Vladimir Putin nei giorni scorsi sembrano aver tranquillizzato i mercati, tanto che oggi il gas al TTF per il mese di dicembre si paga 69 €/MWh, contro i 162 €/MWh del 6 ottobre scorso. Tuttavia, occorre considerare che lo sconquasso sui mercati è avvenuto prima che la stagione autunnale cominciasse, il che, per una commodity stagionale come il gas, è indizio di un problema prospettico. Se è vero che un prezzo alto è indice della scarsità di un bene, il primo freddo in arrivo potrebbe riportare le quotazioni, che si trovano ancora in condizione di estrema volatilità, ai livelli record già visti. Novembre sarà un mese importante, un vero e proprio banco di prova per la tenuta dell'intero sistema energetico europeo. L'Europa, dal canto suo, ha già dato una riposta nei giorni scorsi. Il Consiglio europeo una settimana fa ha deciso di non decidere nulla, rimandando l'esame di qualunque ipotesi di modifica alle regole del mercato interno e lasciando ai singoli Stati di agire con gli strumenti di breve termine consigliati, la cosiddetta tool box. Ancora due giorni fa il vicepresidente della Commissione europea Frans Timmermans, in una intervista al giornale tedesco Die Welt, ha ribadito che, nonostante l'esplosione dei prezzi, nulla cambia nei piani di decarbonizzazione già decisi. In questo panorama non proprio rassicurante, ieri l'Istat ha diffuso il dato preliminare dell'inflazione per il mese di ottobre, che su base tendenziale è salita al 2,9%. Lo spaccato del dato aggregato mostra un +4% per i beni e un +1,3% per i servizi. Se si esamina il dettaglio delle variazioni tendenziali per tipologia di prodotto, i prezzi dei beni energetici risultano in crescita rispetto all'ottobre del 2020 di ben il 22,9%, portando l'inflazione acquisita per il 2021 a 12,6%. Tra i servizi, invece, spicca il +2,4% nei trasporti, i cui prezzi dipendono largamente dai costi dei combustibili. Il possibile rallentamento della produzione industriale e l'inflazione dei prossimi due mesi probabilmente non incideranno molto sul 6,1% di crescita del Pil già acquisita per il 2021. Tuttavia, il problema potrebbe manifestarsi più chiaramente nel primo trimestre del 2022.In qualche ovattata stanza di Palazzo Berlaymont a Bruxelles, prestigiosa sede della Commissione europea, intanto, ci si immagina che stia proseguendo la discussione che dovrebbe sancire una volta per tutte se gas e nucleare sono da considerarsi fonti finanziabili ai fini della transizione energetica. Ma a questo punto della storia la tassonomia verde assomiglia sempre di più a un certo signor Godot.
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